Di recente ho visto a
teatro “Qualcuno volò sul nido del cuculo”.
Si tratta della versione
per le scene di Maurizio de Giovanni, fedele al romanzo originario di
Ken Kesey del 1962 e, cosa rarissima e pregevole, capace di rivelare
al massimo grado la matrice inconscia che regge il testo e che lo ha
portato la sua meritata fama.
Cerco di spiegarmi.
Spesso accade nell'arte
che si abbia l'impressione, la certezza di voler dire una cosa, ma la
nostra mano, guidata dall'io profondo, produce qualcosa in più che
non ci si aspettava, ovvero un'opera doppia composta da una maschera,
che soddisfa l'intelligenza, il pensiero diurno, e un contenuto che è
quel nocciolo rovente che l'io doveva assolutamente espellere per non
soccombere davanti alla sua potenza e che chiamo essenza notturna
perché è di notte che la mente, senza obbedirci, produce un senso
immenso.
Quando Alessandro Gassmann
dice “ .. (da quando il protagonista comprende cosa accade nel
manicomio) si renderà paladino di una battaglia nei confronti di un
sistema repressivo, ingiusto, dannoso, crudele”, e aggiunge poi “
… una straordinaria metafora sul rapporto tra individuo e Potere
costituito, sui meccanismi repressivi della società, sul
condizionamento dell'uomo da parte di altri uomini ...”, quando
Alessandro Gassmann, dice queste cose, rivela il significato della
maschera e non va oltre, ma il testo lo ha compreso e ben reso. Com'è
possibile quindi che le sue parole non rivelino il vero volto, il
vero senso che sta sotto ma il suo agire si? È presto detto. Nel
dialogo fra artisti, (e la catena che immagino è: Kesey col romanzo,
de Giovanni, Gassmann e forse, anzi sicuramente qualcun altro che
immagino essere gli attori, troppo bravi per non aver compreso a
fondo...) il significato inconscio passa di mano inalterato, in una
dimensione particolare, non verbale, non dialogica. E' stato intuito
il senso, e questa intuizione, che diviene collettiva, è sufficiente
per salvaguardare il livello. L'intuizione che non si sa spiegare a
parole diviene parola da un'unica mente collettiva e così, in chi
scrive il testo, in chi fa la regia e in chi produce gesti e parole
si ha un'armonia che è il risultato maggiore del teatro. Ed ecco che
il prodotto finale, grazie a questa catena intuitiva non cosciente,
arriva integro nel suo senso cardine e si riversa sul pubblico che, a
seconda di che tipo di “animale” è, si avvicinerà, sempre si
avvicinerà, ma in un secondo o con un'elaborazione convulsa e
lunghissima, nel senso che oscilla fra atto intellettivo consapevole
e intuizione gestita spesso dal sogno, dal tabù, dai limiti
caratteristici di ogni individualità e di ogni epoca.
Quel che mi accingo a fare
ora, è tentare di esemplificare il nocciolo incandescente, il volto
occulto, partendo da una piccola premessa necessaria.
Io, colui che scrive, mi
sono posto in un modo non semplice nei confronti dell'opera. Questo è
accaduto proprio a causa delle disavventure della mia esistenza.
Veder apparire la suora, mi ha risvegliato fantasmi mai completamente
sopiti. Quella femminilità che trattiene al massimo gli stati
d'animo, immobile sempre, come il gatto un attimo prima di saltare
sulla preda che, lo sappiamo, non avrà scampo, quel non coglierne
nemmeno il respiro, si da farla sembrare un essere/oggetto al limite
dell'umano sopportabile, mi ha tentato nel senso che stavo per
andarmene col mio passato che riemergeva. Ho resistito, ho
visto/vissuto tutto lo spettacolo osservando la belva che assalta e
uccide e ho sorriso alla fine quando alcune persone fra il pubblico
hanno detto, con una ironia assai sensata, che risultava assai
difficile applaudire l'attrice che aveva impersonato la suora,
proprio perché troppo fastidioso il personaggio, letteralmente
insopportabile. La notte non ha portato consiglio. Si immagini il
tipo della pubblicità che si ritrova il cinghiale che gli salta
sullo stomaco e noi dobbiamo comprendere che ha mangiato troppo e non
riesce a digerire … la mia situazione era simile, ma non sulla
pancia, bensì sul petto, avevo la suora con un volto che si
trasformava continuamente in qualcosa del passato. È poi giunto il
sonno, con esso l'elaborazione inconsapevole, fino allo stadio della
totale consapevolezza di quanto avevo visto a teatro si è attivata,
rendendosi esplicita non durante il sonno, ma di prima mattina
quando, già ben sveglio, non riuscivo ad affrontare le pagine di un
testo amato perché altro chiedeva spazio. Come dice Battiato in una
sua canzone; “il mio sangue non è acqua mai fiele, e ti farà
guarire” e così è accaduto; la consapevolezza del veleno del
testo, lo ha reso innocuo. Comprendere, ma solo comprendere
completamente, ci permetterà l'illusione di avere sconfitto la paura
della belva, non la belva si badi, ma la sua ombra che nell'opera si
era materializzata.
Significato
del testo
Parto da un breve
riassunto.
