venerdì 20 luglio 2012

Durrenmatt; "La morte della Pizia"


E' estate. Caldo torrido. Si suda anche a pensare e quando, a sera, forse arriva il fresco, ci si vendica su angurie, gelati e birre dorate e fresche, spesso il fresco non arriva e allora ci si rifugia da mamma aria condizionata... mi viene in mente la Florida. Mi disse un suo abitante che secondo lui è diventata abitabile solo dopo l'invenzione dei condizionatori..... possibile. Dove c'è troppo umido non si respira e si sibila come una vecchia teiera in ebollizione. La palustre Bassa Romagna che in questo istante mi accoglie, per quanto bonificata al tempo del Duce, da Ferrara a scendere, per quanto abbia perso stagni e acquitrini, l'atmosfera l'ha mantenuta intatta.... Ravenna era una Venezia di sette isolotti e l'imperatore non ci si insediò, ma rifugiò, esattamente come toccò in sorte ai fuggitivi di Aquileia che poi fondarono la Serenissima.

Storia di acqua e zanzare.... non c'è più l'acqua, se non di mare, almeno dove io trascino il corpo, e un lago salato a cento metri da me che chiamano Pialassa. Dal veneziano, piglia e lascia. È collegato all'Adriatico, acqua salata e piglia e lascia son le sue composte, minime alte e basse maree... ci sono i fenicotteri. Arrivano dall'Africa che cono rosa, terribilmente kitsch. Nella patria di Armani non è tollerabile e qui sbiancano rapidamente. Mi dicono che è a causa ai gamberetti africani che inrosano e per merito di quelli italiani che sbiadiscono. Qui in Italia comunque, tutti i colori si spengono. Qui tutta l'esteriorità è scelta estetica consapevole. E se guardi le automobili e decidi di contare quelle grigie, quasi finisci i numeri. Gli altri colori sono eccezioni...pensi che siano appena tornati da un funerale, che ci sia un lutto che si esprime così, col grigio delle auto e gli abiti che mai imitano la saggia allegria dei fiori....



In questa patria dell'apparire, per questi italiani che han trasformato il proprio corpo in opera d'arte, e si ostentano per le vie appagati solo per un attimo e poi angosciati dal duro compito di anticipare le mode, meditano un nuovo modo di apparire, e che considerano superate le imbrattature anche ragionate delle tele che li resero grandi, e la grandiosa tradizione musicale culminata in Vivaldi, Domenico Scarlatti e Boccherini, e lo scalpellare dei candidi marmi di Carrara che ora si fan base per lampade e lapidi per cimiteri, mentre prima erano Pietà geniali e Bacchi e veneri danzanti.... In questa terra dicevo votata ormai all'apparire, l'atto di leggere, che è interiore, pudico, individuale, solitario, accade? Quasi mai. Il senso estetico chiede di essere acculturato per gradi imitando, guardando e a volte, in casi rari, anzi rarissimi, osservando.



Leggere abbellisce l'interiorità. Ma quella chi la vede! Ti giri a guardare la donzella con l'abito di Emilio Pucci, non certo quella che ha l'occhio distante che pensa.



Ugualmente immagino in questa terra ,qualche mezzo matto come me che decide di rilassarsi pensando.

Cosa si può consigliare col solleone? Primo, le riletture. Secondo, roba breve oppure anche lunghina ma, con capitoli ben delineati che se giri al massimo due pagine vedi che l'apnea del cervello terminerà presto. Mai come in quest'epoca, che vuole affidare tutto agli occhi, del pensare si è perso il piacere e l'abitudine. Ai sensi bastano le emozioni ma all'Uomo? Al cibo il sapore e il profumo, al tatto la seta delle stoffe o della pelle di lei, al sesso, l'orgasmo.... e poi si è sazi per un po'. Il corpo si riprende dalla sazietà e si riparte, in un circolo vizioso eternamente uguale che per me si fa aberrante, angosciante, sinonimo di morte dell'anima che dei sensi fa uso per porre le basi per un grande viaggio....l'inferno è in ogni forma di ripetizione. Penso al mondo di Walt Disney, alle città di Topolino e Paperino che in Italia si chiamano Paperopoli e Topolinia. Son belle ma ripetitive. Rappresentano un dolore enorme. Senza genitori, tutti, quindi senza complessi di Edipo, quindi liberi sì, di ripetersi eternamente uguali. Walt Disney era un pozzo di sofferenza. Il film Bambi era dolore puro. Speranza. E ci si gettava da bambini su quei giornaletti con gioia. Accadeva. Era giusto che accadesse, perché per un bambino il mondo è statico. Lui è il centro e, se tutto va bene, babbo e mamma sono certezze, pilastri inamovibili. In questo ambiente fatto delle colonne genitoriali che ai suoi occhi sembrano appunto immobili, la vita non si srotola nel tempo. Ogni alba ripete la medesima giornata. Ecco cos'è l'infanzia quando la sorte aiuta. Ecco anche perché, quando iniziamo a sentire il cambiamento, quando la crescita nostra e di quel ci circonda ci porta con naturalezza a considerare diversamente la vita, quei giornalini, senza alcuna nostalgia, tornano in soffitta. Son specchi che si sono offuscati. Rappresentano ormai un mondo di Walt.....non più il nostro.



