sabato 7 settembre 2013

Christopher Isherwood: "La violetta del Prater"



Il dono grande di questo 2013 si chiama Christopher Isherwood Qualcuno potrebbe dire!Merglio tardi che mai!” e io rispondo che il più bel dono della vita è l'ignoranza. Posso offendermi se mi dicono democristiano o socialista o pidiessino o forzitalista o anche giornalista. Esiste certamente il modo di infastidirmi, ma certo non dandomi dell'ignorante. È tipico di chi poco sa, reagire male a questa che sempre, anche per una vita lunga centovent'anni, e che ora non è impossibile immaginare, si presenta come una magica, deliziosa conferma. Cosa te ne fai della vita se sai tutto? E peggio ancora se non conosci il piacere di sapere? E conosco tanta gente che si rotola nella circolarità dei sensi. Mangi e sarai sazio per qualche ora, e poi rimangerai, rifarai sesso, avrai ancora sete … sapere è invece una via lunghissima, infinita, oltre la vita, la morte, il corpo e offre sorprese che valgono... la vita. 

Iniziamo con una meditazione su quanto ci dice un anonimo, dalla costa di copertina:

Quanto segue è semplicemente la storia veridica e non resistibile, di come un film nasce e si trasforma, e soprattutto di come giorno per giorno rischia, nei modi spesso più folli e sgangherati, la catastrofe.”

Questa considerazione è vera anche se secondaria, per quel che riguarda la genesi di un film negli anni trenta, ma non trovo ci sia nulla di folle e sgangherato sul rischio di catastrofe. Abbiamo un regista austriaco di origine ebrea, Friedrich Bergmann, che va in crisi verso la metà delle riprese che si svolgono a Londra, poiché ci sono delle sommosse con spargimento di sangue a Wienna e dintorni. Là ha lasciato moglie e figlia. Legge i giornali continuamente e si agita fino a diventare intrattabile. Ebbene, dove sta la follia? È vero che in costa al libro si dice esattamente “in modo spesso folli”, e con quel spesso si può salvare in calcio d'angolo, ma in questo caso si tratta di una reazione umanissima e la follia abita altrove.

L'anonimo estensore prosegue così:

Per John Boorman, questo piccolo gioiello semidocumentario era il più bel libro in circolazione sul rapporto fra il cinema immaginario e quello reale.”

Ora … immaginiamo una Ferrari nuova fiammante e un essere che la apprezza solo perché trova eccellenti i cerchioni ... penso che a chiunque sembrerebbe una stravaganza, oppure una mancanza di …. diciamo qualcosa di fondamentale. Insisto. É vero che il libro è anche un qualcosa di semidocumentario ma questo aspetto sta alla “Violetta del Prater” come i cerchioni di una Ferrari stanno alla intera macchina! Ovvero in essi, i cerchioni, non si esaurisce il fascino della Ferrari, così come nell'aspetto semidocumentaristico, non si risolve questo libro!

C'è di più, c'è del genio, letteralmente del genio!

Ricordo che anni fa, per un film di Pupi Avati che era di una certa profondità, lessi su un giornale che si trattava di “uno spaccato di vita nell'Italia fra le due guerre”. C'erano varie ragazze e ragazzi fidanzati, con una grande attesa dalla vita. Fra gli sposati una sola persona era invece serena …e si trattava, guarda caso ... di una vedova. Il marito le era morto presto e ogni sera lei apriva la finestra e lo salutava fra le stelle. C'era il malato terminale che girava con una grossa valigia in piccoli paesini e vendeva occhiali, le maschere del ventesimo secolo (ora la maschera è il lifting …). … e qualcuno su un quotidiano aveva spacciato per senso del film, l'ambientazione. Che squallore!

Il medesimo problema occorso ad Avati, lo troviamo per questo libro di Isherwood.

L'ambientazione, per quanto veritiera, è lo strumento, minuziosamente “maneggiato”, con ironia e profondità, per arrivare ad un dunque che metto senza indugi fra la più alta liricità del novecento.

