domenica 15 novembre 2015

il re di New York (racconto)




C'era una volta un re che chiedeva alla sua serva, raccontami una storia, e la storia cominciò …

C'era una volta un re ..... quando arrivò un re non era, ma dopo l'alba ....
Partito dall'Italia, dal sud dell'Italia, e arrivato a New York, Pietro aveva ben nascosta in valigia, una sorpresa per qualche amico. Non era il suo primo viaggio e di lui sorridevano con indulgenza. Non dipingeva per far soldi, non usciva per agire! Era insomma un italiano, che usciva con gli amici per il piacere della compagnia e non trovava soddisfazione nelle sbronze. Un extraterrestre quindi per New York, che armato di un piccolo scrigno diceva di portare un tesoro.
Si videro a cena e … nella scatolina intarsiata di Bucellati, c'era un pomodoro di Belmonte coltivato da Benedetto, un fauno delle colline.
Aveva notato Pietro, che i loro pomodori, quelli degli americani, sono stupendi, perfetti! Immagina il pomodoro più bello che ti riesce. Ecco, è quello, ma se lo mordi, e Pietro lo morse come si fa con una mela, acqua. Zero sapore, il nulla. E come spiegarlo agli amici? C'erano i pomodori messicani, quindi d'esportazione e che per questo erano e sono tassatissimi, ma neanche quelli secondo Pietro erano pomodori veri. Questo, della sua terra, enorme che sembrava un uovo di struzzo ammaccato, rosso e un po' verde, con una piccola cicatrice grigia, non  era certo perfetto per gli occhi, ma al palato, un paradiso, quasi un'esperienza erotica.
Già con le banane un giorno avevano discusso e non era riuscito a spiegarsi. Aveva preso dei plumcake, ed essendo tutti con ingredienti strani, prese quelli alla banana perché erano secondo i suoi gusti, i più normali. Dovevano fare una gitarella e quando verso mezzogiorno ne assaggiò uno, lo sputacchiò disgustato. Sapeva di chimico. Un amico americano provò ad assaggiarne un altro, era una confezione da sei, e disse che secondo lui quel dolce era normalissimo! Pietro gli chiese se avevano mai mangiato una banana, ma ovviamente sì, le avevano mangiate. Tornato a New York, le comprò e si rese conto che erano una polpa strana. Non poteva spiegare se non con un esempio portato da casa e quindi un pomodoro enorme, dalle colline vicino a casa sua, finì in valigia e, per passare inosservato alla frontiera, fu messo nello scrigno che contava poi di vendicchiare a qualcuno.
Il pomodoro seppe spiegare bene a quei newyorkesi, cosa vuol dire pomodoro. A loro sembrò provenire dal paradiso. Felice dell'esito, raccontò dei sapori della sua terra e loro finalmente riuscirono ad immaginare.
La notte, a Central Park seduti sull'erba, decisero di aspettare l'alba. Spiegava Pietro che spesso, davanti al mare, pensando, vedeva nascere il giorno e i colori.
L'alba venne e Pietro ebbe negli occhi una nostalgia per qualcosa che non volle spiegare. Disse “questa mattina vado a fare un giro e domani notte aspetteremo di nuovo l'alba, ma a modo mio!”
Pietro partì e, verso sera telefonò dicendo “nel medesimo posto al Park! Puntuali! Un'ora prima dell'alba!”
Lui era già li. C'era il silenzio della città che non è quello vero, e il buio che buio non è. Pietro era nervoso. Si capiva che aveva organizzato qualcosa e aveva paura che non riuscisse ma poi, un attimo prima dell'alba … si sente un gallo cantare.
Qualcuno faceva footing nelle vie intorno e si fermò come un cane indeciso, annusando l'aria, i suoi amici ascoltarono sconcertati quel grido solare che avevano nel sangue, come tutti gli animali, ma che, non sentendo più da un pezzo, fece loro anche un po' paura.
Poi si vide il volatile, che come un re passeggiava nel prato, e un paio di galline. Beccavano. Pietro aveva gettato tanti semi, e aveva spiegato che per convincerlo a rimanere servivano cibo e femmine, più di una, che i galli non si accontentano di una sola.
La mattina dopo c'era una folla. Il silenzio e il buio erano ora attesa. Per un po' era sembrato che fosse in ritardo e quando finalmente cantò, ci fu un applauso. Pietro si innervosì e urlò “silenzio! Che poi si spaventa e scappa!” e silenzio fu, da quella seconda mattina. Fu chiamato Pavarotti quel gallo, perché il grande tenore cantò tanto a New York. Se Pietro fosse stato spagnolo lo avrebbero chiamato Domingo, se francese non so come, ma era Pavarotti che era tornato in forma di gallo, questo dissero, e ora che l'applauso era diventato un tabù, attendere il canto del gallo era diventato un rito, il rito del giorno nascente. Quando qualcuno alzò le braccia, come per voler abbracciare il sole, fu imitato, e come una messa mattutina, New York si scoprì pagana, antica, umana.
Pietro raccontava tutte le notti del sole sul mare che non è come il mare degli americani, dell'isola col cappello di nuvole che si vede nei giorni chiari dalla sua Amantea e della sensazione che spesso prova, che gli dei siano appena andati via, lasciando il sole, i pomodori e il cantare, ma io so che gli dei invecchiarono e divennero uomini. Ebbero noja dell'immortalità, com'è giusto che sia. Alcuni abitanti  del sud ogni tanto dicono che fanno un viaggio, mandano lettere di avvenute morti e naufragi, e poi tornano eterni, fra gli uomini di casa, che la creazione del loro padre, che non sanno nemmeno immaginare, li ha ammaliati come sta facendo il gallo a Central Park con i newyorkesi. In ogni generazione dodici saranno i profeti e non sapranno di esserlo, questa è la legge, questo è il sole che sorge.
E ora Pietro tornerà, ma il gallo, re degli uomini, che sveglia il sole, che insegna il canto che serve per infrangere il silenzio senza sentirsi in colpa, il gallo avrà un figlio, diventerà il figlio che si farà padre, che in un altro figlio, non meno eterno di una divinità, sveglierà il tuo sonno, e per un attimo, anche se uno solo sei già un diamante, per quel attimo avrai sentore, ricordalo del paradiso.



C'era una volta un re ...

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