giovedì 5 gennaio 2012

Baricco

Spesso mi hanno domandato perché non parlo mai di Baricco. Quasi mai è invece la risposta corretta. Di “Novecento” ho detto cose buone. È un buon teatro da leggere. Sensato, valido. So che ne hanno poi fatto una versione teatrale e anche una cinematografica ma ad esse non mi sono interessato per il seguente motivo: solo due volte mi è capitato di “vedere” un film che fosse all'altezza dell'opera letteraria da cui era tratto e ho fatto di conseguenza qualche ragionamento.... Si tratta di “La morte a Venezia” di Mann che secondo il mio personale parere è di molto migliore del libro e ammiro in Visconti l'essersi cimentato solo quando effettivamente si è sentito all'altezza del compito, e Solaris di Tarkovskj. Quest'ultimo caso è assai particolare. Libro e film sono molto diversi. Tarkovskj si è “nutrito” della genialità di Lem e poi ha prodotto qualcosa di notevolissimo e altamente personale. Due capolavori simili e diversi. Per il resto penso che, quando qualcuno si cimenti nel fare la versione filmica di un testo letterario, compia un errore grossolano. Un'idea che esce dalla mente in forma di parole è una cosa, un'idea che nasce in forma di immagini è completamente diversa. Esiste un passaggio nel quale si perde molto, troppo. Mi spiego. Penso e scrivo e poi arriva qualcuno che prende lo scritto e lo trasforma in immagini. Abbiamo tre passaggi: pensiero, scrittura e immagine. Ho la sensazione che ad ogni passaggio si perda qualcosa. Già per me è dura accettare che per ora nessun mio scritto ha saputo rendere non più di un'ombra di quel che ho pensato. Ed è presto detto perché accade. Le parole, tutte le parole che noi usiamo, nacquero per la vita pratica. I termini astratti son nati dal “misero” adattamento di vocaboli che avevano significati palpabili. Anima per esempio non per caso ha la radice in comune con l'anemometro, lo strumento che misura la velocità del vento. Ascoltiamo ora Borges quando racconta delle difficoltà che dovette affrontare Wulfila per affrontare una storica traduzione....1

“All'origine delle letterature germaniche c'è il vescovo dei Goti Ulfila (Wulfila, Lupacchiotto), nato nel 311 e morto verso il 383. Il padre era goto, la madre una cristiana prigioniera; oltre alla lingua gotica Wulfila padroneggiava latino e greco. …..diede inizio, a nord del Danubio, alla conversione dei goti.....l'opera maggiore di Wulfila fu la traduzione visigotica della Bibbia.... prima di iniziare la traduzione, dovette creare l'alfabeto in cui l'avrebbe scritta.....i germani possedevano l'alfabeto runico, che aveva poco più di venti segni, adatti per essere incisi su legno e metallo, e legati, nell'immaginario popolare, alle stregonerie pagane. Wulfila prese diciotto lettere dall'alfabeto greco,

cinque dal runico, una dal latino e un'altra non si sa da dove, che aveva valore di Q, e fabbricò così la scrittura che venne chiamata ulfilana o anche maeso-gotica....riprodurre quella letteratura, a volte complessa e astrusa, in un dialetto di guerrieri e di pastori, è un'impresa che sembrerebbe a priori impossibile. Wulfila la compì con decisione e a volte con acume. Com'è naturale, fece abbondante uso di barbarismi e neologismi; dovette incivilire la lingua. La sua lettura ci riserva delle sorprese. Nel Vangelo di Marco (8:36) sta scritto: “Che gioverà all'uomo acquistare il mondo intero se si rovina l'anima?” Wulfila traduce mondo (cosmos nell'originale) con “bella casa”. Qualche secolo dopo, gli anglosassoni avrebbero tradotto “mondo” con “werehald” - età dell'uomo, che contrappone il tempo umano all'infinita durata della divinità. I concetti di cosmo e di mondo erano troppo astratti per i semplici germanici.”



Fine della citazione. Aggiungo una considerazione che conferma sempre più l'origine concreta dei vocaboli: Barbaro....barbar....stava per popolo che balbetta, tartaglia, del quale non si capisce assolutamente niente.