La situazione io la leggo così: due persone, Christopher Isherwood e Friederich Bergmann, devono relazionarsi causa un lavoro. Il primo è scrittore e giovane e sarà sceneggiatore, Bergmann è e sarà regista. Non un regista qualsiasi. La sua è arte. Scopriamo per esempio che, senza sapere che era di Bergmann, Isherwood aveva visto precedentemente ben quattro volte un suo film, evidentemente apprezzandolo. Inquadriamo la relazione: Isherwood stima Bergmann. Bergmann, quando scopre che Isherwood parla bene tedesco, all'istante, con una spontaneità da fauno, chiede di essergli sempre di fianco. Gli offre un rapporto paritario. Di fatto comunque, Bergmann è l'artista saggio, un corpo che è l'involucro misterioso di una immensa volontà positiva. Isherwood nel frattempo è fermo all'undicesimo capitolo di una sua opera, non la prima, riveste il ruolo di figlio con un fratello, sta quindi ancora nel nido, e accetta la relazione che, per lui non rappresenta solo le venti sterline al giorno, stipendio notevole per l'autunno del 1933.

Mi sembra immediatamente che la struttura vada ben oltre … i cerchioni!

Isherwood vede vivere e pensare un artista che stima. Lasciamo scorrere la preparazione del film con tutti gli altri “attori” nel ruolo di comparse e approdiamo all'ultima sera. Alle nove meno dieci per l'esattezza, terminano di girare l'ultima scena. Bergmann saluta la troupe e gli attori e … Christopher Isherwood accompagna Friederich Bergmann, a casa.

Tutta la scrittura fin qui assorbita, era in preparazione di quanto accade ora. Qui inizia il capolavoro.

Era quell'ora della notte in cui i lampioni stradali sembrano splendere di un fulgore remoto, insolito,come pianeti senza vita. La King's Road, nera e lucida di pioggia, era deserta come la luna ...”

Ora cambia tutto e la situazione si fa metafisica. Scusate per il parolone … la situazione si fa magica, e la mente si avvia, nello scoprire il senso di quel che è accaduto in quei mesi, in questa esperienza (umana?) con Bergmann. E ora s'invola ben oltre la quotidianità.

L'effetto fra vuoto attuale e pieno precedente, durato centoventidue pagine, proposta é notevole. Ogni scena prima, era emotiva, rumorosa popolosa e, per chi come me conosce King's Road, l'effetto risulta ancor più marcato

Era quell'ora della notte in cui l'io dell'uomo quasi si assopisce. Il senso di identità, di possesso, di nome, indirizzo, numero telefonico diviene estremamente vago. Era l'ora in cui l'uomo è percorso da un brivido di freddo, rialza il brivido del cappotto e pensa ...”

Notate lo straniamento in atto. Non c'è più l'io o si sta dileguando, diluendo. E quel che rimane pensa? Povertà del linguaggio! Isherwood sta tentando di dirci qualcosa che trova impreparata la parola, strumento troppo spesso insufficiente … ma ci riesce ugualmente. Quando non si è più Io non si pensa, e anche le parole che seguono, non rendono conto, all'interno di questa sola frase, della potenza espressiva alla quale comunque lui riesce ad approdare e a portarci prendendoci delicatamente per mano.

Ricordiamoci che l'io è stato disarmato e messo da parte come una corazza. Quel che avviene quindi non è pensiero, anche se non esiste altra parola per esprimere quel fluire di senso, ma una sequenza di verità … rivelate.

Di solito questo accade alla poesia, vetta estrema e estremamente irrazionale, dell'espressività umana …. e infatti per me queste pagine, partendo da “Era quell'ora della notte ...” sono pura poesia.

Il generico “perché esitiamo?”, diverrà un “perché esisto?” che riceverà una risposta …

E poi si passa al mistero dell'amore. Il passo inizia dicendo: “L'amore era J. ...”

