Ci sono due scritti che
amo produrre: i racconti e la presentazione di opere. I racconti non
vengono su ordinazione. Se son pensati valgono poco o nulla. Roba da
intellettuale, categoria (“avvoltoio”, vedi omonimo racconto di
Kafka) che si nutre di quel che il vero artista ( “Cervo bianco”
… vedi poesia di Pound in Personae) produce.
La presentazione di opere
va per me dal quadro o ad una serie di essi, al brano musicale e al
libro, solo se si tratta di un'opera che mi ha toccato.
Recentemente Joshua Singer
con “La famiglia Karnowsky”, accuratamente riletto già tre
volte, e poi Zavattini con “Parliamo tanto di me”, Sebald con
“Austerlitz” e Migrazioni”, hanno meritato la mia emozione.
Quest'ultima è di due
tipi, di pancia per esempio; ci basti pensare ai bambini all'asilo.
Uno piange e gli altri senza sapere il perché si aggregano al
solista e fanno un concerto. Accade anche col riso. Vi è mai
capitato di aver a che fare con due persone che ridono a crepapelle e
non sapete per quale motivo? Glielo chiedete, ma mentre dimostrate di
voler sapere siete già come loro con il volto deformato in positivo.
L'altra emozione, quella che mi fa decidere che vale la pena esortare
alla lettura … quella è rara. Nasce da un punto inesistente posto
fra cuore e cervello. Il suo modo di presentarsi è imprevedibile. A
volte rapido come uno tsunami oppure lento come una carie, ma quando
arriva al culmine della luminosità sentiamo che la realtà ha
allentato la presa, che la realtà non è abbastanza vera … che se
posso provare questa emozione allora …. e poi la vita quotidiana
torna col suo tic tac di doveri banali ma necessari e quella mània,
quella sana follia che si sta aprendo in noi, recede e rimane solo un
sentore di ebbrezza della quale incolperemo lo stato di salute, una
birra, qualsiasi cosa … e ci crediamo che sia tutto lì ...
finiamo con l'esserne convinti … e non conosco altra morte che
questa, dalla quale comunque con uno sforzo di volontà si può
resuscitare.
In un periodo indaffarato
... ora ... appena conclusa la lettura di “La gloria” di Nabokov,
il desiderio di scrivere mi prude le mani. Questo accade perché il
libro mi risulta uscito nel luglio del 2017 e quindi è probabile che
sia ancora facilmente reperibile.
É vero che male che vada
esistono le biblioteche ma, se mai non sono in grado di comprendere
la mania di possesso della nostra epoca (e forse anche delle
precedenti ma non c'ero …) legata a roba che luccica, vestiti,
auto, amori … tutto con un prezzo definibile e sproporzionato al
sangue che ci costano i soldi, lo sconcertante divario tra il valore
commerciale di un buon libro e l'oro che come in questo caso
contiene, rende lecito possedere semplicemente per rendere più
facile l'operazione fondamentale della rilettura.
“La Gloria” è del
1932. la data in questo caso non è importante. L'ho appena scritta e
quindi la lascio ma è ininfluente. Quel che il libro ci narra vale
per tutti gli io e per tutte le epoche.
Il protagonista, Martin
Edelweiss. I genitori si separano quando lui era ancora un bimbetto
ed era di poco più grande quando giunse la notizia della sua morte.
Niente tragedie. Il tutto fu digerito con controllata malinconia. Una
guerra interviene e nel loro stato scoppia la guerra civile. Devono
fuggire e finiscono in Svizzera da un cugino del padre che pagherà
al ragazzo gli studi di letteratura (quella del paese in cui è nato
e dal quale poi è fuggito) a Cambridge e infine sposerà la vedova.
Nabokov poi ci farà
sapere che la separazione fra i coniugi Edelweiss avvenne nel
medesimo anno nel quale fu assassinato l'Arciduca. Sappiamo anche che
la guerra è la prima mondiale e che lo stato dal quale son fuggiti
causa rivoluzione è la Russia, ma questo è pane per povere menti
che si appagano nel capire cose solo intelligenti, un po' come
colorare diligentemente un'immagine secondo le istruzioni della
“Settimana Enigmistica” e poi riuscire ad essere appagati da
un'operazione carnale, automatica, per la quale siamo stati
addestrati.
