Mercoledì 20 giugno del
2018 su “La Stampa” è apparso un dibattito secondo me
interessante. Sembra che l'opera del pittore Luciano Ventrone dia
molto fastidio e il giornalista Maurizio Assalto. Dopo aver
presentato la natura della polemica, affida la parola a due
personaggi; Francesco Bonami, qualificato come critico d'arte e
Vittorio Sgarbi definito, critico e storico dell'arte.
Premesso che non mi interessano le etichette, non m'incutono alcun
rispetto … (si possono comprare... e ognuno di noi non esaurisce il
suo io in esse ...) veniamo ai fatti.
Prefazione di Maurizio
Assalto
Titolo in neretto: “Se
questa è arte”.
Domanda lecita … trovo
comunque che il titolo sia triste poiché fa il verso a “Se questo
è un uomo”, opera per me sacra, espressione di un dolore infinito,
inestinguibile, che non può essere spesa così a buon mercato.
Il brano inizia
chiedendosi che ne è dell'arte ora che, nell'era della
riproducibilità tecnica ha perso la sua aura. Assalto cita, e nomina
chiaramente, Walter Benjamin e il suo testo del 1930. Si sappia che
chiunque sfiori anche minimamente l'arte del novecento viene
costretto a questa lettura, pena l'esclusione dai dialoghi da salotto, e considerato ignorante. Non si tratta solo di averlo letto,
quel libro. Si deve anche essere d'accordo … e io non sono
d'accordo con Benjamin. L'era della riproducibilità per esempio non
è cosa del novecento; è iniziata secoli fa. Quando Raffaello
dipinse la “Madonna del Popolo”, immediatamente Marcantonio
Raimondi produsse delle incisioni. Al Papa l'originale, al mondo le
copie. La diffusione fu così vasta che una di queste fu trovata a
Vladivostok. Deduzione possibile: ogni epoca ha cercato di riprodurre
l'originale. Il fatto che con l'avvento della fotografia sia divenuto
più facile riprodurre il soggetto, ha semplicemente specializzato
ancor di più l'arte pittorica che, si potrebbe dire, non deve più
perdere tempo per riprodurre alcuni aspetti della realtà. Un
ritratto aveva uno scopo pratico, non diverso dai dittico in avorio
che ogni console romano faceva fare quando gli veniva assegnato un
incarico. Biglietti da visita, ricordi, dimostrare al mondo il ruolo
che in esso si ha ... oppure che ha avuto un antenato ... in un'epoca nella
quale un antenato decente poteva essere fondamentale. Il ritratto
aveva un ruolo decisamente funzionale. Ora è appannaggio della
fotografia che fino ad una ventina d'anni fa era prerogativa di un
tecnico o di un dilettante comunque edotto, ed ora è riproducibile
da tutti.
Se la fotografia ha tolto
all'arte una fatica, le sono grato ma non ha eliminato completamente
i ritratti pittorici un po' perché gli artisti amano farli e un po'
perché i membri di una casta spesso pensano di nobilitarsi con
quell'oggetto.
Un altro esempio. I
botanici spesso sapevano disegnare ed acquerellare. Ogni spedizione
esplorativa che partiva dall'Inghilterra per esempio, disponeva di
uno scienziato e di un artista che riproduceva piante, paesaggi ed
animali. Osservare quei fogli è affascinante e quel che ci colpisce
non è certo (o comunque non solo) l'apprezzamento per la capacità
tecnica. La rappresentazione, all'interno del foglio rettangolare
bianco, ha di solito due armonie, una compositiva ed una cromatica,
che appartengono alla personalità dell'artista e non sono
semplicemente una oggettività.