Ebbene.... anche se noi abbiamo dimenticato l'origine delle parole è comunque evidente che abbiamo adattato qualcosa di pre esistente per riuscire ad esprimerci in modo sempre più sottile e preciso. La precisione totale però non può accadere, mi sembra evidente, se non in un modo trasversale al linguaggio. Faccio un esempio. Conosco la vasca da bagno ma non la barca (sono per esempio un pulitissimo altoatesino neolitico) e mi ritrovo a fuggire dalle coste liguri con gente arrabbiata alle calcagna. Adatto la vasca da bagno a barca e mi avvio. Con un po' di sedere (versione edulcorata ma avete capito), potrei arrivare anche in Africa, ma è molto più facile che il viaggio diventi verticale, ovvero che si affondi. Intendo dire che si intraprende un viaggio, con la lingua, attuato con mezzi di fortuna, adattati alla meglio. Potrebbe anche accadere che l'altoatesino igienista arrivi da un popolo di zozzoni felici ed ecco che per loro la vasca diventerà solo e definitivamente un natante.... e così si dimenticherà che l'anima deriva dal vento eccetera eccetera eccetera.



Io scrivo, anzi trascrivo pensieri, per comunicarli prima di tutto al mio io che ama ritrovarli (si sa che la memoria non è affidabilissima...). Accade che uso materiale riciclato del quale non ricordo bene il valore originario. Mi sembra ovvio che del mio pensiero si perderà qualcosa. Se io uso indiscriminatamente di tutto per costruirmi una casa, otterrò indubbiamente una casa, ma sicuramente diversa dalla mia idea progettuale. Perché uso per esempio ossa e pelli? Perché non ho altro oppure non sono ancora abbastanza sveglio per valutare col ragionamento...



Esiste però un linguaggio che funziona e sembra essere in grado di contenere significati immensi. Si tratta per esempio della letteratura, della pittura, del grande cinema eccetera. Quel che accade è che ci si distanzia dalle parole (prendendo la letteratura come esempio) e si crea con esse una massa che se analizzata parola per parola apparirà indistinta, poco chiara, non troppo ragionevole, ma se “bevuta d'un fiato” offre un'immagine inaspettata.



Tutto questo polpettone di parole per cercare di spiegarvi perché secondo me tre passaggi, pensiero-scrittura-film, son troppi. Si “sente” ora quel che intendevo dire? Il pensiero ad ogni passaggio subisce un adattamento che richiede una perdita di potenza, un po' come il fiume che ad ogni ansa, anche se di poco, comunque rallenta.



Se quindi Baricco ha scritto “Novecento”, io leggo “Novecento” e non son troppo attirato dall'idea di vederlo a teatro o al cinema. Se scopro che, come un certo Shakesperare, oppure Moliere o Fellini, o Antonioni, solo per nominare qualche persona saggia nel prodotto ma anche nell'agire per crearlo, dicevo, se scopro che queste persone hanno messo il pensiero in mezzo ad un gruppo di collaboratori, che siano attori, sceneggiatori poco importa, e che l'idea è nata per essere vista, allora mi avvio con interesse alle sale addette a mostrare...



Dimenticavo: si ritiene che il dio degli ebrei, e quindi anche quello dei Cristiani e dell'Islam, abbia creato nominando. Dicendo zebra era sorta dal nulla quella bestiolina a strisce eccetera. Si è immaginata quindi una lingua perfetta, venuta da dio, capace quindi di esprimere tutto con chiarezza poiché la divinità non può essere altro che chiara e se non capiamo, come accadeva quasi sempre con gli oracoli, il limite è ovviamente nostro. La lingua invece di perfetto non ha nulla e in più, secondo me, il nostro io più antico è pure asessuato. Esso agisce in relazione alla sottomissione dell'altro e questo lo si ottiene con la potenza. Se ho una sola razione di cibo e quella mi salva la vita, il fatto che di fronte io abbia una femmina o un maschio non mi condiziona. Prima salvo la pelle poi affronterò altre questioni. Penso di aver reso l'idea.



Torniamo a Baricco. “Novecento” secondo me è nato dalla sola mente del suo autore e da scritto, forse immaginato sulla scena è poi diventato per destino forse anche cercato, brano teatrale. Per questo preferisco leggerlo.



Ma oltre a “Novecento” mi rapporto assai male con la sua opera. Mi ha bloccato forse irrimediabilmente la lettura di “Seta”. Si tratta di un racconto pubblicato singolarmente e per fargli raggiungere il centinaio di pagine hanno “tirato” nei caratteri e poche sono le frasi per pagina.