All'inizio dell'opera,
capitolo due, l'Autore ci descrive un quadro posto sopra il letto del
bambino vicino al ritratto-icona di un santo. Un acquarello di un
boschetto con un sentiero che vi si inoltra. La madre ha appena letto
una favola nella quale un bambino si incammina in un quadro simile
dando inizio a meravigliose (per un bambino) avventure (irreali per
un adulto).
Il bambino è consapevole
di disporre anche lui di un quadro come quello della favola. E'
proprio lì, sul letto, e teme che la madre lo porti via.
Ora abbiamo la morte del
padre che è anestetizzata dalla distanza, la rivoluzione e la fuga.
In quest'ultima il ragazzo scopre il fascino dei paesaggi notturni e
rimane incantato dalle lucine che vede in fondo al paesaggio che gli
corre davanti. Ogni manciata di luci, come la possibilità di
passeggiare nel quadro, è una possibilità, una traccia, una via,
per inoltrarsi in un'altra realtà.
Il ragazzo diviene
studente universitario. S' innamora di Sonja Zilanov che però
amoreggia con Darwin, il suo migliore amico e compagno di studi.
Questi è artistoide e per questo stimato in università fino al
punto che gli vengono perdonate le piccole infrazioni che compie
all'etichetta obbligatoria dei college. Dopo tre anni terminano gli
studi; Sonja ha rifiutato la proposta di matrimonio di Darwin e si
trasferisce a Berlino. Il nostro Edelweiss persevera nel sentimento a
va a trovarla spesso. Non riesce a fare breccia e nel frattempo lei
ha un'altra “storia” con Bubnov, artista che pubblica ed è assai
apprezzato. Anche lui viene rifiutato. Nel frattempo, dopo essersi
visto rifiutato il nostro eroe decide di viaggiare e prende l'amato
treno. Di notte scende improvvisamente perché ha visto la medesima
manciata di lucine della sua infanzia. La stazione è piccola,
attende il giorno e chiede delle luci che ha visto e gli dicono che
si tratta del paese di Molignac, che dista quindici chilometri e non
esistono mezzi per raggiungerlo. Si inoltra a piedi, arriva e si
ferma in una locanda. Si offre come bracciante in una fattoria e qui
resta, ritrovando la serenità. Per lui è tutto così semplice e
bello che quando vede una casa in vendita decide di scrivere a Sonja
per chiederle la mano. Lei rifiuta e lui lascia la fattoria.
Curiosamente alla fine di quel capitolo il controllore del treno gli
dirà che quelle luci non possono essere di Molignac (pag 202-203)
poiché dal treno il paese non si vede.
Fate caso, lo rimarco,
come ogni nome di città, ogni data non hanno senso. Possiamo
modificarle e spostare questa avventura nell'antica Grecia o nel
Giappone medievale … cambieranno nomi, costumi e tradizioni, la la
favola universalmente valida resta ...
E ora il finale. Il
ragazzo torna dalla madre in Svizzera, medita di andare fino in
Lituania e passare in Russia ma decide, poiché passare quel confine
è pericolosissimo, di dire che intende tornare a Berlino. La madre
pensa che sia per Sonja e approva poiché il ragazzo ha detto che poi
tornerà. Se e quando torna gli tocca un lavoro che il patrigno gli
ha già rimediato.
A Berlino desidera
salutare i genitori di Sonja e anche Darwin, l'amico, che per una
piacevole coincidenza si trova lì in qualità di giornalista di una
testata importante.
Va a casa della ragazza
quando questa dovrebbe essere in ufficio e invece la trova perché
non sta bene. Varie vicende e scopriamo che ha lasciato Bubnov che è
assai sofferente. Edelweiss riesce finalmente ad incontrare il
compagno di studi, manca un'ora alla sua partenza per la Lituania e,
dopo una iniziale emozione e un breve raccontarsi le proprie vicende,
inizia per il lettore, ma non per tutti, il mistero. Quel che dice,
quel dire sospeso di Edelweiss a Darwin, Sconcerta. Se tu lettore non
comprenderai cosa vuol fare il protagonista, allora devi meditare su
te stesso. Sei forse come Darwin? Che dopo aver condiviso sogni per
tre anni col Edelweiss, si fa travolgere dalla vita e solo alla
concretezza dell'esistenza sa dare un significato?