E' comunque certo che la
nostra epoca sia attratta, affascinata da una abilità tecnica
sopraffina. Che si tratti di una nostalgia che si sta estinguendo,
poiché molti fruitori sono ancora nativi artigianali più che
digitali? E' possibile. Penso sia facile trovare persone che
ricordano l'epoca per nulla distante nella quale gli abiti te li
faceva il sarto. Ora è un vezzo elitario che comunque sopravvive
bene, ma la stragrande maggioranza compera il pret a porter, il
pronto da mettere che, diviso in taglie, non è mai perfetto ma è
accettabile perché il rapporto qualità e prezzo lo rende
acquistabile quasi da tutti… ma non è solo questo. Se sei una
persona del popolo comperi in negozio e i sarti ti sembrano un
anacronismo ma, se il tuo livello sociale aumenta, ecco che scopri
che farsi fare le cose dal sarto o dallo stilista di grido, è status
symbol non meno dell'avere molti figli, la macchina inutilmente
capace di fare i trecento e l'orologio meccanico ... in sé ormai un
anacronismo visti gli oggetti precisissimi e a basso coso che si
riescono a produrre oggigiorno. Ora … anche per l'arte come per la
sartoria, esiste quel livello che richiede all'arte di essere costosa
perché spendendo molto dimostri di essere arrivato più in alto. Se
certe opere costano molto e rivestono, offrono, un livello simbolico
e di significato alto, ma tecnicamente si fanno in un attimo come i
tagli di Fontana o le sgocciolature di Pollock o le antropometrie di
Klein, accade che tuttora parte degli acquirenti di arte, siano legati alla
capacità tecnica, e non ci vedo un anacronismo, la sopravvivenza di
un dinosauro nell'epoca della riproducibilità tecnica (che di fatto
esisteva già, come ho accennato prima, anche se meno capillare,
all'epoca di Raffaello).
Io non mi nutro solo di
libri e di dialoghi fra specialisti (anzi, che pensano di esserlo).
Dialogo molto con le persone, le ascolto, e ho scoperto che a molti
interessa il saper fare perché se, per esempio compero un Renoir, ho
di fatto acquistato non solo un'opera che dà lustro al mio salotto e
al mio nome, ma anche le ore che l'artista ha impiegato per farlo. E'
mio non solo l'oggetto, ma anche il tempo che colui che considero
grande, ha impiegato. Lui ha toccato quella tela, vi ha messo il
colore … ecc. lo “sentite” il viaggio certamente fantastico ma
per me interessante che può celarsi dietro ad un'opera? Un simulacro
del sacro?
Un altro esempio; un
giorno, mentre passeggio col cane, vedo scendere dai sedili
posteriori di una Rolls, due bimbetti quasi decenni. Accompagnati
dal padre entrano in una cartoleria. Quando escono con quaderni e
matite, i bambini si fermano incantati ad uno stand rotante che
espone occhiali da sole dozzinali. Ne scelgono un paio a testa e
tutti fieri li indossano e salgono sull'utilitaria … si,
utilitaria, perché per chi è nato nella ricchezza, essa è ovvia, e
l'occhiale non importa sia di Fendi o Tom Ford, ma che piaccia, cosa
che invece non accade a chi ancora sente il bisogno di mostrare in
queste piccole cose, uno status. Se una persona di questo tipo si
invaghisce dell'opera, secondo voi quale criterio usa? Tutti e
nessuno: l'investimento solo se il prezzo è in grado di destare
attenzione, la stima per l'artista, il significato, anche come può
stare in salotto, e... perché no … la relazione quasi mistica,
sognante, con colui che l'opera l'ha creata. È come se essa fosse un
medium per una relazione, un dialogo personale che ci lega. Io per
esempio dico, e so di non essere l'unico, che fra i migliori amici
oltre ai cani annovero Kafka, Borges, Isherwood e non solo. Sono
morti? Lo è il loro corpo, e questo ci porta al quasi feticistico
mercato di manoscritti, autografi e oggetti, appartenuti ai grandi.