Dario Danise viene
ricoverato nel manicomio di Aversa presso Napoli, sua città natale,
nel 1982. Non ha problemi psichici. Si tratta di una “mossa”
attuata per sfuggire ad anni di carcere. Sappiamo che ha un passato
di orfanotrofio al quale è seguita una vita senza legge. Non ha mai
commesso nulla di particolarmente grave,ma è già stato in carcere.
Giunge in una clinica gestita da una suora. I pazienti son divisi in
due categorie; gli irrecuperabili al piano superiore che non si
vedono (ma si immaginano, ottima soluzione) e al piano terra coloro
che possono guarire. Questi ultimi sono volontariamente li dentro ma
Dario Danise verrà a scoprirlo solo successivamente comprendendo che
la sua uscita dipende dal buon giudizio della suora. Altre figure: il
medico, due inservienti, una infermiera.
I matti guaribili,
chiamiamoli così, hanno delle caratteristiche assai interessanti che
si riveleranno completamente quando definirò il “nucleo rovente”.
Veniamo al punto. Anno
1962. Ken Kesey dopo un'esperienza come volontario in California in
una clinica psichiatrica, scrive “Qualcuno volò sul nido del
cuculo”.
Imbeviamoci lentamente,
del senso di quella data. 1 9 6 2. Sei anni dopo si ha il culmine
della rivoluzione giovanile. Kesey è del 1935. Ha quindi ventisette
anni. É giovane? Ognuno lo misuri a suo modo, ma il fatto stesso che
abbia scritto un libro così potente sta a significare che pensava di
poter scardinare un sistema con … delle parole. Era quindi
idealista, era quindi secondo me, giovane. Salinger nel 1951, a 32
anni, pubblica “Il giovane Holden” che ad incrina la finzione
americana senza uso di guerre e colpe annesse. Sempre nel '51, (ma
pubblicato nel 57), Kerouac, che ha 29 anni pubblica “sulla
strada”, e di tutti, il precursore geniale e triste fu “Il grande
Fitgerald” altrimenti noto come “Il grande Gatsby” che inizia
ad incrinare una maschera assurda nel 1920 con “Di qua del
paradiso” (a soli 24 anni!!!) e seminerà smascheramenti in romanzi
e racconti che sono la vera coscienza dell'America fra le due guerre.
E poi il teatro di Miller! Che nato a 32 anni, nel '47, ha il
coraggio di proporre “Erano tutti miei figli”, che equivale a
gettare la maschera, e Hopper, che nelle sue opere mostra un'America
bella negli oggetti, nelle case, ma che ha come esito la solitudine.
Ho cercato di descrivere
quell'anno, quel periodo. Il perbenismo sta cedendo, e la generazione
dei padri ripudierà quei figli che non accetteranno le regole che
vogliono imporre. Noi … alcuni di noi, coloro che hanno letto
Salinger, Kerouac, Fitzgerald ecc, siamo figli di quel rifiuto, e ben
sappiamo che la società non ci deve imporre regole, se non per lo
stretto necessario, e per il resto sta a noi, ad ogni individuo,
fondare ogni volta come fosse la prima, un'esistenza. Altri, che
queste opere non le hanno lette, ma ne conoscono solo l'esistenza in
grazia delle antologie, modo orrendo indiretto, incompleto …
assurdo, questi altri, come la generazione dei padri, tenderanno ad
uniformarsi a schemi non elaborati ma ereditati poiché solo un testo
originale vibra e sa essere entusiasmante … nel senso greco del
termine. A questi propongo un quesito semplice semplice. Quanto fa
uno più uno? Ovviamente due. Quanto fa una goccia più una goccia? E
qui sbaglierà chi usa solo il cervello! Questa volta non fa due, e …
che massacrino i circuiti neurali a trovare una risposta intelligente
dove serve invece la saggezza, somma di mente ed esperienza
(quest'ultima collegata al cuore!).
Disse un rabbino, quando
gli chiesero a quale principio poteva ridursi la Bibbia: “Non fare
ad altri quel che non vuoi che sia fatto a te”, e con questo
piccolo pensiero, che possiamo applicare al testo teatrale
scoprendone nuovi sapori, mi inoltro nel nocciolo caldo poiché ora
se ne sa quasi abbastanza per iniziare a comprenderlo.
Termina la prima grande
guerra. Le donne hanno collaborato lavorando nelle fabbriche. Ora non
ne vogliono sapere di rientrare. Hanno assaggiato l'indipendenza
economica, non ne vogliono sapere di retrocedere al ruolo precedente.
Questo fatto incrina definitivamente il rapporto fra i sessi che
nella cultura occidentale era codificato in modo chiaro.
Sottomissione sempre più parziale, questo è vero, ma rarissimamente
indipendenza economica. Una seconda guerra rende irreversibile il
fenomeno.
In quella clinica
psichiatrica posta sul palcoscenico, si sta svolgendo … una guerra
fra i sessi. La femminilità, quella vera (secondo gli uomini, poiché
non dobbiamo dimenticare che tutte le grandi menti che ho citato son
maschili e Ken Kesey è indubbiamente anche lui un maschietto) è la
somma fra la suora e la ragazza che viene in visita a Dario Danise.
