Penso sia la prima volta che mi
avventuro a descrivere i contenuti di un'opera di Simenon che non sia
della serie del commissario Maigret. Come ho già spiegato in altri
post, Migret era scritto con la macchina per scrivere. Serviva per
far quadrare il bilancio famigliare. Le altre opere, quelle scritte a
mano, avevano, nelle intenzioni dell'autore, ambizioni più elevate,
più profonde. Si trattava quindi di ciò che gli era più caro.
L'opera che mi accingo a meditare, fu terminata nel luglio del 1942,
e già questo particolare deve farci pensare perché della guerra non
troviamo il minimo accenno. Accade la medesima situazione in un
quadro di Balthus che, con l'aiuto della data di composizione, 1940, diviene
apparentemente enigmatico. Ecco l'opera:
una ragazza che raccoglie ciliegie in
un paesaggio naturale, bello. Ecco la soluzione; l'uomo può
distruggere ma le stagioni continueranno a tornare, ad esistere,
indifferenti all'uomo e alla sua follia.
Balthus aveva tentato di difendere in
divisa, il suo mondo, la sua Francia, la sua Parigi, ma tutto crollò
in un attimo e, ferito e rifugiato in Svizzera ci diede questa
lezione di umiltà.
Torniamo a Simenon. Fu accusato di
collaborazionismo per aver scritto e pubblicato romanzi in piena
invasione tedesca del suolo francese … ma se si leggono le opere di
quel periodo, si coglie che non gli interessava calarsi nella
descrizione della situazione contingente. Non era schierata la sua
opera, parlava d'altro e, a differenza del quadro di Balthus, parlava
d'altro anche se si va a scavare a fondo come per esempio mi accingo
a fare per quest'opera.
Devo prima fare una specie di
“riassunto delle puntate precedenti”. Il lettore
stakanovista-masochista se vuole, può reperire nel blog gli altri
scritti su simenon, oppure, e glielo consiglio, accontentarsi di
questa piccolo riassunto. Dalle opere del commissario Maigret, ho
dedotto che per Simenon il nucleo fondamentale è l'unione uomo donna
che produce la tenerezza. La famiglia è invece il gradino successivo
e lo scopriremo qui. L'umo e la donna, son di fatto una coppia che
cambierà valore e significato davanti al mondo e davanti a se
stessa, sia intesa come coppia che come due individui, solo davanti
al figlio.
Il singolo, la singola, sono
sacrificabili; la coppia ha valore per il suo essere in divenire, la
famiglia, entità che diviene tale solo con la presenza di almeno un
figlio, è il nucleo al quale tutto si scarifica. Essa deve poter
crescere, procedere. Essa diviene culla concentrata sulla crescita
della prole.
Maigret, questo alter ego semidivino di
Simenon, sembra semplicemente un commissario che agisce per tutelare
la legge scritta, ma di fatto cura la legge di natura. Non si deve
pensare che un suo libretto sia terminato con la “cattura” del
colpevole. Il suo compito è reintegrare secondo la legge di natura.
Ebbene … le opere scritte a penna, e “La finestra dei Rouet” ne
è uno degli esempi più totali, completi, le opere scritte a penna,
dicevo, si incaricano di descrivere la legge di natura. Capita che
qualche opera, ad esempio “Il piccolo libraio di Archangersk”,
sembri indipendente, ma di fatto agisce con una spinta prevalente su
uno solo dei tasselli del mosaico che compone la legge di natura
secondo Simenon. Ci tengo a dire che è soggettiva questa legge, è
la sua, poiché, per quanto io la condivida, ritengo che un tassello
manchi. Mi spiegherò più avanti. Ne “Il piccolo libraio di
Archangelsk” l'argomento è l'integrazione nella comunità. Lo
ritroviamo in fondo sempre nel modo di agire di Maigret, il quale di
fatto sempre, agisce calandosi nella comunità nella quale il crimine
è stato commesso. Diviene uno di loro, cerca di ragionare, come
loro. Dalla comprensione della comunità si ottiene il risultato
principale, ovvero la comprensione del perché di un atto. Di
conseguenza a questo agire, si ha la scoperta del colpevole che verrà
aiutato o consegnato a seconda che la colpa sia in relazione alla
legge di natura o a quella dei codici. Esemplare è in questo caso la
lettura de “Il porto delle nebbie”. Nel finale Maigret è
talmente integrato e accettato che gli dispiace venire via da
Ouistreham.