Philip Roth ha fatto carte false per avere qualcosa di scritto da
Kafka, Stefan Zweig ne “Il mondo di ieri”, racconta la sua
passione per gli originali degli scrittori e compositori che più
amava e la sua collezione era fra le più belle della sua epoca.
Tutt'ora esiste una caccia non esattamente all'autografo, ma a
qualche parola vergata personalmente da un grande. Mi fa sorridere la
recente disputa che stava per diventare fatale quando ci si rese
conto, in un kibbutz in Israele, che quella vecchia spazzola era
oltre ogni dubbio, appartenuta a Kafka … è il sacro che si sposta,
che esce dalla religione che, delegittimata dalla razionalità,
richiede uno sforzo ormai incomprensibile per essere vissuta. Se ad
Istanbul al Topkapi, si può vedere una impronta del Profeta e la si
rispetta e la si vorrebbe toccare, è perché quel che un grande o un
divino ha toccato, potrebbe essere un talismano, potrebbe infondere
la serenità che ci manca. Penso alle reliquie dei santi e
all'agognato contatto con esse che appaga il fedele perché spera
nella trasmissione della sua santità nella propria piccola esistenza
…
Nell'arte sta accadendo
questo. A livello popolare è sufficiente un autografo, un oggetto
che un attore o un cantante ha toccato o indossato … ma nel popolo
l'emotività fagocita l'esistenza che è quasi animale. Se si accede
ad un livello economico più alto e si comprende che i soldi comprano
sì oggetti ma soprattutto il tempo, allora si crea la possibilità
di poter evolvere lo stadio emotivo in meditazione che non sarà solo ed
esclusivamente razionale, ma si staccherà dalle reazioni pavloviane
elementari che dominano purtroppo troppe esistenze inconsapevoli. Non
è il “penso quindi sono” di Cartesio. Non si è se si pensa, ma
se si raggiunge uno stadio di armonia col tutto che per essere
percepito richiede di andare oltre il razionale. Già Damasio ci ha
spiegato che l'emozione è parte della funzione selettiva della
razionalità. Noi nella vita quasi mai passiamo ai fatti in grazia di
un semplice sillogismo, c'è di più.
Se per il lettore i soldi
sono la possibilità di comprare il tempo e dedicarlo a tentare di
comprendere e comprendersi, ecco allora che una via che tende al
sacro si rivela, e se con continuità riusciremo a non distrarci da noi
stessi, a non ricadere nell'azione reazione compulsiva che fa sì che
attualmente, nei casi estremi, si allenti una tensione interiore
facendo shopping …se si riesce, ci si sente meglio.
Tutta questa predica per
dire che l'abilità tecnica se poi richiede pure un sacco di tempo, è
un attributo positivo che in arte sarà duro a morire. Benjamin si è
dimenticato del sacro … se un'opera ha richiesto un mese per essere
conclusa, essa diviene l'oggetto che rappresenta un rito, che
rappresenta il medesimo sforzo che compie colui che, senza fretta,
malattia della nostra epoca, cerca di inoltrarsi in sé stesso.
Maurizio assalto si
domanda; “l'abilità tecnica conserva un valore o è fine a sé
stessa?”. Penso di avere risposto anzi, di avere dato la mia
versione del problema.
In Indonesia capita di
vedere una persona che per mesi si dedica, nel tempo libero, a
cesellare minuziosamente un pezzo di legno. Quando ha terminato, noi
occidentali proponiamo di acquistarlo e capita che ci riesca ad
entrarne in possesso per una cifra ridicola … perché noi
monetizziamo il tempo e invece per quella persona quel pezzo di legno
da limare era un supporto concreto alla meditazione, non diversamente
dal rosario per un cattolico. Concentrarsi sul fare, questo esercizio
del corpo, crea un ritmo, un'abitudine, un automatismo
nell'esistenza. La stanchezza causata al corpo, lo calma, e la
ripetitività delle giornate permette alla mente di andare oltre sé
stessa. Provare per credere.