Ma non dilunghiamoci sui gretti trucchi degli editori per guadagnare.



Il racconto è elegantissimo e ha immagini di effetto sorprendente ma.... ma è costruito. Sento che dietro non c'è l'io dell'autore o della sua epoca. Esiste un calcolo preciso. “io so fare e ora scrivo qualcosa di elegante”. È come vedere un abito chic su un manichino o su una persona. Nel racconto di Baricco, Baricco non c'è....



Un uomo deve andare una volta all'anno dalla Francia in Giappone per recuperare uova di bachi da seta. Siamo nella metà dell'ottocento. Quindi il paese del sol levante si fa misterioso esattamente come fu la Transilvania per l'autore di Dracula. Pochi tuttora conoscono il Giappone ma molti lo immaginano, e quando si immagina, come il folle di “Amarcord”, il luogo esotico offre le visioni sensuali che desideriamo, se siamo abituati a non volare alto con la somma di cuore e mente.....



Nel libro di Baricco accade proprio questo. Bella è la scena della tazza da tè. Lei sembra dormire appoggiata al suo anziano e potentissimo amante giapponese, ma poi prende la tazza del francese e beve dal punto dove lui ha posato le labbra. Bello ma irreale. L'amante anziano potente e ricco è li e vede. Se fino a quel momento è stato potente saggio eccetera, come mai improvvisamente diventa un “pollo?”. E poi accade pure che il francese ri prende la tazza, cerca il punto dove ha bevuto lei e ri beve. Non va. Presuppone un giapponese contemporaneamente geniale e scemo.



Bella è l'idea della voliera. Scopriamo che l'uomo giapponese regala alla donna uccelli rarissimi come premio alla sua fedeltà. Quando il francese torna per la seconda volta in Giappone e raggiunge il paesino dove abita il ricco amante della giovane inquietante, viene accolto da un volo multicolore. Lei sa che è arrivato ed esprime così la sua felicità dichiarando anche di voler essere infedele al vecchio poiché appunto quei volatili rappresentavano la fedeltà. Ci sta ed è piacevole, ma quando il francese torna a casa e progetta una voliera e la moglie chiede perché vuole farla, mi “cascano le braccia”. Chiunque anche gli emiliofedisti più incalliti, avevano capito cosa significava la voliera. Ma era proprio necessario rendere concreto, diretto un messaggio già compreso? Questo rinforzo un poco pavloviano mi fa supporre che per Baricco i suoi lettori son considerati tutti come quel giapponese facoltoso, intelligenti si, ma un po' di coccio, quindi ci da una mano. Il problema è che la dimensione sognante, impalpabile che aveva creato, si è fatta dura, percepibile ai sensi più antichi, al palato, al naso, e anche alle dita.



E poi, la lettera che la giapponese invia al francese! È evidente, anzi evidentissimo che Baricco, davanti alla sessualità ha perso il controllo che prima aveva in modo almeno decente, sul materiale che stava costruendo. Si tratta di quel che un maschio desidera che una donna gli faccia e non certo di quel che una donna innamorata desidererebbe fare all'uomo che ha tanto desiderato ma col quale non ha mai potuto concludere un rapporto sia sentimentale che carnale. L'equazione è sbagliata e rasenta il ridicolo. Ci presenta una situazione che parte dal cuore e approda necessariamente ma non solamente, alla fisicità dell'atto sessuale. Baricco ha tolto l'aura del sentimento e si è lasciato andare....ai suoi desideri. Non è l'unico, anche Cohelo regolarmente fa così, ma Baricco aspira ad un livello meno triviale di questo brasiliano che da discografico si è riciclato mistico letterato del sesso fallendo miseramente. Baricco ci offre un'apparenza di cultura e di eleganza, ma ha il difetto, secondo me, che gioca solo con l'intelligenza e mai con la sua vera sensibilità. Per questo che non riesco più a “prendere” un suo libro. Non mi attira, lo trovo finto. C'è il manichino, non l'uomo, sotto quell'abito di parole eleganti....eleganza poi che sembra tale, solo se vista da lontano.



È in più sorprendente che l'unica giapponese presente in Francia all'epoca sia ovviamente una raffinata mignotta......



Amen



1Da: “Brume, Dei, Eroi” di Borges e Maria Esther Vazquez – ed Franco Maria Ricci – marzo 1973 – Parma da pagina 39 a seguire.

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