Dopo aver affrontato l'argomento in
vari scritti, in modo forse mai troppo chiaro e certamente impulsivo,
provo ora ad approfondirlo con tempo, calma e decisione.
Unico “pasto” presente in questo
pranzo di parole sarà il tentativo di rendere conto di come sento la
differenza fra intellettuale e artista. Se mi son permesso di
lanciare ogni tanto delle brevi insinuazioni è comunque perché
ritengo che siano sufficienti per far intuire un problema enorme
della cultura italiana e non solo, che ormai ha superato la soglia
del ridicolo....da anni, e attualmente... una volta resi edotti della
natura di questo mio e forse anche vostro sorridere triste, con
l'aggiunta di un evidenza che si fa concreta, palpabile,spero, con
questo scritto, penso che la situazione si trasformi in una farsa
stupida, intollerabile, a meno che non si rientri in quella categoria
che delle varie espressioni artistiche fa un atteggiamento e uno
strumento di autoaffermazione, nascondendo anche a se stessi,reato
più grave nel nostro compito non facile di cercare di dare un senso
alla vita), nascondendo, dicevo, anche a noi stessi, la bugia sulla
quale pretendiamo si regga la nostra personalità davanti agli altri.
Ritengo che l'autoaffermazione, quella
vera, positiva, nasca dalla coazione del plauso altrui, quando
spontaneo e dato da un “altro da noi” di indiscusso valore e non
scelto quindi a nostro comodo, e dalla capacità di dialogare
francamente con se stessi. Se si inizia a dire bugie anche a se
stessi.... è finita. E bugia colossale è credere che
l'intellettuale abbia a che fare col mondo dell'arte.
Inizio raccontando come Tonino Guerra
ottenne la sua prima notorietà letteraria. Premetto che ne discussi
con lui e di recente, la moglie che in partenza si era dimostrata
scettica sul fatto che esistesse una versione diversa da quella che
lui conosceva, ha ammesso, come Tonino stesso, che ero “nel
giusto”.
Nel 1951, ad Elio Vittorini viene
affidata la direzione della collana “I gettoni” di Einaudi.
L'anno dopo viene pubblicato “La storia di Fortunato” di Tonino
Guerra. Tonino gli fu sempre riconoscente. Gli dedicò anche il libro
“L'equilibrio” edito Bompiani. La nostra discussione, (fra me e
Tonino ovviamente), nacque quando lui mi prestò proprio quel libro
dedicato. Gli feci notare che nulla, ma proprio nulla dell'opera di
Vittorini, mi era mai piaciuto. Trovavo che avesse costruito i suoi
libri con l'intelligenza e, influenzato da quel che accadde in arte
dal primo dopoguerra, si era lanciato nel “gioco” ormai di moda
di costruire una tecnica letteraria creata a tavolino.
Secondo me prima si ha l'idea, che si
deve saper lasciare sgorgare dal profondo, e poi essa, se si è
scrittori o poeti, si trasformerà in parole. E non si tratterà di
parole costruite dall'intelligenza, dalla mente razionale. Quello
stadio perfetto del pensiero nel quale esso ha l'idea pura
disancorata da qualsiasi forma concreta, visibile ai sensi, si
trasforma da sé, in parola o colore o musica o altro! E Vittorini
progettava l'idea, la sua forma e i suoi significati. Non andava a
“razzolare” nel suo io più profondo, in quel luogo dove l'io si
fa anima del mondo, dove il linguaggio è simbolo arcaico ed eterno,
in quel punto immenso e atemporale nel quale essere divinità e se
stessi non presuppone alcuna differenza. Pensare diventa così
creare, in modo inconsapevole. Tutto quel che l'artista ha fatto è
stato il creare le condizioni perché questo sgorgare spontaneo,
accadesse. Leggere e vivere, sono ingredienti che vanno nel crogiolo
di quel luogo indefinito, e anche con questi compiti, si plasmano da
sé quelle forme profonde. Leggere poi, è un'attività che può
essere abissale e che riferisco solo alla letteratura. Si tratta
dell'immersione nell'io universale percorso e raggiunto da un altro
essere e, se ho l'umiltà giusta e la capacità di arrendermi al
flusso del suo dono, posso vivere, anche se parzialmente la grande
esperienza della creazione e goderne i frutti. Leggere comunque è
come guardare la divinità della vita da uno specchio. Facile sarà
confondere destra e sinistra (provate....) e non conta moltiplicare
gli specchi. Si otterrebbe solo un infinito che si fa gorgo e perdita
di orientamento. Leggere quindi come esperienza profonda, personale,
incomunicabile, ma lasciata all'intuizione, al l'anima, al cuore.