Scopro poi, dal pezzo di
Assalto, che un'opera di Ventrone è stata censurata da facebook.
L'articolo la mostra, una donna nuda seduta su un pavimento bianco.
E' di schiena ha una lunga collana di perle. I glutei sono
invisibili poiché è seduta e del seno si vede una traccia minima.
Bonami, uno dei due critici coinvolti del dibattito, risulta che
l'abbia definita una forma di “pornografia artistica”. Mi vien da
ridere. La pornografia prevede l'atto sessuale, questo è
semplicemente un nudo, che nemmeno osa, ed è pure molto bello.
Bellezza …. parola che i
critici amano ed odiano.
In Italia la bellezza è
fondamentale. Si guardi un Cristo crocefisso di Cimabue e si noti
l'eleganza di quel corpo che è di fatto una curva elegante. Si
guardi ora, dell'altare di Isenheim il Cristo dilaniato, massacrato.
Per alcuni popoli il contenuto può essere rappresentato anche senza
bellezza. Per l'italiano no. Fatevi una passeggiata nella via dello
struscio di un qualsiasi paesino italiano e vedrete il popolo più
bello del mondo! Al sud questo effetto è ancor più accentuato.
Questo non vuol dire che gli italiani abbiano i corpi più belli,
tutt'altro! L'italiano sa vestire, sa farsi bello, sa diventare bello
e non per niente nella moda domina. Chi dice queste cose non si
considera italiano quindi penso mi si possa concedere una certa dose di obiettività …
Ebbene, il mistero della
bellezza! I nudi di Ventrone secondo me piacciono, e non poco, perché
incarnano non la bellezza come ideale assoluto che di fatto non
esiste, ma la bellezza come la considera il nostro tempo e in questo
luogo che è l'Italia. Il qui e ora in arte è fondamentale!
Veniamo ora all'articolo a
firma Francesco Bonami
Frase d'esordio; “Della
bellezza nell'arte, a differenza della libertà nella vita, se ne può
anche fare a meno. Anzi, se l'arte non avesse a volte abbandonato
l'idea di bellezza ….” ne ho già parlato. Si osservi il corpo
della Sibilla Cumana di Michelangelo oppure le opere dell'ultimo
Botticelli. Stridono, la loro non bellezza parla. Ma se l'arte può
fare a meno della bellezza, è comunque libera di usarla se lo
desidera.
“il pittore Ventrone con
la sua sua maestria pittorica … non spinge lo spettatore oltre ciò
che vede”. Non sono d'accordo. Ventrone è definito iper realista
perché non rappresenta la realtà com'è, ma in un modo che ci
sembra più preciso del reale. Vedere il suo canestro di frutta, le
sue ciliegie, le sue angurie, è un'esperienza notevole per l'occhio,
poiché per la prima volta vede quegli usuali frutti in modo direi
così perfetto. È la luce che infonde nella tela che fa la
differenza. Potrei definirla frutta del paradiso, qualcosa che a noi
umani è concesso grazia a Ventrone, di vedere almeno per un attimo?
“All'arte non va chiesto
com'è fatta, va chiesto cosa sa tentando di dirci”.
