Come
nasce un'opera
Il discorso che qui affronto è generale. Vale in
eguale misura per un racconto, un soggetto cinematografico o teatrale
o per qualsiasi espressione artistica si prediliga. Nella fattispecie
sarà, per essere concreti, un breve atto unico teatrale.
Un concorso ha proposto come tema, il razzismo.
L'argomento è talmente trito e ritrito, ed affidato
solitamente alla maschera del buonismo, del perbenismo, che nella
dimensione della vita quotidiana, le mille sfaccettature che questo
argomento pone in risalto, sfuggono. Se si analizza la nostra
giornata, e si “raccolgono” le risposte che diamo, coglieremo che
nessuno è innocente. Nessuno può esserlo, aggiungo io, poiché
l'idea che siamo tutti uguali è ridicola per non dire stupida. Ogni
essere umano (ma anche ogni animale), si distingue proprio perché
uguali non siamo. L'aspetto esteriore si offre ad una lettura spesso
immediata e superficiale, per categorizzare, attività questa che la
mente sempre deve utilizzare per muoversi nel mondo. Se alla
categoria “nero” associamo con immediatezza certe immagini, certe
frasi, ad esempio, che si tratta di un potenziale profugo o per
esempio un “vucumprà”, attiverà quasi in modo involontario una
diffidenza che ha origine prima di tutto nella consapevolezza dello
straniero come altro da sé, come essere più difficilmente
codificabile, comprensibile, poiché le sue regole sociali, i suoi
perché, sono profondamente diversi dai nostri e spesso sconosciuti;
diversi certamente e mai abbastanza indagati. Quando per esempio un
pakistano si meraviglia del fatto che non hai figli, fino ad arrivare
a commiserare, ecco che in noi nasce questa certezza. “Avrà una
vagonata di figli e toccherà a noi con i servizi sociali, quindi con
i NOSTRI soldi, mantenerlo perché non ragiona e va d'istinto!
Animali! Si fanno figli solo se si possono mantenere!”
Non serve nemmeno la certezza da parte nostra che i
figli di chi ci ha commiserato esistano per innescare quei ragionamenti. I luoghi comuni si innescano
da soli se non si è esercitati quotidianamente a tenerli
imbrigliati, ed è difficile che quel ragionamento non sia stato
fatto dalla quasi totalità delle persone. Studiare, essere umili,
saper ascoltare e, arte ancor più difficile, saper fare domande
senza risultare indelicati, sono stazioni del calvario che non
appartengono all'esistenza attuale se non come eccezione. Per un
Pakistano il figlio è colui che deve fare i riti quando il padre
muore. Se non c'è nessuno che li compie si può dire che l'aldilà
si complichi. Studiando si scopre poi che l'ebraismo ha il Kaddish,
un rito lungo che mette in relazione il ricordo del defunto con una
serie di azioni, per esempio sedere su uno sgabello basso e ricordare
(il dovere di ricordare in forma di preghiera, azioni, gesti … stupendo). A New York,
non molto tempo fa, fece successo un libro che semplicemente si
intitolava così: “Kaddish”. Un uomo noto (Leon Wieseltier), eminente e convinto di
essere laico, in età avanzata rimane orfano (parola che nella mente
si associa ai bambini ma di fatto appartiene a qualsiasi età poiché,
sorpresa delle sorprese, gli adulti soffrono in modo diverso da un
decenne per esempio, ma soffrono, e non poco, per ogni distacco, che
spesso altro non è che un'abitudine che bruscamente si interrompe.
Per l'adulto spesso l'altro non è più un mistero, poiché l'abbiamo
ingabbiato in una selva di convenzioni, di etichette che non abbiamo
avuto il tempo di aggiornare perché si è sempre troppo
autoreferenziali, un modo chic per dire egoisti, ed indaffarati) e
torna al rito delle origini poiché scopre che la morte del padre lo
ha disorientato troppo. E il ritualizzare, in un tempo che è minimo
di un anno, aiuta a cauterizzare, a curare un distacco che nella sua
irreversibilità si rivela lancinante.
La commiserazione del Pakistano, del musulmano in
generale, come dell'ebreo e del cristiano di qualche tempo fa,
risiede in questo ruolo del figlio, che si fa psicopompo ufficiale
nel passaggio dalla comunità umana verso l'aldilà. Psicopompo,
guida, dalla terra agli inferi (paradiso suona meglio, gli inferi non
esistono, son solo le nostre angosce).