Vivere, l'altro ingrediente, si deve.
Abbiamo un corpo, se lo trascuriamo o offendiamo, ci presenterà il
conto e le visioni che sgorgano dal profondo saranno sane, grandiose
se le asseconda la volontà di vivere, di dare un senso alla vita.
ma.... vivere non è ovviamente uno sfinirsi nell'essere consumatori
o nel “palestrarsi” e nutrire sempre e solo i sensi....il corpo è
uno strumento del quale si può diventare schiavi. Non deve
comandare, ma essere utilizzato per fini elevati. Così è anche per
la mente. Pensare il pensiero per esempio, spaccare il capello in
quattro sulla natura e struttura del linguaggio non ha molto senso
per un artista che si ritrova a dover trasporre il simbolico profondo
in linguaggio concreto....
Tonino, dopo una prima sorpresa causata
dalle mie parole, mi disse che in “Conversazione in Sicilia”
secondo lui, c'erano delle pagine splendide. Mi chiese se lo avevo
letto. Risposi di sì e, poiché non mi dimostrai disposto ad
accettare quel consiglio, il discorso cadde, anche perché me ne
stavo andando. Tonino sapeva che quel che mi dava da leggere lo
“mangiavo” prima di subito e già il giorno dopo mi telefonò per
sapere cosa ne pensavo di quella sua creatura. L'avevo vista nella
libreria dello studiolo dove di solito si chiacchierava in santa pace
e, mentre lui “schiacciava” il solito pisolino del dopopranzo, mi
ero steso in giardino, proprio sull'erba, e avevo letto una decina di
pagine. Tonino quindi sapeva già che l'avevo trovata interessante e
me la diede per saperne di più. Era una delle sue caratteristiche
più piacevoli. Lui, che valeva tanto, si metteva in gioco, era
curioso, veramente, di quel che ne pensavo. Al telefono il giorno
dopo, gli dissi che era sicuramente un buon libro e gli dissi che
“quella roba”, esattamente come “La storia di Fortunato” una
persona come Vittorini non aveva gli strumenti per comprenderla. Mi
chiese perché e gli risposi “vengo domani e te lo spiego”.
“Tonino, tu cosa sei, cosa ti senti
di essere?”
“un poeta. Il resto, la
sceneggiatura, i quadri, vengono dopo”
“posso dire quindi che sei un
artista. Lo sai come la penso sulla definizione. Artista è colui che
sa raggiungere e ascoltare la propria voce interiore e la rende
visibile all'intelletto, sensibile, palpabile”
“ora..... cos'è Vittorini?”
“uno scrittore.....”
“secondo me è un intellettuale. Lui
si limita a ragionare. Per questo i suoi libri attualmente li legge
solo chi è costretto dall'università. Può incuriosirti, ma non ti
rimane dentro. Non merita di essere ricordato.... come dice Borges”
“ma ti rendi conto che ha scartato
-Il Gattopardo- ?
“son cose che possono succedere....”
lo disse con lo sguardo incerto.
“Tonino, tu stai difendendo una
persona verso la quale hai un grosso debito di riconoscenza....”
Sorrise. Fu Elena croce, la figlia di
Benedetto a dare al romanzo di Tomasi da Lampedusa, la spinta
giusta....
Bisogna anche dire che una
caratteristica della generazione di Tonino fu di essere riconoscenti
a prescindere dalla situazione. Non la si valutava. Mi ha aiutato, lo
ringrazierò in vari modi, e questi modi, agli occhi della mia
generazione san di servilismo. Era così comunque, e basta.