Immagino Bonami al
ristorante. Si ritrova qualcosa di indecifrabile nel piatto, un
“assaggino della casa” e … vediamo se non chiede cosa c'è
dentro! Si può obiettare che il cibo entra nel corpo … e io
aggiungo che l'opera entra nell'occhio e forse nella mente e forse …
anche oltre … Se non è fondamentale sapere com'è fatta un'opera
si provi a resistere a questa curiosità. Io non ci riesco. Vista
un'opera di Ventrone, secondo me è raro trovare qualcuno che non
voglia vedere l'artista all'opera, cercare di capire come fa a fare
quello che ci conquista. E non si tratta di stupore un tanto al chilo
o di spettacolarità circense. Insisto, quei quadri con frutta, sono
oltre la realtà. Se a tanta gente basta vedere il virtuosismo, ad
altri può piacere vedere il gesto semplice, antico e sicuro, che
crea l'opera. Io sono affascinato dai vasai. Vedere il tornio che
gira e quelle mani che modellano … un'ipnosi. E il vaso è sia
l'oggetto finito, che anche la somma di quella manualità che mi
affascina. Questa idea dell'opera contemporanea, che solo il
significato simbolico conti, mi sembra una forzatura che fa comodo al
mercato. Se un gallerista rappresenta un artista che lavora con una
tecnica lenta, potrebbe averne danno. La logica della nostra epoca è
massimizzare il guadagno al di là di ogni morale. Se l'artista piace
e io gallerista ho settecento richieste, ma l'artista è in grado di
fare un'opera al mese, il guadagno immediao sfuma. Posso creare nel
tempo un'operazione che puntando sulla rarità dei pezzi manda il
prezzo nell'empireo, ma di fatto piace di più il guadagno immediato.
Pollok, Mirò, Vedova ecc erano figure ideali per il mercante. Erano
in grado di produrre tutte le opere che venivano richieste ed erano
riconoscibili da lontano! Guai all'artista che non si mantiene
altamente riconoscibile, egli è un trade mark, un marchio
commerciale, prima di essere un artista, e ora se il mercato ti
sceglie l'operazione, che è standard, ti rende artista polivalente
anche se non lo sei. Cosa c'entra Folon, un uomo sottile composto di
sorriso e musica di Mozart, leggero come i suoi acquerelli con il
bronzo che pesa? Nulla, e me ne parlava ridendo. Cosa c'entra Botero
con le fonderie? Idem con patate. Si pensi a Keith Haring … Anche
Cesar, mentre si dialogava al Lutetia, sorrideva delle compressioni e
aggiungeva serenamente che “piacciono al mercato … e mi aiutano
a vivere decentemente”.
Alla fine dell'articolo,
Bonami dice: “l'ossessione del sapere e del saper fare impedisce
alla fine il saper dire.”... quest accade di solito all'intellettuale. Saper
fare con le parole … e ci si sente scrittori, saper fare con le
mani , ovvero artigianato, e credersi artisti. Non credo sia il caso
di Ventrone che secondo me coniuga il saper fare con alcuni messaggi:
la sua idea di bellezza e una visione paradisiaca degli oggetti
quotidiani.
Per quanto io non
condivida le idee di Bonami anzi, i suoi dubbi, apprezzo la sua
scrittura, abbastanza semplice per un quotidiano, poiché non viene
letto solo da menti eccelse e mi piace pensare che anche chi si pensa
digiuno di arte possa inoltrarsi in questi dilemmi come ho fatto io e
cercare la sua risposta.
L'articolo di Sgarbi …
già alla prima riga la parola “aporia”, quindi immagino tanti
lettori che si allontano davanti ad un testo che immediatamente
ostenta il professorese. La prima frase è un doppio carpiato che
approda a terra frantumandosi, non rimane nulla. Per trovare la forza
di proseguire devo costringermi, farmi violenza. Nonostante il
linguaggio assai poco invitante, dice cose interessanti. Non approvo
quel suo sbeffeggiare Bonami. Bonami pensa, esprime dei dubbi e ci
sta un dibattito, ma ritenere di essere nel giusto in senso assoluto,
infastidisce non poco.
“Bonami si deve
rassegnare; l'arte non è come vuole lui, ma come gli artisti, a loro
modo la interpretano. Il critico deve prenderne atto”
giusto. Diciamo che non è
Bonami a doversi rassegnare, ma un'epoca. Già al tempo del primo
dopoguerra, l'arte era in mano ai galleristi. Se si legge il volume
“Renoir mio padre” di Jean Renoir si scoprirà che gli
impressionisti non sfondarono fino a quando non decisero di dare
l'esclusiva della loro produzione a Durand-Ruel … se non mi si
crede che parlino i fatti storici. Diciamo che mediamente, dagli
impressionisti in poi l'arte, la qualità in arte, viene decisa da
qualche miliardario e dai galleristi. E sui miliardari spesso si può
fare affidamento, esempio positivo Menpes amato dai Rotschild e dal
re d'Inghilterra, esempio negativo Kandinsky. La storia in un flash.