Se il ragazzo che scende
dal treno perché è rimasto affascinato da una manciata di stelle ti
sembra romantico ma stupido … se una persona che preferisce
lavorare in una fattoria e rimandare un incarico dirigenziale offerto
dal patrigno e anche non fare caso all'opportunità di conoscere
pezzi grossi per diventare giornalista che gli offre l'amico, se una
persona del genere ti stupisce … quel che ti dice Nabokov si fa
duro, incomprensibile.
Il bambino davanti al
quadro, la manciata di stelle in fondo al paesaggio notturno, passare
il confine con coraggio (e questo è un ritorno alle origini, un
ricominciare veramente da zero e non dalla Svizzera del patrigno) e
ricominciare sono sensati se della vita non ti basta saziare le
apparenze.
Io spero che il lettore
affronti questo mio scritto solo dopo aver letto il romanzo.
Lo immagino diviso in due
gruppi. Uno sparuto, quasi inesistente, di persone che hanno capito e
sorridono. Un altro, una folla imponente (che così numerosa nemmeno
Dante pensava che morte potesse aver disfatta …) che con sua
sorpresa non ha capito e non sa che pesci pigliare. La via più
semplice: lo scrittore è una schiappa … ma la storia e la fama che
dura nel tempo e il rispetto che ha accumulato, dimostrano che invece
è un grande … allora che abbia sottinteso troppo? E si scoprirà
solo rileggendo che il quadro e la manciata di stelle son la chiave
di un inoltrarsi in luoghi nei quali non solo l'apparenza si può
appagare. Facilissimo sarà essere sconfitti, ma la vita raramente,
quando la si valuta retrospettivamente con onestà, si scoprirà di
averla spesa degnamente.
Il nostro protagonista
sperimenta la paura, impara a controllarla, e quell'avventura montana
che si risolve in un consapevole atto di coraggio, è tutta simbolo.
C'è lo strapiombo, l'unica via percorribile è stretta, friabile e
non certa. Ma questa è la vita, stretta, friabile e incerta, e
l'abisso, la morte, verrà comunque ma ci si allena a non averne
paura. Se la paura è ostacolo a scelte importanti, vivremo meno di
un decimo di quel che potrebbe essere possibile!
Immagino quel lettore che
non comprende il finale e dirà che il libro è brutto e non
ammetterà facilmente di non avere capito. Fortunatamente questi
ragionamenti, se sarà umile li farà a botta calda con se stesso, e
perplesso cercherà di andare oltre, ovvero dimenticare, oppure si
informerà. Un altro tipo di lettore, lo spaccone sgraziato, si
divertirà a screditare quel che non ha capito. Accade in due
occasioni, quando non si ha capito e non si ha l'umiltà di lottare
per crescere o quando non si conosce e non lo si vuole ammettere.
Ricordo una persona che mi disse che Beethoven gli faceva schifo
(testuali parole). Compresi che la sua esistenza, forse tortuosa o
forse troppo semplice, non era mai passata nemmeno per caso nei
pressi dell'opera di quel genio. Gli regalai qualcosa e non ebbe più
il coraggio di umiliare se stesso … con dichiarazioni assurde.
Un ultimo appunto.
Chi ha dipinto
l'acquerello del bosco col sentiero che si inoltra? La nonna del
protagonista. Questo particolare è strettamente autobiografico. Il
quadro è della famiglia (in senso non solo concreto, ma atemporale)
e inoltrarsi in esso equivale a mantenersi in stretta coerenza con le
proprie radici. Alla fine il protagonista torna alla madre Russia,
alle radici, per ricominciare? Non solo. Per essere. Le radici vanno
rispettate. Uno sradicato, anche se inconsapevole, no cercando di
capire se stesso, affronterà la vita a caso.
E qui è la nostalgia
struggente di Nabokov che fa capolino, la vera causa che spesso mosse
la sua penna. Se l'amore no basta mai per dare senso all'esistenza
(Sonja che infrange cuori ma non li appaga), la coerenza, il rispetto
dell'origine all'interno della stirpe per Nabokov è la sacra
angoscia, l'oro originario del quale è stato privato … si scrive
perché cc' qualcosa che ci fa male ed esternarlo anche se in modo
criptato (pudore) aiuta a stare meglio per qualche ora, per qualche
attimo, e poi l'artiglio riemerge dalle acque scure e ferisce … per
sempre.
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