L'Italia si è affrancata, sulla carta,
dalla monarchia, solo con la fine della seconda guerra mondiale. Quel
tipo di governo presuppone una struttura clientelare e il re è il
grande elargitore. La democrazia italiana, trovandosi per forza di
cosa ad utilizzare uomini allevati in quella mentalità, si strutturò
in gruppi che elargivano, noti col nome di partiti, ai quali si
affiancava la chiesa, potentissima al punto che per esempio,
l'accademia militare di Modena, prevedeva, preferibilmente la
raccomandazione di un religioso di grosso calibro. Dopo il crollo del
Muro di Berlino, si stabilirono nuovi equilibri e quel che si ottenne
fu un ridicolo (secondo me) compromesso fra un regno e una
democrazia. Attualmente il presidente del consiglio dei ministri
(minuscolo voluto...) è un re ad orologeria, a tempo. Accade anche
in Francia e non solo...non ci si deve stupire quindi se la mentalità
di un uomo che nacque nel regno e visse poi tutta l'epoca dello
strapotere dei partiti, abbia agito così. Alla stima si mescolava
anche una consapevolezza di potenza. Ti creavano e potevano
distruggerti con la medesima rapidità. Tonino ebbe la meritata
fortuna di affrancarsi da questo giogo quando personaggi di qualità
spesso indiscutibile come Elsa Morante, Flaiano, Fellini, Antonioni,
Olmi, i fratelli Taviani, Matroianni, la Loren e suo marito,
Visconti, Moravia, Rosi, Forman, Carrière, e potrei continuare per
un quarto d'ora, quando queste persone, di valore rovesciarono i
ruoli. Non era più necessaria quella sudditanza. Tonino era un
talento.
Il suo ideale era di sinistra, ma il
partito che avrebbe dovuto incarnare questa idea, oltre ad essere un
grande elargitore di poltrone, poltroncine e sedie, pretendeva di
dare ordini agli intellettuali. Sì, agli intellettuali, perché
all'epoca intellettuali e artisti erano considerati ormai la medesima
cosa strumentale. Essere definitivamente riconosciuti come talento
permise a Tonino di staccarsi dal partito. Quando diceva di essere un
“comunista zen” intendeva proprio dichiarare che lui non si
allineava con un partito che pretendeva l'obbedienza. Rimase qualche
strascico con traccie fossili inconsapevoli di quel modo di
comportarsi ereditato all'epoca dello sviluppo. Quando un bambino si
fa uomo sotto un sistema regale e pure dittatoriale, qualcosa rimane,
anche se appunto inconsapevolmente. Tonino, davanti alla mia pretesa
di separare intellettuali e artisti si rivelò pienamente d'accordo.
Gli toccò rivedere alcune categorie, alcuni rapporti che erano
segnati dall'amicizia, dall'abitudine della frequentazione,
particolarmente a tavola, davanti alle tagliatelle e al rubino del
sangiovese. Si rese anche conto che con questa separazione di artisti
veri ne rimanevano veramente pochi e lui, che ho sempre considerato
artista puro, diventava una delle figura più importanti del
dopoguerra non solo italiano, poiché grazie al suo lavoro per il
cinema, da fenomeno romagnolo e poi nazionale, divenne di caratura
internazionale. Quando per esempio gli dissi che Joyce, ed
esattamente il suo “Ulisse”, era illeggibile, mi disse che anche
lui era perplesso. Quando poi gli feci notare che Borges stesso lo
diceva, e glielo feci leggere, si senti come sollevato da un peso....
allora si poteva dire! Gli regalai un volume di James Stephens,
dicendogli che li dentro c'era l'anima dell'Irlanda, non certo in
Joyce, che era sola moda e si sa, che finita la moda è finito
tutto....
“Tonino, quello era un
intellettuale.... poteva pensare, ma non andare oltre.... ha visto
nel tuo scritto una tecnica che gli è sembrata nuova e ti ha messo
nel mucchio dei pubblicabili insieme ad un'altra fila che ora è
destinata quasi completamente all'oblio.....tranne te e appunto poco
altro....”
(e dentro di me non potevo non pensare
a quel che un amico bottegaio a Minneapolis mi confidò: “Qui negli
Stati Uniti, la parola chiave per vendere è: -é nuovo, appena
uscito!- , non c'è parola più magica e potente!” e nuova era la
tecnica. Il contenuto doveva essere al massimo allineato o
indifferente ai diktat di dominante o di partito).
“Ma una tecnica non è mai nuova per
chi la usa, e non si emoziona scoprendo che è il primo ad
applicarla. In un artista essa sgorga; è semplicemente la forma
giusta per quel pensiero.”
Mi rendevo conto che era diventato
curioso....
“Mi vuoi dire che mi ha pubblicato
senza capire?”