E qui devo iniziare facendo i complimenti al traduttore che si chiama Giorgio Monicelli e mi dispiace che nei testi attuali mai, chi svolge questo delicatissimo ruolo di interprete fra due lingue, fra due mondi, riceva lo spazio per dire qualcosa della fatica che ha compiuto.

Questa meditazione sull'amore lui, Giorgio Monicelli, l'ha interpretata e tradotta con una delicatezza che non si coglie facilmente e che cerco di spiegarmi. Leggete il brano e vi renderete conto che il partner descritto, questo quasi innominato J. noi tendiamo a pensare sia una donna perché l'autore di queste righe è un uomo. Questo limite accade agli etero. Chi sa che Isherwood era gay invece, immediatamente darà una connotazione specifica, ma come vedremo non necessaria, a quella informazione. Ma, fateci caso rileggendo ... essa è asessuata ... L'amore fra due esseri è in essa oltre questi ruoli dettati dalla carnalità individuale. Rileggetela e fateci caso.

Io non ho mai avuto problemi con gli altri sessi. C'è chi dice che sono due, chi tre chi trecentosessantadue e in Giappone qualcuno in più … non mi riguarda. Io ho la mia sessualità e ognuno ha la sua che si vive come meglio crede. Ho già accennato in un altro scritto con un esempio paradossale, ma che nella vita spesso si concretizza, quel che penso del rapporto sesso-amore. Il sesso è l'innesco, se si è giovani e/o sani. Ma immaginiamo che uno dei partner della coppia si ritrovi un “malaccio” che non gli permettere più di essere partecipe sessualmente … ebbene … l'amore potrebbe continuare, e se accade, e sappiamo che speso accade, o si tratta di abitudine, o convenienza oppure … oppure ci tocca ammettere che l'amore è qualcosa che va oltre la carne! Ecco come la penso.

Ma in questa situazione magica creata e forse realmente vissuta da Isherwood, in questa King's Road notturna e vuota, con i lampioni “che sembrano splendere di un fulgore remoto, insolito, come pianeti senza vita”, lui ci dice che la storia d'amore che sta vivendo al presente con J. Finirà: “... Perché J. non è realmente la persona che voglio. J. ha soltanto il valore di esistere ora. J. passerà, il bisogno resterà. Il bisogno di ritornare nell'oscurità, nel letto, nell'amplesso caldo e nudo in cui J. è come K., L. o M., dove non c'è che la vicinanza, la dolente malinconia di stringere il corpo nudo fra le braccia. Il dolore degli appetiti, sordo, continuo sotto ogni cosa. E la fine di ogni voluttà, il sonno senza sogni dopo l'orgasmo, quel sonno tanto simile alla morte.”

Son conclusioni alle quali sono approdato faticosamente, nella mia piccola esistenza, è forse è per questo che quando le ritrovo, immediatamente le "sento".... La fame dei sensi che si ripete, il corpo che tocchi penetri, ma non arrivi ad altro che alla necessità di ripetere ripetere e ripetere, come bussare continuamente ad una porta che non si apre. E i sensi sempre sazi e di nuovo affamati si limitano a bussare ad una porta chiusa? No. L'altro, la relazione, nel caso del libro una profonda amicizia con il regista Bergmann, rivela un gradino successivo, che nell'amore diviene sorda e alienante ripetizione e si tratta di quell'intuizione del sacro che ultimamente spesso racconto. Ma in Isherwood, essa è una scoperta che, alla sua prima rivelazione spaventa, manca il coraggio per inoltrarsi in essa. Ma procediamo con ordine. Dopo aver spiegato la ripetitività alla quale approdano gli “appetiti”, la scrittura prosegue meditando la paura.”Non le paure che tutti conoscono, le paure cui si fa pubblicità, ma quelle più terribili: le paure dell'infanzia ...”

e queste antiche paure si raggrumano in una sensazione che lo guida all'intuizione del sacro, alla, alla paura radicale, originaria e ultima, la “paura della paura”:

Ma se è mia (la paura delle paure) , se è realmente dentro di me, allora … Perché? E in questo istante, così fioca, così remota, come la vaga visione di un sentiero impervio su un'alta montagna che si perde fra le nubi, vedo un'altra cosa: la via che conduce alla salvezza. Dove non c'è paura, non c'è solitudine, nessun bisogno di J., K., L. o M.

