domenica 22 gennaio 2012

Tuavii di Tiavea: Papalagi

Esistono libri che si fanno interessanti al primo impatto,  quando scopriamo, per esempio da un’amico da quale nuovo punto di vista viene trattato un argomento.

“Papalagi” è uno di questi casi. E’ pubblicato da “Stampa Alternativa”. Lo incontrai la prima volta qualche anno fa. Era nelle edizioni “Mille lire”, in carta morbida. Un libretto sottilissimo e floscio che sembrava fatto con la carta di giornale. Lo presi perché qualcuno mi aveva accennato l’argomento. I Papalagi sono gli europei. Chi scrive è Tuavii, signore di Tiavea, villaggio dell’isola Upolu  che si trova nel gruppo di isole dette Samoa. Siamo nel 1920 quando Erich Scheurmann decide, contro la volontà di Tuavii, di dare alle stampe, inizialmente in Germania, questo testo. Non era terminato. Ogni capitolo era un abbozzo che serviva al suo autore per tenere discorsi alla sua gente. Ringrazio Scheurmann per la decisione.

Con questo testo, forse per la prima volta, un pubblico di non addetti ai lavori ha potuto scoprire cosa pensa un indigeno della “civilizzata” Europa.

Il vocavolo indigeno è strano e di applicazione ambigua. Tutti siamo indigeni di un luogo e questo è un significato. Proust era indigeno di Parigi per intenderci. Questo significato si attorciglia comunque con un altro che vuol dire dell’altro. L’indigeno è colui che vive in situazioni arretrate. Di solito non si intende dal punto di vista economico, m,a di civiltà. Ecco che son quindi indigeni quelli delle Samoa come quelli dell’Amazzonia eccetera.

Questo indigeno delle Samoa (così facendo ho inglobato ambedue i significati e risolto un’ambiguità linguistica) questo indigeno, dicevo, desiderò visitare l’Europa e fu accontentato. Vide Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia (di questi stati ho la certezza).

Quando tornò alla sua capanna, decise di scrivere quegli appunti per darsi una linea precisa nei dialoghi con la sua gente. Suddivise questi brevi capitoli per argomenti e poi cercò, impresa quasi impossibile, di spiegare un mondo profondamente diverso, a gente che non l’aveva mai visto.

E’ divertente in vari casi cercare di comprendere cosa sta descrivendo e per noi europei del 2012 spesso la situazione non è semplice poiché in un secolo di cose ne son cambiate. Quando descrive il cinematografo, la presenza del pianoforte ci pone fuori strada, pensiamo di aver compreso male e che si tratta di un teatro. Accade che dobbiamo renderci conto che era sì cinema, ma muto.

Eè un po’ difficile all’inizio quando descrive l’abbigliamento e per semplificare vi invito ad immaginare un uomo in giacca gilet e pantaloni. È divertente la digressione sul gilet poiché notò che che cercava molte femmine lo si riconosceva per questo indumento colorato, unica licenza che i maschi europei si prendevano in un abbigliamento di solito sempre scuro. All’epoca, quando lui venne “da noi” le donne avevano ancora l’uso di mettere sottogonne e busti irrigiditi con ossa di balena.

E’ ovvio che in questo senso possiamo distanziarci da quella gente ed ambire a considerarci “europei di oggi”, ma quando questo testo inizia a diventare diciamo filosofico, “sentiamo” profondamente, prima con divertimento e poi con stizza, che Tuiavii ha perfettamente ragione.