“Esattamente. Ha applicato la gabbia
concettuale che si era creato e nella quale si era rinchiuso. Tu
rientravi nelle sue categorie perché la tua scrittura era secondo
lui nuova, e sicuramente lo era, Tonino, ma tu non l'avevi scelta con
l'intento di far notare una tecnica. Lui ha confuso l'uso con lo
strumento. Lo strumento-parola, serve per dire qualcosa e il suo uso
è sensato e duraturo se supporta un senso, non solo se
stupisce.....e da quel qualcosa lui si era autoescluso con la
costruzione della gabbia e infilandocisi dentro...”
“Ma... e Calvino, lui ha pubblicato
anche Calvino!
“Stessa musica....Lo leggi e senti
che è finto come scrittore e veramente grande come saggista.... ”
“E' possibile....”
(su Calvino i dubbi si erano già
dissipati da tempo. Esiste una edizione Einaudi intitolata “tra
donne sole”,e che contiene anche la sceneggiatura di Antonioni per
l'omonimo film e due lettere simpaticissime. Calvino scrive a Pavese
che quel racconto proprio non gli piace. Si coglie immediatamente che
non ci ha capito niente ma spara le sue stupidate con uno stile
spavaldo che si schianta come contro il pugno della breve risposta
del grande Pavese. Gli fa capire che è un pivello e noi lettori, se
non ci facciamo guidare fuori strada come troppo spesso accade, dai
critici, (in questo caso si chiama Ernesto Ferrero, e la mia rabbia
non si stempera nemmeno davanti a quel cognome che sa di Nutella!) ce
ne rendiamo conto benissimo. Anche la lettera scritta ad Antonioni,
che prima “lecca” e poi frusta, diventa, dopo le prime le altre
due, una farsa. Si sente che Calvino è diventato qualcuno in
Einaudi, dove prima Pavese, gestiva con occhio e anima di artista
vero quale era, e si permette di scrivere a nome anche di Giulio
Einaudi e di altri non nominati.... Si sa che spesso gli
intellettuali amano usare il plurale che spetta ai re perché in
fondo è a un regno che mirano, un regno di questo mondo..... e
quella lettera era indirizzata ad un altro che era del livello di
Pavese, a quell'Antonioni che aveva scelto di fare un film da quel
racconto proprio perché ne aveva intuito la grandezza.
Tonino dopo la lettura di quelle
lettere, rise. Aveva conosciuto anche Calvino e mi disse che si
divertiva ad immaginarlo mentre riceveva la risposta scritta di
Pavese. Quando gli dissi che pian piano l'intellettuale Calvino era
diventato una potenza che potevi solo lodare se non volevi diventare
vittima dell'oblio generale, mi disse che era vero....Gli risposi che
certa gente ha una faccia talmente dura che ci puoi schiacciare le
noci senza che nemmeno se ne accorgano e secondo me Calvino non ebbe
il minimo sussulto davanti a quel foglio che lo “smussava”. La
lettera dimostrava e dimostra la sua nullità solo a chi aveva e ha
l'abitudine di leggere in indipendenza. Evento più unico che raro
all'epoca e quasi chimera oggi, quando il partito decideva anche i
tuoi gusti letterari e da “grande fratello” subdolo quale era, ti
convinceva della validità anche della robaccia più servile. E poi
Pavese non c'era più. Il suo posto, che spettava ad un artista, era
vacante, e se lo contesero personaggi che trassero vantaggio dalla
confusione di significati fra intellettuale e artista. Dirigere.
Decidere. Questo era affascinate! Un simile essere spregevole trionfò
anche in Gran Bretagna. Si chiamava Eliot. Mi fa ridere amaramente
ricordare che “The waste land”, nella versione originale era di
un migliaio di versi. La diede a Ezra Pound da correggere e ne rimase
un decimo, pure quello modificato. E il Nobel lo ha vinto Eliot, e
non un Dylan Thomas o un Pound appunto! Ma un Eliot.....che più che
il poeta ha saputo “fare”, agire, in modo assai poco poetico.
Dimenticavo. Se lo dico io sarà considerato da molti un fare
supponente, anche perchè li costringo a ristabilire una scala di
valori... Io lo penso da anni quel che dico di Eliot. La sua poesia è
fredda, le limature di Pound son note a tutti, è quindi questione di
ragionare un attimo e di non prendere per oro colato tutto quel che
la critica ci propina. Per chi avesse ancora dei dubbi, invito alla
lettura di “Party sotto le bombe” di Elias Canetti.....