Sono due entità separate dall'artista, come in “dottor Jekyll e
mister Hyde”. Ma proviamo a mescolarle, e si avrà la donna che
ogni maschio … del 1962 (e anche di oggi poiché facendo
quest'opera de Giovanni conferma l'attualità del contenuto) potrebbe
considerare ideale. Si diceva nel settecento a Venezia … che ogni
donna dovrebbe lasciare il pudore con la camicia, e in modo meno
stilizzato, proprio a Napoli si dice, santa in casa e p.... a letto.
Ma le entità separate a cosa portano? A due mostruosità
intollerabili. La suora è solo per l'ordine e le regole che non ha
ragionato ma ereditato. La sensuale visitatrice del protagonista è
solo sesso e quindi vive un'esistenza che non evolve ma pensa solo
con ossessività a saziare la sua fame. I pazienti guaribili a questo
punto diventano mediamente comprensibili. Sono uomini, maschi, che
son fuggiti volontariamente da figure femminili che tendevamo un po'
troppo ai due estremi archetipici di donna/regola e femmina/senza
regole. Il paziente che viene invitato a rivelare la sua
omosessualità, altri non è che colui che ha sposato una donna
troppo sensuale. Lui devia costantemente parte delle sue energie
psichiche verso un senso estetico che ama coltivare e che richiede
tempo, e quindi la moglie femmina quasi totale, lo fa soffrire. Gay
non è, per questo non lo ammette, e in questo si coglie anche una
tendenza superficiale di questa epoca che tende a considerare
effeminato quindi sessualmente ambiguo chi ha passioni estetizzanti
che lo distinguono. Un altro, schiavo delle regole materne, è
vergine e ossessionato dal senso di colpa. Perfetta personificazione
del limite più aberrante del cristianesimo che ha fatto del
matrimonio (che è sacramento solo dal dodicesimo secolo) un capestro
per controllare l'erotismo che è indubbiamente, e sempre sarà, la
maggior debolezza (e la maggior gioia) di ogni essere umano, il
miglior modo per tenerlo al guinzaglio. In questo caso è evidente
che la suora è esattamente l'emanazione, la figlia identica, il
clone, di quella madre ossessiva e protettiva fino all'annientamento,
dell'io del figlio. Un altro matto è completamente chiuso alla vita
e “vede” solo sessualità e un altro dipinge quadri che non
esistono. Questi due li vedo come irrecuperabili ma innocui,
categoria che la scena non ha avuto modo di distinguere. Infine il
gigantesco sudamericano che non riesce più a vivere perché si
vergogna del suo essere una nullità nella vita, di fronte alla madre
che gli appariva in sogno e che, proprio perché lui è deludente in
fondo a se stesso, non appare più a consolarlo. Questa figura
diventa attualissima poiché si tratta di un migrante disinserito e
come tale si rifugia volontariamente in clinica. Questi ultimi tre
matti, sono più marginali. Il pittore di opere invisibili non
dimostra contatti con l'erotismo, l'emiliano sessuofobo sembra chiuso
nella sua follia e viene percepito più come il Falstaff, il ruolo
puramente giullare che uno spettacolo teatrale tende a crearsi quasi
inconsapevolmente. Il gigantesco sudamericano è l'unico fra i
presenti che vanta una figura femminile positiva idealizzata. Una
buona madre che esistette e che si eterna nel sogno. Non deluderla
equivale a lottare per dare un senso all'esistenza. Lui è l'unico
che, con questa dote enorme, la buona madre, la figura femminile
amorevole e comprensiva, può uscire e tentare di vivere. Rompere con
la statua di una femminilità artefatta, la Madonna, che rappresenta
anche la religione, è potente e liberatorio, ma non per me che sono
un non rarissimo caso di ateo convinto che crede che dio sia più in
alto di qualsiasi invenzione umana.
Veniamo al protagonista. Questo teppistello dei bassi
di Napoli, è puro istinto. Seguiamo la logica. Senza madre = senza
regole= istinto. Troppe regole asfissia psichica. Se un bambino si fa
adolescente e poi uomo con la legge del più forte … e non esiste
progetto di vita ma un continuo accumulare per sperperare, coi soldi
coi sensi, col cibo, con tutto allora si ha l'opposto della suora
che, a differenza di lui, munita di una società che si lascia
dominare, sarà, la più forte. Inizia la sfida fra l'uomo/senza
regole e la donna/regola.Ma … che caratteristica ha questo scontro? Ve lo rivelo con una frase di Joshua Singer. Si tratta di saggezza chassidica che per l'occidente risulterà nuova nuova;
vado a memoria poiché ora sono assai distante dai miei cari libri: “la donna agisce con l'intrigo, l'uomo con la violenza”. Semplice, incontestabile e... tremendo.
Osserviamo la “lotta” fra questi due esseri archetipici e potentissimi e vedremo che, inconsapevolmente, chi ha prodotto il testo ha rispettato questa regolina. Lui quando non regge all'intrigo, usa le mani. Lei lo porta consapevolmente con l'intrigo ad essere violento poiché la violenza, e solo essa!!! diviene colpa! E si pensi ora a quante volte, uomini sono esplosi ad anni di angherie. Sono assassini. Sono condannati ed è giusto così. Si deve avere la forza di fare quel passo spiazzante che è l'andarsene, ma non è semplice. Ma trovo anche assurdo che la giustizia punisca la punta dell'iceberg rimanendo indifferente ad un sommerso che con un minimo di ricerca sempre diventa evidente.