Immagino quindi un giovane. Sì, mettiamo vent'anni appena diplomato che ha studiato e si domanda, mentre sbuffa all'ombra, cosa se ne farà di tutti quegli studi ai quali si è sentito a volte attirato ma più spesso costretto. Penso per comodità, che abbia fatto il liceo classico. Mi concedo il lusso di questa selezione perché sto pensando a un libro. Immagino che lo trovi su un tavolo in casa, la sera. Nessuno sa di chi è quindi lo prende. È sottilissimo. Appena sessantotto pagine e la narrazione inizia a pagina nove, quindi di fatto 59 da leggere. Antipaticamente non ha capitoli, non ha spazi bianchi, mezze pagine nelle quali riposare gli occhi e tirare il fiato della mente. L'autore ha un nome strano. Durrenmatt, chissà come si pronuncia. Con uno sgorbio di cognome simile sarà sicuramente di area tedesca, come lingua, s'intende. Sarà pesante? Immergere lo sguardo non costa nulla. È un Adelphi rosso, elegante. Una casa editrice che immediatamente dona idea di serietà. “...fa sul serio”, e questa potrebbe essere una sfida. Lui non può sapere, ha vent'anni.... che anche questa casa editrice ha pubblicato qualche corbelleria... la sorte lo ha aiutato fino ad oggi e lo aiuterà ancora. Questo libro di nessuno apparso sul tavolo sarà “vero”.



Ha studiato i miti, i greci, e non sapeva cosa farsene di quelle nozioni. Il titolo. “La morte della Pizia”. Ecco, la Pizia. Sa chi è. Uno a zero per lui. Prima la sorella gli ha chiesto chi era. Forse papà lo sa. Lui sa tutto. Il fatto di sapere qualcosa che non tutti sanno lo rinfranca. Si sente importante. Superiore a qualcuno, ma a chi, e cosa farsene di quella superiorità! Lo pensa. È un buon inizio. È nato e cresciuto in un mondo involgarito dall'etica dello sport. Esiste sempre una classifica, un migliore. Ha avuto un attimo il sospetto che sia una cosa stupida, particolarmente se applicata in ambiti estranei allo sport. Pensa ai premi letterari. Primi anche li. Anche li classifiche. Ai premi scientifici. Si sta perdendo. Non sa ancora elaborare nella stratosfera. Si è appena staccato dal suolo. Ci vuole calma. Tempo.... ed ecco che inizia a comprendere che il tempo.... ma anche questo non è ancora chiaro. E poi, la letteratura. A scuola danno solo certezze, l'ha capito. Devi ripeterle per avere un buon voto, ma non son certezze. Lo ha capito tanti anni fa e quel dubbio tuttora irrisolto torna a galla spesso. Ricorda che verso i dieci anni ebbe un'infatuazione per i libri di avventura. Inciampò nel Moby Dick e qualcosa non funzionò come negli altri libri. Il capitano Achab ogni tanto la notte appare con la rumorosa gamba di legno e lo sveglia. Non dice niente e sorride. Strizza l'occhio destro e si siede sull'unica sedia della stanza. Gli dice “dormi, dormi. Ci penso io a non far entrare brutti sogni” e lui si addormentava con quel mistero ancora irrisolto. Quel capitano aveva perso la gamba per colpa della balena bianca. Nel romanzo la ri sfidava ma si cappiva benissimo e subito che non avrebbe potuto batterla. Ma che senso ha leggere la descrizione di una sconfitta! Che senso ha che il buono non si capisce se è veramente, profondamente buono! È tutto mescolato in quel libro. Che senso ha! Spesso la notte lo avrebbe voluto chiedere al capitano, ma non l'ha mai fatto. Sapeva che era un sogno...