“Pensa poi che Vittorini è stato il
primo a pubblicare Borges in Italia, sempre per quella collana... “
“beh, ammetterai che quella volta ha
visto giusto...”
“Era dentro la gabbia..... come per
te fu un caso. Borges è stato un grandissimo che infarciva di
intellettualità. Era una maschera della sua saggezza. Vittorini vide
solo la maschera e e pensò che fosse il volto...e poi, pensa a
Fenoglio e Rigoni Stern.. Arrivava un loro dattiloscritto e veniva
ordinato loro di correggerlo, di modificarlo un po' quello che accade
oggi ad un Andrej Longo, e il gioco si è fatto talmente lurido e
scoperto che al termine di “Chi ha ucciso Sarah?”, un giallino
pallido pallido, l'autore si trova a ringraziare una editor per aver
massacrato la sua libertà .... in poche parole dovevano e devono
adattarsi alla gabbia. Fenoglio in un paio di racconti non parlò di
guerra e affini, e fece qualcosa di valido....ma non fu libero di
essere sé stesso. Stern era molto bravo, ma fu se stesso anni
dopo...e Poi fai caso che Fenoglio, Calvino e te eravate di sinistra
e reduci chi dai campi che dell'essere partigiani. Il mondo, anche
quello dell'arte lo stavano coniando i vincitori.....voi avevate una
giusta possibilità in più che però non doveva trasformarsi in
proprietà al di là del merito.....”
(Questo discorso aveva per noi due, già
un senso che non si rivela così, da questo dialogo. Tempo prima
avevo portato a Tonino le fotocopie di un libro edito da Mondadori il
25 gennaio del 1940. avevo tolto l'intestazione. Desideravo mi
dicesse cosa ne pensava senza sapere di chi fosse. Mi telefonò
qualche giorno dopo: “molto belli. Notevoli! Mi dici adesso
l'autore?” ed era Alessandro Pavolini. Ministro della cultura
popolare (il famoso minculpop) che fini appeso col duce in Piazzale
Loreto.
Rimase di stucco quanto vi rimasi io
qualche tempo prima. Lo comperai perché in un mercatino dell'usato
costava quanto un caffè e la curiosità poteva valere
l'investimento. Partii pieno di preconcetti, aspettandomi qualcosa di
polposo e urlante, fra il futurista italiano che non amo e lo
sgangheramento fascista da parata.... e invece si rivelò un
gioiello. La sua scomparsa, giusta dal punto di vista storico e anche
morale, visto che si narra fosse sì un fedelissimo irriducibile ma
anche assai cattivello, era sensata dal punto di vista artistico? La
medesima insensatezza che aveva fatto fucilare Lorca e Gumilev, e
Mandel'stam con la testa spaccata contro un water in un campo in
Siberia? E Bulgakov distrutto da Stalin? I loro ideali erano per lo
meno puri, pensabili. E Pavolini....? il dubbio rimaneva, ma il
valore del libro era ed è indiscutibile).
So che nel silenzio che seguì quelle
mie parole su Fenoglio e Stern, ambedue pensammo a Pound e
Pavolini...
e poi aggiunsi: “Non ho indagato su
Ottiero Ottieri, e Lalla Romano. Anche loro furono” presi” da
quella collana. Lalla Romano era indubbiamente sorprendente e
interessante, per esempio, ma non si fa così Tonino!”
e lui mi diede ragione. Riconobbe che
la sua notorietà partì in quel modo, ma la sua meritata fama prese
ben altre vie.
Con Lora, poco dopo la definitiva
“partenza” di Tonino, si parlò di queste cose. Il muro della sua
diffidenza cedette di buon grado e anche lei disse che era tutto
coerente aggiungendo che era molto stimato e fu “spinto” anche da
Carlo Bo e Gianfranco Contini. Le ho risposto con le parole di
Savinio: “Nessuno farà mai un monumento a un critico...” parole
che per ora si son mantenute vere...
Carlo Bo era “Padrone” di una
università. Contini dettava legge da una cattedra e si sa che quegli
ambienti non brillano di correttezza. Tuttora capita che mi dicano
“L'ha detto Anceschi! L'ha detto il tale o il tal altro!”.