Solomon Gugenheim era sposato Rotschild. Sua moglie conobbe la
baronessa Rebay, pittrice, bella e fan di Rudolf Steiner, e le chiese di
fare il ritratto al marito. Andò oltre e divenne l'amante del
vecchio Solomon imponendole i suoi gusti. Lo portò a Dessau a casa
di un altro devoto di Steiner e lo spinse a comperare, per amore …
150 tele di questa persona … ne so altre di cosucce divertenti che
riguardano lo strano successo di cose e persone che, come disse Borges, sono
della storia dell'arte ma non sono arte. Il gallerista ovviamente è
un commerciante e per nobilitare le sue fandonie ha bisogno di … un
docente, di un intellettuale, che con belle parole spesso
incomprensibili o che girano a vuoto, ma comunque belle, aiuta …
l'operazione commerciale. Se questo è il mondo dell'arte, tranne
qualche rara nicchia sana quasi invisibile, se questo è il mondo
dell'arte, ecco che non si ascolta più l'artista, ma il critico e su
questo aspetto c'è da ridere per non piangere. Chi è di fatto,
concretamente, il critico d'arte? Colui che viene pagato per parlare
bene di te.
Sgarbi fa poi presente che
l'arte non è necessariamente progressiva, e certi artisti sembrano
in un cero senso, tornare indietro. “in arte non ci sono solo gli
innovatori”. Vero, perché se l'aspetto fondante è il contenuto e
non la tecnica, il concetto di progresso non ha senso. Io individuo
che mi esprimo, in arte ho un messaggio, conscio o inconscio che sia
che mi spinge a fare. Non è un mestiere! Tante persone dipingono o
scrivono anche se non hanno un successo materiale e questo accade
perché nella nostra epoca, secondo me da metà ottocento in poi, si
fa, in arte come in letteratura ecc, perché non se ne può fare a
meno. Scrisse Fitzgerald nei taccuini: “non si scrive per
dire qualcosa, lo si fa solo se si ha qualcosa da dire”, e a quel
scrive
posso aggiungere, compone,
dipinge ecc, senza comprometterne il significato per me
profondissimo. C'è un motivo che spinge l'artista a fare e quello
bisogna cercare di comprenderlo. Spesso l'artista medesimo non ne è
consapevole se non in parte, oppure non sa spiegare a parole …
perché sa dirlo con il pennello o lo scalpello.
Capire l'artista …
secondo me viene bene solo ad un'altra persona dotata di sensibilità
artistica.
“In arte non ci sono
solo gli innovatori: altrimenti Angelo Morbelli o Giovanni Boldini
non sarebbero artisti perché percorrono una strada diversa da quella
dei futuristi.” perfettamente d'accordo. Aggiungo che non mi
piacciono gli -ismi, sono operazioni strane, spesso fatte a tavolino.
Il Surrealismo per esempio sembra di Breton ma ..., egli ammise che erano
tutte idee di Savinio quelle che mise nel manifesto (e aggiungo che
Savinio ammise che era vero ma che non lo avevano ben compreso). Di
solito dietro ad un -ismo c'è una mente e un branco di pecore che si
accoda … del futurismo mi piace “La città che sale” di
Boccioni , e qualcosa di Balla e poco altro.