Per un istante, la scorgo. Per un secondo, è perfino chiarissima.

Quindi le nubi si richiudono, e un alito che soffia dal ghiacciaio, gelido di quel freddo sovrumano che regna tra le vette, mi sfiora la guancia.

No” mi dico. “Non potrò mai farlo. Meglio la paura che conosco, la solitudine che conosco ...”

Dopo l'intuizione, enorme per l'essere umano chiuso nell'abitudine alla corporeità, ecco la paura. Una paura più vasta, non sperimentata mai, e la sua novità è la sua essenza del momento.

Ma il sacro ormai si è rivelato, quella dimensione oltre la carne, oltre … la vita, che già in vita si può avere la fortuna di intuire e il cammino è aperto.

Ma … Isherwood a chi deve l'intuizione? All'essersi lasciato andare a Bergmann, al regista anziano e vivo di una vitalità che spesso sembra sorprendente o lucidissima o ridicola, ma che produce l'opera grande. Insomma all'artista vero.

Questo libro racconta una iniziazione.

Questo libro è enorme, sincero, eccezionale, perché anche a noi, può accadere e le forme del suo accadere sono molteplici.

Mesi fa volevo fare uno scritto dedicato a “Un uomo solo”, sempre di questo autore. Rimandai per due motivi. Desideravo avere anche riscontri da amici. Io già dalle prime pagine ero commosso. Come ho accennato, le varie sessualità non mi infastidiscono. Vivo la mia e amen, quindi quel volume che chiaramente si schiera e si presenta come una storia con risvolti omosessuali, potrebbe essere mal vissuto da chi ha delle remore, dei muri dentro ...e in fondo la paura di esserlo …

Mi dissero poi che il Film “A solitary man” di Tom Ford, era tratto da quel testo. Stimo notevolmente Ford come stilista. È decisamente uno dei migliori, e il film quando uscì, me lo lasciai scappare. Qualcuno mi diceva che era un capolavoro, altri una noja. Ne sono entrato in possesso solo da un paio di giorni e non mi sentivo quindi pronto per scrivere qualcosa di, diciamo completo, ma ieri, in una delle mie solite cacce ai mercatini dell'usato, per la somma “spasmodica” di tre euro, ho trovato “La violetta del Prater”. Avrei potuto comperarlo in libreria se ero così colpito da Isherwood, direte voi, ma provate a comperare qualcosa in Italia in agosto! Se non ce l'hanno in “casa” arriva alle calende greche. Attendevo la metà di settembre per provvedere, ma il caso, unica legge valida quando il mondo si fa troppo affollato, mi ha offerto con un se pur breve anticipo di una manciata di giorni in fondo, questa notevole esperienza.

ciao
















14 commenti:

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  5. mihai gettato via come una checca guarda che mi hai offeso tu toni me l'aveva detto bisogna toccare con mano prima

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    1. sei tu che vuoi ritenerti offeso perché non sei stato assecondato. ho cercato di spiegarti cosa faccio e perché e tu fai certi riferimenti sulle mie mani eccetera. questo blog è per letteratura e arte. per altri tipi di contatti esistono delle chat specializzate. io non ho nessun rancore, ma ho eliminato gli interventi tuoi che ho trovato troppo diciamo spinti e di un'altra persona che mi ha definito migliore di Kafka e Simenon. mi ha tolto il sonno. ho temuto che qualcuno potesse pensare che condividevo quella valutazione ... se ti offendi si vede che hai tempo per farlo. io non ne ho per offendermi, e per rancori vendette e cose simili. ciao