Frammento di medio evo che ancora sopravvive e che vuol dirci che il
contenuto di un discorso dipende da chi lo ha enunciato e non dalla
sua coerenza....” mi viene in mente Renato Barilli a Bologna. Mi
disse: “perché non fa la tesi con me? Affronteremo il rapporto
arte e letteratura!” Mi presentai il giorno dopo e vidi una ragazza
uscire piangendo dal suo studio mentre Barilli diceva: “tu devi
portare aventi le mie idee, non le tue!”. La portai a bere un caffè
e mi raccontò che aveva preparato la tesi, un lavorone del quale
potevo vedere la mole davanti a me. Era quasi cubica da quanto era
lunga. Ma non era lei a dover crescere, sotto la guida di un
“saggio?” e io che allora come oggi, amo trasformarmi in don
Chisciotte andai da lui e mi arrabbiai “parecchio” rifiutando di
fare la tesi con lui e sbattendogli in faccia la sua scorrettezza.
Spiegai a Lora che le università come le scuole superiori vendono
certezze e non esiste nulla di più assurdo. Forse mi si può
contestare che anche io sembro certo, quasi dittatoriale, ma mi metto
sempre e completamente in gioco... provare per credere.... E poi,
quante sono le persone disamorate de “I promessi sposi” e di
Dante solo per reazione alle istituzioni che hanno saputo solo
imporle come un diktat? Caro studente. Questo autore e quest'altro
sono bravissimi. Perché? Perché hanno saputo far rime
incasinatissime e perché te lo dico io, ma trasmettere il nostro
amore per quelle cose quando accade? si insegna al cuore, e poi lui
guiderà la mente, e il cuore è in grado di insegnare anche i frutti
freddi dell'intelligenza pura.
Esiste poi un altro sottinteso nel
dialogo con Tonino, ed è nel ruolo della sinistra nella cultura del
dopoguerra. È evidente che l'ha monopolizzata. Il problema è che
quando si ragionava per esempio come Vittorini, si andava ancora
bene, poiché li c'era almeno la buona fede! Dico, con durezza, che
la sinistra ha occupato i posti della cultura ma non ha fatto
cultura, non l'ha promossa. Penso poi all'altra nazione che fu e
forse è tuttora paralizzata dalla sinistra in ambito culturale,
ovvero la Francia. Fate caso che dopo Proust, i francesi hanno
prodotto solo saggistica e si sa che quest'ultima è figlia solo
dell'intelletto. La gabbia della ragione ha fatto strage di artisti.
O ti ci infili dentro e ti adatti, di fatto suicidando l'artista che
è in te, oppure sparisci. Penso anche che i due grandi artisti che
hanno scritto in francese dopo Proust, vengono dal
Belgio....Yourcenar e Simenon e non mi si mettano sull'altro piatto
della bilancia i Sartre, Camus e Gide, che nemmeno si vedono! di
fianco a quei due grandi! E Gide.... come dimenticarlo.... fece il
suo bell'errorino, per me indimenticabile e assai
significativo...rifiutò la pubblicazione del primo volume della
Recherche! Come fidarsi di lui?
ESSERE INTELLETTUALI E' UN MESTIERE ...
ESSERE ARTISTI, UN BISOGNO DELL'ANIMA.
Ecco perché l'intellettuale ha
dilagato. Si sveglia la mattina e, sistematicamente, come qualsiasi
lavoratore, dedica la giornata al suo mestiere che, se gli va bene, è
pensare per sé, se gli va meno bene è pensare per qualcun altro...