Morbelli e Boldini invece
li stimo notevolmente. Su quest'ultimo mi permetto di dire che non è
stato ancora compreso. Dopo quella frase di Sgarbi che ho appena citata, egli prosegue con esempi di artisti che sembrano esclusi da
una visione (per me assurda come per lui) di progresso in arte. Fra
questi nomi spunta Balthus, e qui mi imbizzarrisco perché posso
affermare che non solo Sgarbi, ma tutti coloro che hanno scritto di
lui, hanno tenuta nascosta, e consapevolmente, la chiave di lettura
delle sue opere. Io mi domando … che senso ha “spingere” un
artista, promuoverlo, e non dare al pubblico gli strumenti per
comprenderlo! E davanti a questo fatto son costretto a concludere
perché la situazione si dimostra talmente insensata da non meritare
altre parole.
Capisco i dubbi di Bonami,
più vittima di un'epoca, che protagonista in essa, non capisco, di
Sgarbi quel promuovere senza spiegare, che in Balthus diventa
evidente fino al ridicolo, anche se approvo determinati ragionamenti
alla base come l'assenza di progresso in arte, termine questo, il
progresso, inventato dall'illuminismo per definire la illusoria
sensazione di viaggiare all'interno di miglioramenti continui. Un
artista va compreso e divulgato con chiarezza. Certi autori sono
indubbiamente difficili e criptici, come Domenico Gnoli … e leggere
quel che ne ha scritto Sgarbi non aiuta purtroppo a capire.
Promuovere ha senso se viene fatto in certi modi, con certi scopi, se
dietro all'agire vi è una morale chiara.....Balthus invece non è
difficile. I suoi simboli sono culturali e non inconsci. Da quale
cultura provengono? Inizi il lettore ad osservare “La Patience”.
Vedrà un quadro del quale prenderà atto, ma non saprà cosa
rappresenta, a meno che non venga aiutato. Offro una traccia. La
ragazza indossa tre colori, verde, bianco e rosso. Si passi ora ai
“Tre filosofi di Giorgione” e si notino i tre colori più l'oro
nell'abito dell'anziano … e ora la parola che nessuno dice …
alchimia. Le tre fasi del processo alchemico. Verde (o nero), bianco,
rosso e l'oro del filosofo. Non proseguo, ma invito chi parla di
artisti a dire le cose come stanno e non a presentare Balthus come un
grande e a non spiegare il suo pensiero.
Di Ventrone … secondo me
ci offre una versione della bellezza femminile che ci ammalia. Borges
diceva che “la bellezza oggi è comune” ed è vero. Riuscire a
definirne una specie che sia in grado di colpirci non è poco in
un'epoca di chirurgie estetiche e mode che cambiano ad ogni batter di
ciglio. Pochi volti, e fisionomie, reggono il giudizio della bellezza
per tempi lunghi. Solo Cleo de Merode, mi sembra resistere …
Le nature morte … brutta
espressione che contiene qualcosa di negativo. Per l'Italia conviene tradurre Still
life, natura silenziosa. C'è silenzio nelle still life di Ventrone,
come in quelle di Morandi che però si sfarinano nel nulla. In lui
c'è la visione dell'archetipo, della perfezione impossibile di un
frutto, di un dono primordiale e nutriente della natura. Se Eva mi
avesse dato un frutto di Ventrone non avrei saputo rifiutarlo e Dio avrebbe perdonato perché avrebbe capito che anche per Lui sarebbe
stato impossibile resistere. La tecnica sopraffina? Vi spiego come la
penso; quando mi hanno chiesto di collaborare all'organizzazione
della personale di un artista, mi son sempre raccomandato che
mettesse qualcosa che dimostrasse il suo “saper fare”. Se sai
fare ed osi una cosa semplice, ti rispetto, ma se fai una robina da
bimbi e di te non so niente, mi viene il dubbio che non sai fare altro che cosine da bimbi!
Anche per Balthus accadde. Nessuno spiegò alla mostra di Palazzo
Grassi … nessuno, ma davanti a certi disegni a matita la gente,
capì che l'artista aveva una mano eccezionale, rassegnandosi a non
comprendere perché chi di dovere, per motivi che conosco, tacque.