A me è riuscito di fuggire e non diventare violento, per questo parlo con una certa sicurezza, e sempre per questo so che esiste un limite che la gente non vede. Se ogni giorno si sale di un gradino nella tensione di un rapporto, chi da fuori ci vede una volta al mese, vede la somma, ovvero un salto enorme che si fa incomprensibile.
Io ricordo, si. È ora di dirlo, mia madre che mi diceva “vieni qui che ti schiaffeggio!” e avevo quasi trent'anni. Era in piedi sul divano poiché io ero più alto. La madre è inviolabile. Violare la madre è mostruoso, e le madri lo sanno e attaccandosi ad un motivo spesso nemmeno futile ma saldamente inesistente, creano l'attrito. Mi avvicinai invitandola al dialogo. Non mi aspettavo che invece avrebbe usato le mani anche se sempre l'aveva fatto, ma mai mi arrendevo davanti alla possibilità della ragionevolezza. Le fermai i polsi chiedendole esasperato ma calmo, “ma cosa stai facendo!”. Iniziò a urlare dicendo che avevo alzato le mani contro di lei. E si tenga conto che il risultato avrebbe dovuto essere un mio senso di colpa come quello di uno del matti guaribili del palcoscenico. Iniziò a urlare e io ebbi forte la tentazione di darle un pugno. Non sopporto il rumore, lo odio. Mi destabilizza. Erano anni che mi sfidava così. Arrivava al limite. Voleva sfiorare il fatto che mi avrebbe definitivamente condannato e reso schiavo del suo volere. C'ero io. C'era lei, ma c'era anche il mondo. E il mondo è un essere assurdo che ragiona con lo stomaco. Il mondo ha bisogno di colpevoli, di mostri, si nutre di mostri, e dopo che lo ha esecrato, macellato, si sente un angioletto. Uccide il male colui che è buono. Così pensa, dimenticando che colui che è veramente buono non ucciderebbe mai mai mai. Resistetti e fu l'ultima volta. Me ne andai. Contro l'intrigo esiste solo il voltare le spalle e farsi una propria vita, ma non è facile per il maschio, abituato da migliaia di anni a risolvere, dove la mente non arriva, con la forza. Ora quella regina ha un territorio ma non ha un popolo. Immaginatelo il dramma. Macbeth che invece di veder avanzare il nemico si sveglia, e nel regno non c'è più nessuno. Senza sudditi non esiste il re. Così detronizzai il mostro, ma come un vaso crepato dai troppi urti, riesco a vivere una mezza vita, e a fatica, un poco come il gigante sudamericano dell'opera. E ricordo che dopo anni qualcuno ebbe ancora il coraggio di criticare il fatto che non la volevo più nemmeno vedere. La mamma è sempre la mamma, questa era la morale facilona, ma esistono i mostri, mostri che non si notano perché feriscono con un minuscolo ago giorno per giorno, poi ti curano ridendo e di nuovo feriscono, e nessuno lo vede.
Vi invito a non meravigliarvi dell'intreccio fra autobiografia e analisi di un testo. Bisogna mettersi definitivamente in testa che solo un io soggettivo, osserva. E rivelando come i tentacoli della mia personalità si siano avvinghiati al testo, si ha l'unica via che può dare effettiva chiarezza al contenuto che mai sarà oggettivo, ma sempre in relazione ad una personalità che ha un passato, una storia. Ed è quel passato, la sua somma, che si relaziona con “qualcuno volò sul nido del cuculo”. Spogliarsi di sé stessi è fingere. Non fatelo. Non fatelo mai.
Ora. Nel testo ravviso un particolare reale ed agghiacciante. L'intrigo, arte della donna, mai approda alla violenza fisica, ma la innesca per rendere colpevole colui che la attua. Ricordate la regola. L'atto violento, non l'iter che lo ha causato, vengono condannati dalla comunità! Ebbene. La suora, la donna regola, costringe la società a due atti di violenza. L'elettroshock e la lobotomia. Quest'ultima è resa con il suo significato più profondo. Annullato l'io, rimane un corpo. Quando uno dei matti guaribili scuote il protagonista lobotomizzato e poi dice “qui dentro non c'è niente”, riassume in modo geniale la verità di quell'atto che era omicidio vero, mantenendo il corpo in vita. Per quanto riguarda l'elettroshock, ho conosciuto personalmente persone che ne hanno subiti fino a cinque nell'arco di un decennio, me li hanno descritti come annientamento totale dal quale in modo sconvolgente, pian piano devi ricostruirti, col continuo terrore che te lo rifacciano.
Quando la figura femminile diviene assassina? Pensiamo a Medea. Essere primordiale che uccidendo i figli punisce il padre. E' follia? no. Medea è una maga che si innamora e il senso che ci vedo è che l'essere originario va al di là del maschio o della femmina e produce sottomissioni come unica forma di relazione. Ma uccidere è relazione? Se si uccide l'altro cosa rimane? La comunità, che edotta rispetta.