Questa piccola descrizione ci aiuta a comprendere che
ascoltare, meditare, convincersi che chi viene da un'altra cultura
potrebbe avere una soluzione per noi impensabile ad un problema
enorme, che ci ha bloccato … e il problema lo vedete in "Blue Jasmine" di Woody Allen. Non è raro che nelle elite se rimani vedovo o vedova ti sbattano in clinica gonfiandoti di psicofarmaci e dopo due settimane ti rimettano al mondo dando per scontato che il peggio è passato e invece pian piano si diventa tossicodipendenti di xanax come nel film di Allen e come ho visto accadere alcune volte nella realtà.... forse è meglio un ritule sociale di una clinica e di quelle gocce ... che ne pensate?
Ora. Razzismo senza essere banali. Non è semplice.
Tutti ne parlano con intelligenza, ma proviamo a far cantare il
cuore.
Primo passo, attendere la sera ... dopo aver pensato, non
certo con continuità, all'argomento, poi andare a letto e staccare
la mente razionale, lasciarla in quella situazione che chiamiamo
stand by, che ci avvisi se nel mondo esterno scoppia una bomba o brucia qualcosa, ma
per il resto spenta, spenta spenta, e l'io profondo inizierà, come
sempre, a dialogare ed elaborare. E così è accaduto che verso
mattina, sveglio nel buio, ho visto la stazione, e non una stazione a
caso. La mia mente sapeva che nel giro di poco mi ci dovevo recare
per un breve viaggio. Ho visto il treno, la gente che va di fretta e
un uomo sui quarant'anni che viene accompagnato al tavolino da una
donna matura. Poi la scena si è bloccata. Avevo da fare. Mi vesto,
faccio quelle piccole cose che servono al corpo, preparo le mie carte
e parto. Freddo canaglia. Viaggio. Arrivo, e scopro che la mia mente
aveva perfettamente fotografato quel lato della stazione e anche il
tavolino. Eccolo li, ed ecco riapparire la scena che avevo
immaginato, ma il tavolino è vuoto. Ora mi siedo li vicino, nel
freddo, fra le frette che lasciano quasi una scia di nebbia
luminescente. Dopo aver raccolto le energie, aver staccato il più
possibile i sensi ecco che fantasmicamente, il protagonista entra. Ha
una piccola borsa in cuoio. La signora lo lascia al tavolo, poi entra nel
bar adiacente, vedo che ordina qualcosa e se ne va dalla stazione. La barista porta
un cappuccino all'uomo seduto e immobile, quasi assente. A questo punto un attimo di lucidità causato da un
avviso ferroviario brutale, mi porta al pensiero di voi. Siete tutte
ragazze ed eravate interessate all'idea del pezzo teatrale. Quando
l'annuncio tace torna la nebbia luminosa come nei sogni ed ora al
tavolo c'è una donna sui vent'anni, bella, fine. Ha guanti senza
dita e sorseggia scaldandosi le mani alla tazza. Un uomo di colore si
avvicina e chiede un'informazione, la ragazza risponde, non sento ma
comprendo che riguarda un treno. Lui sorride e accenna ad un lieve
inchino di ringraziamento, dice qualcosa che fa ridere la ragazza e
poi se ne va.
C'è, poco distante bellimbusto che l'aveva già
precedentemente adocchiata e ha osservato il nero e la ragazza che
parlavano. É con amici, si avvicina e inizia un dialogo curioso,
quasi da favola di cappuccetto rosso e il lupo, anzi, identico.
“Ciao! Cosa fai nel bosco da sola!lo sai che potrebbe
esserci della brutta gente!”
“Cappuccetto rosso non ha paura. Sta andando dalla
nonna e i lupi cattivi raramente son veramente cattivi”
Lui allunga la mano e dice “Mi chiamo Stefano”,
rimane con la mano a mezz'aria e, poiché ha visto lo sguardo dei
compagni che sorridono di quella piccola sconfitta, si irrita e dice
“Non mi stringi nemmeno la mano?”
“Lei, lo fissa dritto negli occhi e dice “guardami
bene, ti sembra che io l'abbia fatto apposta?”
“Non capisco...”
Lei lentamente solleva la mano dal tavolo, in modo che
sembra impacciato, lui precipita la sua e la stringe.
“Ecco che Cappuccetto rosso ha stretto la mano al Lupo
cattivo”, e sorride.
“nooo, io sono il Cacciatore! Quello di prima è il
Lupo cattivo, quel nero”
“”Un nero?”
“Si, ti ho vista che parlavi con lui. Lo conosci?”
“No, ha chiesto un'informazione”
“risposta scontata. Non potevi dire diversamente. É
uno spacciatore, lo sanno tutti qui e ti sei accordata... con me lo
puoi dire”
“Lei non risponde. Passa una ragazza assai vistosa. Il
ragazzo dice “Che profumo! Mmmh, buonissimo!”
“Vol de nuit”
“Cosa?”