L'artista invece è un uomo qualunque
che ogni tanto apre gli occhi interni e osserva profondamente quel
che gli occhi comuni, fatti solo per le cose, non reggono. Non per
niente Omero era cieco e Arsenij Tarkovskij nel 1907 e Levi nel 1945
ne “La tregua” ricordano, a nord del mar Nero, nell'attuale
Uktaina, i cantori ciechi ancora esistenti... e non per niente la
poesia è ancora quasi sciamanica in Russia, in Ucraina... e qui,
nell'Europa tuttora ubriaca di troppo razionalismo, pretendono che si
creda alla metamorfosi del poeta in intellettuale! E infatti non li
legge nessuno e me la rido perché la gente cerca, desidera il vero
poeta e boccia sistematicamente quel che l'ambiente intellattuale
tenta di imporre. Non per niente la poesia è sopravvissuta grazie a
personaggi che son “scappati” dal sistema intellettuale come
Tonino per mezzo del cinema e del contatto diretto col pubblico
tramite la sua Fondazione e de Andrè, de Gregori e Vecchioni, che le
loro poesie le han cantate..... il poeta, come un tempo, si fa
sciamano nel contatto vero, come accadeva a Tonino quando più che
fare conferenze, più che pontificare, parlava con la gente. La tivù
raffredda Non esisti mai veramente quando sei sullo schermo......e la
poesia, come la letteratura in generale, deve cercare il contatto
quasi fisico con l'artista. Devono sentire la sua concretezza, la sua
sincerità nel bene e nel male. Anche Augusto Daolio (si scrive
cosi?) era letteralmente amato, come anche Pierangelo Bertoli, perché
potevi viverti la loro genuinità nella realtà sensoriale, in carne
ossa e canto! Le persone, che assetate di poesia lo sono, devono
essere contagiate dalla sua vitalità. Non ha senso imporli. Anzi, è
ridicolo. E finiscono miseramente in quei cimiteri che si chiamano
antologie. E se leggi i due versi che un intellettuale ha
selezionato, non sai se sbadigliare o cosa pensare, perché dentro
niente si è smosso, nessuna magia ti ha catturato. Se invece accade
che non ti rendi conto nemmeno che ti applichi solo con la mente e ti
ritieni appagato dal misero gioco del pensiero senza nemmeno supporre
che si possa “viaggiare” oltre.... beh, forse allora si fa dura.
Nessuno accetta di dare una sistematina alle proprie fondamenta se
non mentre le si stanno costruendo, quindi in gioventù.... poiché
più si accumulano anni, più si sente l'esigenza di nutrirsi di
abitudini e rifondarsi dà la sensazione di distruggersi...anche la
moda si fa fossile. Vi basta guardare quelle donne sulla settantina
che continuano imperterrite a cotonarsi i capelli creando volumi che
ci sembrano mostruosi, ma che non fanno altro che riprodurre il
concetto di bellezza che a vent'anni avevano elaborato grazie
all'imitazione.....
Ora un altro aspetto curioso e, mi
sembra, mai purtroppo rilevato. Cerco di spiegarmi andando a
spulciare nella vita di Arturo Toscanini. Il padre, Claudio, fu
garibaldino e combatté sia sull'Aspromonte che per la conquista di
Roma. Da sposato tornò alle battaglie e combatté sempre con
Garibaldi, gli austriaci in Trentino. Era un sarto, di umili
condizioni. A Parma nel marzo del 1867, quindi si può dire subito
dopo l'unità d'Italia, mise al mondo Arturo. Si capì presto che era
dotato ma non c'erano i soldi per mandarlo alla scuola regia. Il
padre mandò una lettera di richiesta. Ne ho il testo. È evidente
che Arturo fu accettato perché era figlio di una persona che aveva
lottato per l'unità d'Italia. Questa “spinta”, questo aiutino il
suo destino, lo ricevette. Se fosse stato uno a caso della marmaglia
plebea, o della corrente opposta, sarebbero stati "volatili per
diabetici", …..come disse quel celebre filosofo pugliese (Lino
Banfi). Il resto ovviamente ce lo mise Arturo, con la sua memoria
prodigiosa e questo innamoramento così precoce per Wagner!
Possiamo vedere quindi come
quell'epoca, e giustamente, semplificò la via verso una eccezionale
carriera di un grande e meritevole anche se aveva un caratterino che
la Fornero in confronto ci sarebbe sembrata Biancaneve....
Essere stati garibaldini o
rivoluzionari o figli di questi, fu un grimaldello per molte carriere
artistiche e non. È giusto? È sbagliato? Secondo me è
semplicemente la storia.
Così accadde nel secondo dopoguerra.
Essere stati partigiani o reduci dai Campi o di sinistra (cosa non
semplice sotto il fascismo. Ammirevole, lo ricordo sempre, l'esempio
dell'amato Emilio Lussu e non solo) o figli di questi, poteva
semplificare la vita. E accadde spesso. Il problema fu che la
sinistra, distributrice di posti, cariche e onorificenze, presto si
corruppe a quella italianità più triste che si chiama
raccomandazione. Certi posti dovevano essere occupati. Fare o non
fare era secondario. La cosa importante è che non andassero al
“nemico” e così nel dopo guerra certe posizioni son state
occupate da personaggi decisamente insignificanti e ce ne siamo
liberati solo con la loro “assunzione ai vermi”. Quel che doveva
accadere era che qualcuno si ritrovasse la strada più libera, più
semplice, ma poi, se non valeva, ciao e a casa, e invece se non fosse
intervenuta Sorella Morte, sarebbero ancora li... . Ci tengo a dirlo.