In questo testo il femminile costringe la comunità ad eseguire l'atto violento, che si giustifica secondo la legge del taglione. Sei stato violento? Al medesimo modo ti punisco. Primitivo, come l'essenza stessa del personaggio che mira a sottomettere la comunità tramite la “lezione” pubblica sull'individuo.
Sarebbe importante esaminare un testo scritto da una donna e con argomento simile per valutare cosa sta accadendo in questa strana battaglia. Esiste? Si, e l'ho visto di recente. Un'avventura grottesca e assai istruttiva che prometto di raccontare a breve.
Ecco quindi negli anni sessanta, e tuttora, confermarsi nelle espressioni artistiche, la reiterata comparsa di “immagini” della crisi del rapporto fra uomini e donne, ma descritto solo dal maschile. Il surrealismo in sé è la chiara crisi di una sottomissione fra i sessi che, non rispettando più la superiorità sancita legalmente del maschio, si fa battaglia spietata ... con queste donne che diventano sempre più indipendenti e incutono per questo un paralizzante timore.
Si noti poi come il testo usi le classi sociali e la lingua. Il dialetto per colui che è puro istinto; l'emiliano sessuofobo e il protagonista che è anche lui quasi allo stato di natura.
Il protagonista è in fondo alla classe sociale e quindi si dà per scontato che sia la bestia. La madre del figlio “castrato” e vergine, è l'apice sociale, che rifiutando le nozze del figlio con una di estrazione più bassa conferma il trauma. L'esteta che sembra omosessuale ha scelto una moglie di una classe più bassa che quindi è ovviamente, secondo il testo e l'epoca (quindi anche la nostra … epoca), più animalesca di lui. Schemino elementare. Più sali nella classe sociale meno sei bestia, e quindi un modo per avere successo risulta l'autocontrollo estremo della sessualità. Come riconoscere immediatamente chi è in alto da chi è in basso? Dalla lingua, poiché chi è schiavo della natura, dei sensi, parla in dialetto. E … se ci si pensa molti di noi non credono a questo schema quando viene esplicitato, ma nella quotidianità, che è fatta di abitudini e schemi, accade.
E invito, per concludere, a leggere i diari di Sylvia Plath che son quasi coetanei del romanzo di Kesey. Le fu diagnosticato un disturbo bipolare e varie volte tentò il suicidio. Vi aiutino queste considerazioni su di lei per essere sensibilissimi con una persona che sempre, quando scriveva, metteva in gioco tutta se stessa, completamente. Perché una donna osserva quel che un mondo maschile teme. È una lezione immensa, una possibilità, una via per chiunque non si sia già rifugiato in un qualsiasi monastero che si può chiamare clinica, letteratura e in altri mille modi, perché in fondo non ha più il coraggio o la voglia di lottare col sesso che sente a sé complementare.
Taddrarite (pipistrelli)
Sera
di dicembre. Vengo invitato in un piccolo teatro, può contenere al
massimo duecento persone se vengono stipate come sardine nella
scatoletta. Mi dicono che l'opera che rappresenteranno ha vinto molti
premi importanti e che recita l'autrice. Risulta sia in dialetto
siciliano, dimostro qualche timore basato sulla mia capacità di
comprensione ma mi dicono che si capisce, così si dice in giro.
Sono
diffidente. Saranno luoghi comuni ma quando uno ha vinto un sacco di
premi ho sempre la sensazione che ci sia qualcosa sotto. Di solito i
“gran sacerdoti” tendono a premiare un parrocchiano … e se non
ricordo male tanti, troppi veramente Grandi, kome Kafka, Pound,
Fitzgerald (e mi fermo perché c'è da far l'alba se proseguo), hanno
ricevuto le briciole in vita ...
Decido
di andare per non sembrare il solito asociale e vengo stipato nella
calca in un posto centrale abbastanza distante dalla platea. Mi sta
bene, preferisco così perché a fine spettacolo l'artista-attrice
verrà intervistata e vorrei fare il possibile per non essere
coinvolto.
Calano
le luci. In scena, centrale, una cassa da morto chiusa. Sedute
dietro, in nero su fondo nero, tre donne. L'atto è unico e la scena
non cambia. Tutto è affidato al dialogo e questo non mi piace,
ritengo che debba esserci un minimo di movimento e, quando accade
come una pantomima, mi sembra che sia uno stratagemma poiché vi è
la consapevolezza che è troppo statico. Una simile immobilità può
durare un quarto d'ora poi grida vendetta.
E'
vero, qualcosa capisco. Tre sorelle. Una ha il marito nella cassa da
morto. Si confidano segreti di pulcinella, cose che sanno di sapere.
Hanno sopportato mariti tremendi. Una, quella che ha il marito nella
cassa, ha affrettato la sua fine per mezzo, ovviamente, di un cannolo
siciliano. Era diabetico. Non mi ricordo se lo ha “corretto” con
qualcosa o ha semplicemente approfittato della sua golosità. Sta di
fatto che lo ha ucciso ed è fiera di essersene liberata. Sono
lievemente inorridito ma attendo nel “tirare le somme”, poiché
l'intervista potrebbe riequilibrare le cose. L'autrice potrebbe dire,
per esempio, che se la giustizia esterna non interviene, diventa
ovvio farsi giustizia da soli; lo troverei forzato, non nella mia
weltanschauung, comunque, ma passabile. Per un cavernicolo può
essere una risposta saggia. Io invece ritengo che mai l'omicidio sia
sensato a meno che non si tratti di estrema, dico estrema, legittima
difesa. Il problema del sud, di quella Sicilia rappresentata
nell'opera e non solo, è che nessuno è disposto ad uscire dalla
comunità. Rimanerci dentro equivale ad esistere, ad avere un senso.