Ha ragione anche per chi non crede in dio, questo va sottolineato, e in più non si può far finta di non aver compreso la lezione come si può fare, e con sacrosanta ragione, coi testi di tanti filosofi che han scritto in filoso fese, lingua ridicola adatta solo per gli addetti ai lavori. Fortunatamente si può vivere e bene senza aver letto certi libri (Hegel tanto per dirne uno)….E’ un poco la situazione ridicola che si sperimenta quando il primario ci parla in medichese e noi lo guardiamo allucinati. A lui, sappia telo, non gliene frega niente se non capite. Dall’alto ci cala le sue perle di saggezza, e sappiamo benissimo che non ci salva nemmeno prendere in mano i fogli che ha scritto poiché son quasi sempre con una calligrafia incomprensibile. Ovviamente nel caso del medico si deve trovare una soluzione. In quelle parole giace la nostra malattia e bisogna assolutamente capire, ma un testo di filosofia! Se lo scrivono in filoso fese, io, laureato anche in quella materia, vi invito a metterlo in bagno e ad utilizzarlo nei casi d’emergenza …

Se vogliono parlare fra di loro e basta, i filosofi, che facciano pure. La vita si volge nella vita, non nell’operazione inutile di criptare in un linguaggio inutilmente tecnico delle verità che spesso, quando si son capite, non valevano la spesa ….

Questo libretto invece, come capitò al caro Socrate, è terribilmente leggibile. Non ci sono scuse. Comprenderemo e non abbiamo scappatoie che ci permettano di negarlo. Il linguaggio è semplice. Il messaggio è forte.

Esito. Ci si sente ridicoli. Le cose, il pensiero, il lavoro, nella sua ottica vengono distrutte.

Posso dire di aver fatto il possibile da tantissimo tempo, per vivere secondo il suo stile. Per chi non ci crede ricordo che anni fa vinsi e rifiutai (una storia italianissima e lunga) un premio letterario e la poesia che piacque di più si intitolava “odio le scarpe”.

Unico aspetto che non condivido, e ora cercherò di spiegare perché, è il rapporto con la parola scritta. Condivido il suo ridicolizzare la nostra (vostra…) fame d’informazione e il bisogno di sapere tutto dai giornali e anche dagli altri mass media. Questo blog ne è spesso la prova, poiché in vari scritti me la prendo con un’informazione superficiale e volontariamente inesatta (se accade inconsapevolmente, e so che accade, la situazione si fa ancor più grave).

Per me leggere è importante nell’ambito della letteratura.

La mia battaglia continua consiste nel dimostrare che attualmente, ed esattamente dal primo dopoguerra con troppa forza, si confonde l’intellettuale con l’artista. L’intellettuale è solo pensiero e lo condanno esattamente come fa Tiavii. L’artista è invece secondo me l’unico tentativo della nostra epoca di mantenere un contatto fra ciò che profondamente “sentiamo” e quel che ci accade. Quel che “sentiamo” non parte dalla mente ma ad essa arriva.

Vi riporto un pezzo dal libretto per chiarire leidee:

“Riesce solo con difficoltà a non pensare e a vivere con tutte le sue membra insieme. Spesso vive solo con la testa, mentre tutti i suoi sensi sono profondamente addormentati ……… E’ una specie di ubriacatura dei suoi pensieri. Quando il sole splende bene nel cielo, pensa subito: “come splende bene!”. E sta sempre lì a pensare come splende bene. Ciò è sbagliato. Sbagliatissimo. Folle. Perché quando splende è meglio non pensare affatto. Un abitante delle Samoa intelligente distende le sue membra alla calda luce e non sta a pensare a niente. Accoglie in sé il sole non solo con la testa, ma anche con le mani, i piedi, le gambe, la pancia, con tutte le membra. Lascia che la pelle e le membra pensino da sole. E queste da parte loro pensano, anche se in modo diverso dalla testa …… E’ per lo più un uomo con i sensi che vivono in inimicizia con lo spirito: una persona che è divisa in due parti.”

Ecco su cosa concordo. Il corpo pensa e spesso è grazie a lui che ci salviamo da situazioni impossibili. Se per esempio si cercano risposte a domande che razionalmente non ne hanno, si potrebbe portare, per mezzo della mente, il nostro io totale alla rovina. Anni fa in un racconto immaginai una persona che era arrivata a decidere il suicidio. Si mise sulle rotaie, il treno passò ma non ci fu urto. Non lui, perché noi purtroppo ormai ci identifichiamo solo con la mente, ma il corpo si era mosso e aveva rifiutato quella scelta. Il protagonista di quel racconto decise di lasciar fare al corpo e riscoprì la vita….