va a letto. La finestra è aperta su un paesaggio di alberi. Rumore di grilli. Un congegno elettrico e lievemente profumato difende dalle zanzare. Non c'è frescura ma stando immobili si può almeno leggere, pensare. Lei da quando il caldo si è fatto insopportabile non striscia più dalla finestra nel suo letto. Non arrotola più il suo sottile e lungo corpo al suo. Quella stretta che esplode in un orgasmo e poi si fa asfittica, non necessaria, lo sorprende sempre. Lo attira all'inizio e si fa repulsione. I suoi occhi brillano nel buio. I denti bianchi, i baci a fior di pelle. Speso si sente cibo e lei a piccoli morsi lo fa impazzire di estasi. Ma poi tutto finisce, e lei senza una parola scivola via. E si perde in quell'immensità di prati, alberi e cespugli. Non ha il coraggio, la forza, la volontà di chiudere la finestra. La attende e poi alla fine la teme. Ma questa sera, ed è la terza, questo caldo folle la terrà lontana. La immagina in questa notte di luna che si bagna nel lago. Dista cinque minuti e inizia con acque basse...

si stende. Apre il libro. Dunque, la Pizia.... ha letto d'un fiato. Ha ritrovato i suoi studi. Gli studi si son fatti base di partenza. Gli hanno permesso di capire, di non affogare nei nomi di Laio, Creonte, Edipo, Tiresia, Omero, Agamennone, Eracle, Delfi, Corinto, Tebe, Cadmo, Armonia, Prometeo, Tantalo, Clitennestra, Leda, Minosse....



“...solo la non conoscenza del futuro rende sopportabile il presente.....”



“...Niente al mondo infatti l'uomo sopporta con più difficoltà della giustizia implacabile. Proprio questa egli ritiene sommamente ingiusta. Tutti i tiranni che fondano il loro dominio su grandi princìpi, l'uguaglianza dei cittadini tra loro, o l'idea che i beni di ognuno appartengano a tutti, suscitano in coloro sui quali esercitano la loro podestà, un sentimento di soggezione incomparabilmente più mortificante di quelli che, anche se assai più ignobili, si accontentano, come Laio, di fare i tiranni, troppo pigri per addurre una qualsiasi giustificazione al proprio comportamento: essendo la loro dittatura lunatica e capricciosa, i sudditi hanno la sensazione di poter godere di una certa libertà. Non si sentono tiranneggiati da una arbitraria necessità che non consente loro speranza alcuna, ma piuttosto da un arbitrio assolutamente casuale che ancora permette qualche speranza....”



ha capito. Ha capito perché ha studiato la storia, e ha provato quelle parole addosso a Syalin, Hitler, Mussolini, Alessandro il Grande, Napoleone, Cesare...

La filosofia. Coi suoi ragionamenti spesso frigidi, esasperati, così puntigliosi da sembrare maniacali, in un letterato si fa viva? Ma chi è questo Durrenmatt.....



“ sui giorni felici non c'è mai molto da dire -aggiunse la Sfinge dopo un lungo silenzio- la felicità detesta le parole”



e ora pensa a lei. Lei che arriva dalla finestra silenziosa e si adagia su di lui, in lui e senza una parola....



ragiona poi sulla razionalità e la fantasia. Due vie che, a quanto pare non hanno permesso a Tiresia e alla Pizia di capire un bel niente della vita....



E quella felicità che detesta le parole....



Chiude il libretto. È notte fonda. I grilli tacciono.



Esce dalla finestra, passi cauti lo portano al lago.



Pensa. “lei tace.... lei è felice. Lei....” e non sa continuare.



Arriva all'acqua. La luna è completa e illumina, ma la sua luce è irreale come nei sogni.

È solo. Si tuffa, nuota. Arriva dove è è profonda. Qualcosa lo sfiora da sotto, lo tocca. Lo abbraccia, lo tira giù.



Esplode il respiro, la luce si fa buia ma intensa, si arrende.



E alla fine lei gli nuota di fianco.



Anche lui ora non parla. Non ne ha bisogno, e non ha più paura ora che il “gioco” è terminato.



Pensa... “è un sogno. Mi sono addormentato con il libro sul petto e nonostante il caldo, dopo tre giorni la desidero talmente tanto che....”



si siede sulla riva del lago. Guarda la luna sereno. Lei è di fianco. Lo sa. Chiude gli occhi cercando di comprendere quanto può essere profonda la felicità.



E nel buio degli occhi il capitano Achab per l'ultima volta lo saluta. Lo capisce perché dice addio e si vede che è commosso.



“Addio. Si, addio mio capitano: ora penso di sapere la rotta”










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