Perché Maria, l'assassina, una mattina mentre era in casa da sola,
non è saltata sul treno ed è andata via? Perché questa non può
essere una soluzione? Se la giustizia non reagisce e accetta con
omertà queste situazioni di maltrattamenti, bisogna secondo me
rompere lo schema, ripudiare quella società e rifondarla, rifondando
prima di tutto se stessi.
Intervistano
l'autrice. Chi fa le domande è un assessore donna che parte con
elogi sperticati, esagerati anche se veramente si trattasse di un
fenomeno. E' evidente che la sua sensibilità artistica non si
differenzia molto da quella di Emilio Fede, mia unità di misura, mio
zero assoluto dell'insensibilità promossa a protagonista.
Aggiungo
poi qualcosa che ho trovato su internet. L'autrice voleva parlare
della violenza sulle donne. Si iscrive a un corso di scrittura
creativa e si sente dire “sei un'attrice! Fai una cosa di teatro!”.
Sono sconvolto dalla banalità. Un corso di scrittura creativa per me
è come se una persona che desidera imparare l'uncinetto, decidesse
di farselo insegnare da un idraulico. Sono insensati e modaioli quei
corsi, perché per saper scrivere bisogna prima di tutto comprendere
qual'è il percorso in se stessi, percorso personalissimo, per
arrivare ad attingere un'idea veramente nostra, pura, sentita. Quando
si ha l'idea, essa si scriverà da sé. Corsi di scrittura creativa.
Moda. E la moda ha in se tutto tranne l'eternità. E' solo presente,
illusione che l'arte celi i suoi segreti in un agire artigianale.
Saper fare uguale artigiano, ma per essere artista ci devi mettere
spremuta di anima!!! e qual'è il consiglio? “sei un'attrice, fai
un pezzo di teatro”. Ok. Sai affettare salami? Fai il salumiere!
Geniale! Mah! Qui qualcuno ha dei limiti spaventosi se non comprende
che è tutto talmente ovvio da essere stupido. Scoprire che l'acqua
calda è calda …. ecco di cosa si tratta.
Nel
frattempo che il mio cervello cerca di sconnettersi e di pensare ad
altro da quel che mi accade intorno perché troppa banalità mi rende
stronzissimo e voglio, devo tacere, ecco che mi si sveglia
l'attenzione. Chiedono a qualche uomo di intervenire e il tutto
diventa una congiura plurale. Son donne a chiederlo e sembra, col
sorriso fintissimo, che intendano estorcere un mea culpa da un
rappresentante del tipo assassinato a suon di cannoli. Logica
emiliofedista … Sei un maschio come il cannolodipendente? Quindi
sei colpevole quanto lui, forse meno perché forse non sei così
cattivello, ma potenzialmente lo sei in quanto maschietto. Il
risultato è che nessuno si offre per un centinaio di secondi che
rispettano le relatività e si dilatano fino alla nausea. Si sente
tensione, ma le donnine che l'hanno causata fanno finta di non
comprendere. Richiedono ai maschi presenti di dire cosa ne pensano
della violenza alle donne. Ovviamente un perbenista rompe il ghiaccio
forse per salvare la serata che sta diventando un'offesa a tutto ciò
che mira a sembrare almeno apparentemente sensato. Cerca di dire che
lui non è così e ci scappa un applauso striminzito. Chiedono se
qualcun altro si pronuncia ma nessuno si offre. Il cannolo insegna
.... Si vedono sguardi inviperiti di maschi, e donne che cercano
consensi nella loro caccia al maschio violento. Ho compreso. Due
categorie si scontrano e il maschio, nella pluralità dei corpi
presenti, dovrebbe sottomettersi ma non lo accetta, resiste a questa
generalizzazione che ha del putrido, del ridicolo. Finiscono con una
battuta che ovviamente non fa ridere ma ridono le donne e a denti
stretti i maschi e poi decido che la cosa giusta da fare è uscire,
immediatamente e sono certo che sentirò uomini inviperiti. L'esterno
c'è un giardino abbastanza grande. Divento invisibile come un gatto.
I primi escono e non attendono due metri dalla porta della gogna per
reagire. Sembra che sia la generalizzazione a ferire e basta. Nessuno
ha colto che il femminile ha reso lecito l'omicidio se il partner
continua nelle angherie. Mi aspettavo di più dagli uomini, ma siamo
in un'epoca individualista e ognuno dice prima di tutto, e a volte
solo, non sono stato io!
E
la situazione è la seguente: avete presente il problema tutto
italiano dei padroni di cani ke kostellano i marciapiedi di
democristiani (ci siamo capiti...)? Ecco, se hai il cane ti guardano
in cagnesco e devi essere più ligio alla legge di un giudice folle …
e non basta. Hai un cane, la tua categoria è colpevole. Qui è
accaduta la medesima faccenda. Sei un maschio? Se non l'hai ancora
fatto lo farai, e devi espiare una colpa in questo disagio in questa
ombra che menti ristrette emanano come una nebbia.