Per me le opere artistiche, quelle vere, quelle che appunto trasformano in linguaggio, disegno e colore, musica ecc, un messaggio che ci viene da dentro, sono diverse dall’altra carta stampata. Quella è “roba” vera. Profondamente nostra, per il semplice fatto che, come ci ricorda con quel bell’esempio del sole Tuiavii, noi non pensiamo solo con la mente.

È poi strepitosa la sua interpretazione delle opere d’arte. Lui vide sculture di nudo, paesaggi dipinti eccetera e identificò i musei come templi della nostalgia di quella vita definitivamente perduta, la vita di Tuavii, delle Samoa, dove le ragazze girano seminude, la natura entra in casa e l’uomo entra nella natura senza pretendere di cambiarla.

E ora veniamo ad un cavillo di questo grande uomo che mette un poco in ginocchio le velleità della fisica, sia quella di quando lui visitò l’Europa che quella di oggi:

“Questo ficcare il naso e frugare in tutte le cose è una brama volgare e spregevole dell’uomo. Prende la scolopendra, vi ficca una piccola lancia, le strappa una gamba. Che aspetto ha una zampa divisa dal suo corpo? Come era fissata al corpo? Rompe la zampa per misurarne lo spessore. È importante, è essenziale. Stacca un pezzetto di carne grande quanto un granello di sabbia e lo mette sotto un lungo tubo che ha un potere misterioso e fa vedere molto meglio. Con quest’occhio grande e potente guarda dentro ogni cosa, che siano lacrime, un brandello di pelle, un capello, assolutamente tutto. Taglia tutte queste cose finché non è più possibile romperle e tagliarle. Anche se questo punto è senz’altro il più piccolo, è anche il più piccolo il più essenziale di tutti, perché è l’accesso alla conoscenza suprema, quella che possiede solo il Grande Spirito. Questo accesso è vietato anche al Papalagi, e i suoi migliori occhi magici non ci hanno ancora guardato dentro. “

La caccia attuale all’infinitamente piccolo, ai neutrini, bosoni eccetera, ha in Tiuavii un senso preciso; si tratta del limite ultimo, fra la conoscenza concessa all’uomo e quella che appartiene alla divinità. Sorprendentemente vari fisici attuali, la pensano proprio così. Non voglio dire con questa affermazione che approvo la teoria che Tuiavii propone. Secondo me, lo dico barbaramente, la materia non esiste se non come energia talmente concentrata da esser diventata percepibile ai sensi. E l’energia altro non è che una possibilità di fare.  Ridicolo? Sarà, ma Penrose, ha “corretto” due mesi fa la teoria del Big Bang in un modo che proposi in un mio scritto intitolato “Echte Blumen” (ed. Mic Studio) uscito in Germania , esattamente a Furth, nel 2007… Sarà sicuramente un  caso ….. Io son partito da un dato che trovavo incoerente. Definire infinito l universo e un big bang unico equivale a far rientrare l’antropocentrismo nella fisica. Il big bang si fa centro di un infinito? È umano. Abbiam perso la centralità con Kepler e una parte di noi stessi con la scoperta del subconscio ed ecco che, teneramente, ci riposizioniamo al cento: La fisica, come tutte le scienze è prima di tutto espressione di una filosofia, di un’estetica, solo così possiamo spiegare la fissazione durata secoli a ritenere il cerchio l’unica traiettoria dei pianeti. L’ellisse è meno bella …..

Vedete quanto pensiero semplice e semplicemente profondo in Tuiavii?

A me non badate, nonostante i miei sforzi, sono ancora troppo europeo per poter essere considerato sano!

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