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    2. ma no dicevo x dire io ti sono affezionato uso un linguaggio scemo xkè nn ho un gran chè di valido cm cultura rispetto a te ... mi sn spinto oltre dato ke tu eri molto aperto e volevo presentarmi in maniera gioiosa scherzando tutto qui ciao e grazie del chiarimento...ti ho detto leggo ma capisco poco pensavo apprezzassi il tentativo ... no hai ragione tu sn stato troppo confidenzialone ciao alla prossima

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    3. non immagini quanto amo l'umorismo. quando è terminata la correzione ne potrai vedere un po' nel racconto viagra che avevo già postato ma ho tolto per correggerlo un po'. in esso anima e vita quotidiana se la giocano creando situazioni spesso comiche e penso, spero, sensate. quel tipo di umorismo che hai sfoderato nei commenti è perfetto quando si esce a mangiare per esempio una pizza o a bere qualcosa, e anche io in quei casi so diventare boccaccesco. ciao

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    4. penso che ci siamo capiti !!!se non si scherza sulle proprie tragedie siamo fritti in padella ...non vede l'ora di leggere questo post ... d'altra parte per noi omsessuali l'amore non è mica sempre drammatico... scusa se te lo chiedo mmm mi sento a disagio ma sn curioso e lo9 sai ma per un etero come te con cultura una bella casa immagino un bel personalino com'è l'amore....insomma le donne come le vedi ?

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  6. sto leggendo anche il blog petali al vento ...davvaero bello! ancora lei la poesia,...

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  7. posso spiegartelo privatamente. all'inizio del blog c'è la mia mail. sai, penso che per chi scrive, offrire troppa autobiografia sia sbagliato. per questo non intendo risponderti da qui. tutto il novecento ha prodotto intellettuali che han preteso di comprendere gli artisti limitandosi a frugare nel loro privato. è vero che si comprende molto, ma non quel che l'artista ti vuole dire. se io artista scrivo un dramma e tu scopri che son figlio di divorziati e ho avuto altre sfighe, tenderai a dedurre l'opera da quelle sfighe. troppo semplice. in questo blog per esempio c'è il racconto "ciliegi" in fiore. in esso ho cercato di creare un soggetto neutro, ma lo puoi comprendere solo se non sai nulla di me. leggendo non si capisce se si tratta di un uomo o di una donna e ho scelto di agire così perché certe problematiche vanno ben oltre la divisione maschi femmine eccetera. è stata una sorpresa bella per me scoprire, qualche giorno fa, che Isherwood, ne "la violetta del Prater", per un piccolo ma intensissimo brano di quel testo, ha fatto la medesima scelta!. quindi ... meno si sa dell'autore e più corretta è, secondo me la lettura dell'opera!. ciao

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  8. hai ragione e capisco che l'argomento per te è molto serio,ci scherzo ma anche io ci soffro (maledette donne che alla fine per non subirle mi hanno voluto ridurre ad essere come loro . non sono nemmeno sicuro della mia omosessualità ma così sto meglio ... ci sei su facebook?

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  9. c'è il blog ma non io. nell'intestazione del blog c'è una mail. ora pubblico viagra. ciao

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  10. caro ho letto il post viagra spassosissimo e oggi nel saLONE CON TONY NON SI PARLAVA CHE DI TE. UN GENIO DELL'UMORISMO HAI FATTO RIDERE ANCHE QUELLE ACIDE ZITELLE CHE SI DEVONO COTONARE TRE PELI X IL SABATO... FINALMENTE QUALCUNO CHE AMA RIDERE CHE SA RIDERE DEI SUOI MACROSCOPICI DIFETTI ...CREDEVO FOSSIMO SOLO NOI GAY PRIMA DI CONOSCERTI (NON IN SENSO BIBLICO) PENSAVO CHE GLI ETERO FOSSERO TRISTI MA TU SEI DIVERSO HAI UN BUON CARISMA'''GRAZIE DELLE RISATE

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