Il
punto è che questo “spettacolo”, con la scusa di rappresentare
la realtà siciliana, si eleva a scontro tra i sessi. In questo caso
la mentalità femminile che ha creato la situazione scenica, vede
solo il male dell'uomo e mette in chiaro che gli uomini sono così,
senza un motivo. Io sono d'accordo? NOOOOOO. Perché ogni persona è
un io a sé e non accetto nemmeno per gioco l'etichetta di potenziale
violento oltre il resto da una categoria che è altrettanto violenta
masemplicemente con altre tecniche.
E
poi ...ma chi li alleva in quel modo i maschi? Quella comunità fatta
per la metà (e passa) di donne non è in grado di influire
sull'educazione? Ed effettivamente è così. E offro una mia
versione. Come hanno scelto i loro maschi? In modo animale, e lo
raccontano in scena. Pulsione erotica e basta, poi dopo scopri che è
un animale non solo a letto come ti piace ricordare? Ma se quella è
stata la formula di discriminazione pretendevi il principe azzurro?
Si lamentano che poi è cambiato? no. Non è mai cambiato. E' che
dell'animalità all'inizio hanno preso solo l'erotismo e hanno
pensato che bastasse per sposarselo. Un po' come quando noi uomini
pensiamo che bellezza equivalga a dolcezza di carattere! E poi il
destino ci fa pagare il conto … ma per un nostro errore!
Aggiungo
poi che al sud, ovviamente non per tutte ma per un misero 99.99 per
cento, il matrimonio è più importante dell'amore perché il ruolo
della femmina nel gruppo sociale è considerato completo se sei
sposata e hai pure il pargoletto. Ricordo casi di uomini che conosco
che appena sposati se non figliavano entro tre secondi netti venivano
lievemente ridicolizzati. L'iter della donna termina con matrimonio e
figli, quello del maschio, se accetta il matrimonio, che per lui non
è strettamente necessario, il figlio è comunque un obbligo …
sociale.
Se
una società che ha sempre una maggioranza di femmine, non sa
scardinare un circolo vizioso, non è certo perché il maschio è
forte fisicamente e quando arriva al dunque la zittisce con le
sberle. Come ho accennato prima rubando una frase di Joshua Singer,
le donne hanno l'intrigo che è un'arma potentissima ... ma io
consiglierei di rinunciare a intrighi femminili e violenza maschile
e di mettere in scena un mondo che cambia perché vuole cambiare e
non un rapporto fra i sessi che ripete se stesso da secoli basandosi
su un agire ferino, esclusivamente erotico e non cambia perché il
livello del ppensiero latita o se appare è per un milionesimo di
second. Se si rileggessero i due grandi capolavori del d'Annunzio
giovinetto!!!“Terra vergine” e “Le novelle della Pescara”
descrivono in fondo quel medesimo mondo, ma accadente nell'Abbruzzo
dei primi del novecento, nel quale la primordialità è vissuta
totalmente. Aiuterebbe a comprendere che chi è parte di quel mondo
se decide di rimanervi deve accettare quelle regole che io comunque
trovo assurde.
Ora,
in questa scena teatrale, donne che agiscono in modo primordiale non
accettano le conseguenze del loro gesto, di quella unione che parte
da sotto l'ombelico e nemmeno per un attimo medita. Ma non è
l'omicidio la via!!!!!!!!! Pensiamoci. Quella donna si è liberata,
ma se non cambia il suo modo di selezionare il maschio, se intanto
che è madre e sorella o zia, non educa a qualcosa di diverso dalla
carnalità, se grazie all'erotismo ferino che prova, si acceca ad
altri aspetti che non si fingono, che qualcosa rivelano sempre, potrà
mai cambiare quel mondo? E non accetto la drammatica versione che
l'amore acceca. Se in parte è vero, comunque se si è abituati a
meditare potrebbe accadere, e a me è capitato, di rendermi conto che
quel che mi si offriva non era nel mio modo d'intendere l'esistenza.
Io penso che in quella società comunque ben descritta, le vittime
non siano quelle donne e quegli uomini, ma coloro che nascono in quel
contesto e non sono dotati di capacità di intrigo e di violenza.
Sono sempre esistiti ed esempi colossali sono Sciascia, Brancati, De
Filippo, Troisi solo per citarne alcuni che dimostrarono alla grande,
con la loro opera di essere incapaci di soggiacere solo e sempre agli
istinti più bassi. Non cambierà nulla in quel mondo che
l'attrice-autrice ha descritto, se le donne non inizieranno a
rifiutare approcci che sono solo istinto, se le madri non
provvederanno a fare dei loro figli degli esseri …. civili, se la
sconfitta del violento non viene affidata ad altre soluzioni.
Un
testo nel quale una mente femminile attuale descrive una situazione
conflittuale e rende lecito l'omicidio. Intollerabile per me. O m i c
i d i o!!! Esistono soluzioni meno animalesche. Vanno bene per quel
mondo istintivo e decisamente primitivo, uccisioni e risse, ma non
funzionano nel mondo che, si, lo ripeto, ambisce ad essere civile.