“Vol de nuit.. il profumo. Saint Exupery fece un libro
che fu un successo, tanti anni fa, e la Guerlain gli dedicò un
profumo col medesimo nome … volo di notte”
“Aspetta … e' quello del piccolo principe! Giusto?”
“Si, ma la favolina non è la sua cosa migliore... e
comunque cosa te ne fai di un odore finto, che si compera. Il suo
odore vero è quello che potrebbe scaldare i sensi, non quello
sintetico che vendono un tanto al litro...”
“Vero … quindi tu non ti profumi!”
“esatto, non voglio maschere
“però ti lavi” dice lui ridendo
“certo, tutti i giorni (ridendo) e comunque non
abbastanza, perché il Lupo cattivo mi ha notato”
Ride anche lui e aggiunge: “è che sei graziosa, e sei
vestita così bene!”
Lui allunga la mano e tocca il bordo della sciarpa
“Questa lana azzurra … com'è morbida. Si sente, ma
si vede già con gli occhi!”
Poi si pavoneggia un po' muovendosi in modo semi comico,
“e il mio giubbotto ti piace? É di un grande stilista, vediamo se
indovini!”
“Lei allunga la mano e tocca la manica della mano che
accarezza la sciarpa. Sembra stia pensando. Lui si gira verso gli
amici tutto fiero di quel doppio contatto che sembra preludio ad una
conquista riuscita. Lei lo sorprende dicendo “materiale sintetico
assai ordinario. Hai pagato la firma ma di fatto indossi qualcosa che
franco fabbrica vale si e no una decina di euro....”
Lui ritira il braccio e tocca la tela della manica. “Ma
cosa dici!”
“dico che vivi di finzioni. Un odore sintetico, al
posto di quello vero, una giacca sintetica ...”
“Ma non si fa così! É bello e questo mi basta!”
“Io quella bellezza non la vedo ...”
“Ok! Non ti interessa, dici tu, ma sei vestita bene,
quindi è una bugia! Anche tu ci tieni solo che scegli in modo
diverso!”
“E' vero, scelgo col tatto e per i colori mi faccio
aiutare”
“Sei strana!”
“”senti, Lupo cattivo! Guardami negli occhi e dimmi
sinceramente cosa vedi...”
“due sfere azzurre deliziose”
“Grazie, ma si parte dalla realtà”
“Ok. Ok. Ma aspetti lo spacciatore o un treno o tutti
e due?”
Lei sorride, un treno. Binario uno, per Milano, fra
dieci minuti”
“Ma è già li! Perché non sali?” poi sorridendo
malizioso, “Per dialogare col Lupo cattivo?”
“Ma non avevi detto che eri il cacciatore? Comunque …
no, sto qui, perché da sola sul treno non riesco a salirci”
“Non riesci? Ma è semplice. Cosa ti fa così paura di
quel treno?”
“Non ho paura in quel senso. Senti Lupo cattivo, tu
invece cosa ci fai qui?”
“Mi incontro con amici e poi decidiamo cosa fare. Vuoi
venire con noi?”
in quel frangente arriva un uomo sulla trentina, saluta
compostamente e dice: “Vieni Elisa, Non trovavo da parcheggiare”.
Il lupo cattivo è sorpreso, si sposta lievemente e
vede l'uomo che si avvicina, lei che gli tocca il braccio come
palpando e poi lo prende a braccetto, allunga la mano per prendere la
cartella ma non la trova. L'uomo la prende e gliela mette in mano.
Il lupo cattivo comprende finalmente che è cieca.
“Scusa, scusa … non avevo capito”
“lo so … tu guardi la superficie delle cose. Per te
un negro è nero, per me non esiste il nero, per me è un uomo. Per
te forse gli ebrei sono una brutta razza?”
Lui tace a disagio. “Anche per te che hai la vista,
distinguere un ebreo sarebbe difficile. Perché i nazisti li
costringevano a portare la stella secondo te? Perché di fatto sono
come noi”.
Si avvicina al treno, sta per salire con l'uomo ma si
ferma un ultimo attimo.
“Senti, Lupo cattivo, la vita è un'altra cosa. Io
senza vista vedo le cose diversamente. Fai in modo che quel senso in
più sia un dono. Ciao”
Sale, il ragazzo torna dagli amici, si vede che
scherzano ma lui è serio, escono, il treno parte.
Fine del testo.
Semplice, breve e credo che possa funzionare.
Nel frattempo son rimasto solo. Cappuccetto rosso è
partita, il Lupo cattivo si è avviato finalmente controvoglia in
quella bisboccia fatta di nulla, un nulla che ora sente e non
sopporta. Sono solo. Il sogno è terminato, rimane la realtà
spicciola, e in questa, rassegnato, mi inoltro
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