Non sono ne di destra ne di sinistra e nemmeno di centro che mi
sembra voglia dire che si sta un po' di qua e un po' di la a seconda
delle convenienze... devo essere libero e penso di esserlo. Scoprirò
fra anni se è stata una illusione o se fui libero veramente. Diciamo
che ci provo e non mi faccio intruppare da un partito per dire per
esempio che Moretti è bravo anche quando non lo è più da anni....e
non inneggio a Ezra Pound perché sono di destra, bensì...... perché
era un grande.
Questa ondata del dopoguerra ci ha dato
pochi fiori e molte erbacce. Il tempo sistemerà tutto, o almeno, ci
proverà.
Quel che spero è che gli intellettuali
si scannino fra di loro e lascino in pace gli artisti.
E che molti ruoli che agli artisti
spettano, e non certo per diritto, ma per esigenza di un popolo,
tornino a loro. Solo così forse, fra qualche anno. I ventenni
sapranno finalmente dirmi perché sono italiani. Per ora le bandiere
sventolano con gusto solo allo stadio e di questa miseria si “lodino”
gli intellettuali poiché amare viene dal cuore, non dal cervello col
quale vogliono dominare anche in territori dai quali sono esclusi. Ve
l'immaginate una farfalla in cima al monte Bianco? Loro ci vogliono
far credere a simili insensate bellezze....
e che dire di questa mia generazione e
della prossima? Niente guerre che fanno vincere una fazione
semplificando le carriere... è un bene' è un male? Io so solo che
nel presente l'unico dio è il mercato che di arte non si si
interessa. Vende salumi, pannoloni, libri e quadri con la medesima
tecnica e in questo mondaccio, chi è artista deve sopravvivere.
Coccodrilli i mercanti e coccodrilli gli intellettuali... unico
gaudio quindi.... sei sei onestamente artista è dura sempre e
comunque.
Un altro esempio del male
dell'eccessiva intellettualità: il libro giallo.
Ne sfornano a milioni. C'è il buono,
c'è il cattivone e il lettore si sente furbo se scova quest'ultimo
prima del momento nel quale lo capirebbe anche un cretino. Son quasi
sempre “libri panino”, nel senso che li “mangi” ed è finita
così. Un giochino.
Ma se si leggono i gialli del
commissario Maigret di Simenon ecco che accade dell'altro. Per
esempio “Maigret e il barbone”. Il libro non termina con la
scoperta del colpevole. Accade qualcosa d'altro, di molto più
elevato. E poi, in generale, Scopriamo con Maigret un mondo, delle
vite, e alla fine essere o no colpevoli si riduce all'aspetto
esteriore di un “gioco” molto più profondo.
Porto un altro esempio, celeberrimo, e
giustamente. “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie. Si ha il
sospetto, per un sacco di pagine, che l'assassino, anzi, per essere
corretti, il giustiziere, sia Dio.. sembra sempre che si vada oltre
il giallo puro e semplice.
La sistematica vittoria sul male,
spiegata in migliaia di strategie, faceva bene alla borghesia che
amava il senso del possesso e doveva rivestirlo di giustizia, di
moralità.
Ma ora, tranne pochi casi come appunto
Simenon. La Christie ecc, perché si legge il giallo? Perché tanta
gente è stata definitivamente convinta che non esiste nulla oltre ai
giochi dell'intelligenza....
….ma sono comunque ottimista. Tonino
mi ha insegnato ad esserlo.....
ora potete comprendere perché Tonino
fu amato e letto da vivo e lo sarà anche dopo.
Potete anche comprendere perché oggi,
in quest'oggi che sta durando da troppo tempo, gli artisti come la
Capriolo e Vassalli, appaiono il meno possibile. Qualsiasi contatto
con i media e con gli intellettuali falsifica quel che veramente e
profondamente sono.
La loro realtà non è ingabbiabile
dalle leggi di mercato, ma solo deformabile e il loro essere veri si
rivela quando parlano con un pubblico ristretto, a tu per tu..... ma
spesso ci si domanda se ne vale la pena …...e si rimane a casa ad
accarezzare il gatto.