E
se le forze dell'ordine non intervengono bisogna andarsene, recidere.
Ho
raccontato qualcosa di me; ho abbandonato la comunità nella quale la
violenza, ben mascherata era accettata e il perbenismo dicendo “la
mamma è sempre la mamma” mi avrebbe assegnato sempre e comunque il
ruolo del colpevole, del figlio ingrato se proprio mi andava di
lusso. Anni di angherie … e andarsene fu l'unica possibilità senza
sporcarsi le mani. Rifondare l'io. Quando ebbi la tentazione di darle
un pugno, non fu per uccidere, ma per riconquistare il silenzio e la
calma. Ero esasperato. Da quando son nato era quella musica anzi,
quel caos. Violenza fisica sommata a quella psichica. Per questo
penso di poter comprender con un pizzico di cuore in più la violenza
sulle donne. E' sufficiente attuare una generalizzazione e l'empatia
sorge, ma non per la donna, bensì per l'essere umano! Qualsiasi tipo
di violenza è per me insopportabile e non rappresenterà mai una
soluzione! Non penso alla donna o a me uomo, ma all'essere umano! E a
questo punto scatta la comprensione, come ho detto, per sofferenze
che furono anche mie e riemergono spesso, ma non per la soluzione
nella violenza. Pensai al suicidio. Ci provai pure, ma in questi
tentativi fui ridicolo, perché pretendevo di sopprimermi senza
violenza. Un autentico paradosso. Fui un Fantozzi in quell'arte che
richiede per ben riuscire, una dote di violenza che appunto ora so
essermi negata. E tuttora mi considero condannato a vivere. Quando
ho compreso che nel mio caso non c'era soluzione non ho pensato alla
violenza se non nel momento della sua isteria che mi stava
annientando. Non lo era di fatto nemmeno in quel momento nel quale
pensai al pugno perché non ambivo a sopprimere, ma al silenzio. Non
lo era per me, in un bilancio di violenze subite che rasentava
l'assurdo. Si legga il mio racconto “Creatura” e si tenga conto
che il fatto che vi narro è vero e forse, se sono stato abile, si
comprenderà in cosa consiste l'annientamento psichico. Se ho fallito
si legga di Orwell l'eccezionale “1984”.
E
queste cose accadono, non solo alle donne per mezzo degli uomini, ma
anche ad un bambino in un mondo di adulti fatto di luoghi comuni fra
i quali varie forme di violenza possono strisciare e appagarsi senza
destare sospetto. Anzi, il contrario.
Uccidere
non è una soluzione se non in caso di estrema legittima difesa.
Accettare
versioni differenti, promuovere la violenza per reagire … alla
violenza, equivale a continuare la situazione precedente
esacerbandola. In questo caso le due sorelle sanno che l'omicidio è
stato compiuto. Potrebbe propagarsi in loro la sensazione che sia
lecito ora che il fatto accaduto si dimostra meno drammatico del
previsto … e questa nuova liceità potrebbe trasmettersi a qualcuno
fra il pubblico …
Non
ho altro da dire.
Ho sempre questo senso di oppressione che mi soffoca,che mi annulla. Conosco la causa di questa sofferenza ma non posso scappare e neanche combatterla. Sono troppo debole, mi inghiottirà lo so. Non sarò più niente. Così prendo la mia bellezza e la nascondo dentro di me, più in fondo possibile, per proteggerla finché non potrò andare via, liberarmi dalla mente delle persone ed essere finalmente me stessa.
RispondiEliminaSpegniti piano come una candela consumata dalla fiamma e così potrai morire, in segreto. Solo per te, senza violenza.
Ti faranno sicuramente sorridere queste parole perché semplici e con luoghi comuni su cui tutti i mortali, con un'intelligenza costruita dalla società, inciampano. Troppo poco per il tuo io che è la bellezza personale più interessante che abbia mai conosciuto. Mi scuso per questo, ma il mio io ogni tanto sfugge dal controllo della mia mente e prova a offrire al mondo la vera me, come per dire: "Guarda, dentro a questo corpo che solo corpo è e niente più, c'è qualcosa che voi non notate. Peccato. Ci perderete, perderete me." Ma la mia parte razionale nasconde l'io perché sa che in fondo la realtà è crudele e non ci fa niente con me. Io proteggo il mio io come se fosse un'altra entità distinta. Com'è possibile? Forse è solo fantasia. Sono solo un corpo ed una mente. Questo è normale ma a me non basta.
in un punto delle tue parole si coglie che sei una donna...
RispondiEliminaLe parole semplici non mi fanno sorridere ma hanno tutto il mio rispetto. Diceva Borges; "amo la semplicità, quella semplicità che ha dentro una segreta complessità. Questo è il punto.
aggiungo che contrariamente a quel che dici io non mi chiudo ma mi metto in gioco. penso che, se mi sono comportato correttamente secondo la mia morale, e secondo una morale condivisa, se vengo ferito, la colpa è dell'altro, e questa consapevolezza d'innocenza aiuta a rinascere.
aggiungo che attualmente esco poco, anzi niente, vivo poco, nel senso sociale, ma solo perché studio tanto e scrivo.
ciao
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