Qui si coglie un problema anzi, il
Problema con la P majuscola, della giurisprudenza umana. Essa non
tiene conto delle realtà, definiamole comunitarie, ma da essa solo,
parte. Ogni ambiente ha il suo galateo, la sua scala di valori. Ci
basti pensare che chi ha compiuto reati di natura sessuale contro i
bambini di solito in carcere viene ucciso … questo dimostra che
perfino quel luogo estremo ha le sue norme. Ebbene. La legge scritta
nei secoli dall'uomo, si è distanziata dalla natura e anche dalla
comunità. Ci basta leggere “Maigret e il barbone” per
comprendere e venire convinti dell'esistenza di questa problematica.
Anche “Il porto delle nebbie”
si può comprendere solo se si è
consapevoli di queste dolorose discrepanze. In questo libretto, tutto
accade per riunire non una famiglia legale, ma una famiglia naturale!
Legge, contro natura! E tutta la battaglia si giustifica e si fa
sensata e bella proprio perché è un'ottica condivisibile. Il
suicidio di colui che ha usato la legge per “fregare” la natura,
quasi ci fa piacere, lo sentiamo giusto. E questo accade perché ci
rendiamo conto che nulla può la legge contro la mostruosità che
quel suicida ha attuato. Il padre naturale ha le sue colpe, ma esse
non danneggiano la legge di natura. È in quest'ottica che si valuta
se un comportamento è più o meno grave, condannabile o perdonabile.
In più, sempre ne “Il porto delle nebbie”, Maigret, che è stato
legato come un salame e abbandonato su un pontile per tutta una notte
piovosa e fredda, reagisce con un certo cameratismo rendendo la
“bagnata” a chi lo ha bagnato, ovvero gettandolo nel canale.
Comportamento poco adatto per un commissario, non credete? ma
ammissibile da parte di due persone che sentono di fare parte della
medesima comunità.
Ne “Il ranch della giumenta perduta”,
la mania del gioco d'azzardo di uno dei protagonisti, diviene, la si
sente minima. Ha più il sapore della colpa l'averla taciuta e
nascosta all'amico fraterno a colui che è massima espressione del
vivere comunitario rasentando la simbiosi. Si è quel che si è e la
perfezione non esiste. Questo ci viene detto dall'esperienza e da
Simenon. La natura lo sa, e la legge scritta invece no, punisce nella
sua generalità e freddezza, chiunque non sia perfetto. E ditemi se
non è perfetto chi agisce in tutto per tutto secondo le leggi.
Perfetto in modo strano, irreale, e quindi malato. Ci basti pensare a
quando stati come Italia e Germania, spinti da grottesche dittature,
ordinarono il razzismo, lo resero legge, contro ebrei e minoranze.
L'uomo, che è ovviamente imperfetto, diviene quindi spesso non un
tutelato, ma una vittima di un sistema di legge che aderisce alla
logica, alle idee … ma la vita è concretezza, quotidianità...
Se pensiamo poi al rapporto della
morale con la legge scritta! La legge insegue la morale, ad essa
cerca di conformarsi, ma essendo la morale sempre in continuo
mutamento …. si hanno micro e macro tragedie. L'esempio più
ridicolo e invadente che la storia ricordi è secondo me l'invenzione
del purgatorio avvenuto a Parigi per merito del monaco Pietro il
mangiatore (di libri), per salvare dall'infermo i mercanti.
La morale che più ci interessa è
esattamente quella sessuale. Da essa dipende la coppia, in essa la
coppia si fa famiglia, e ne “La finestra dei Rouet” abbiamo
esempi dei danni che si possono creare se si ha pretesa di regolare
un qualcosa che in ognuno di noi è di fatto autoregolato, ovvero la
legge di natura, che nasce e diviene consapevole in ogni individuo
con lo sviluppo sessuale all'inizio dell'adolescenza. Prima predomina
l'egoismo che è uno strumento primordiale per la sopravvivenza
individuale. Veniamo a qualche brano tratto dal libro:
“... aveva ricominciato a sentirsi
viva: era avvolta da un'atmosfera di gioia amorosa...”
“Vive. Vivrà. Ha incominciato a
vivere. La sua anima e la sua carne sono appagate. Lo incontrerà,
rimarrà sola con lui. Vivrà l'unica vita che valga la pena di
essere vissuta.”
Per Simenon si vive quando si ama. Si
deve fare il possibile per amare, anche compiendo atti che la legge
umana non permette? si. La legge di natura, secondo Simenon, non ha
pietà. Essa non ha rispetto se non per se stessa. Premetto che su
questo punto non sono in accordo con Simenon e mi spiego. La
protagonista ha sposato il rampollo della ricca famiglia Rouet. Lui
si ammala. Ha attacchi quotidiani. Lei gli da le gocce … e poi un
giorno decide di non dargliele. È nella stanza di fianco. Lo sente
rantolare. Non entra e senza quelle gocce lui soffoca. Deduzione.
Secondo la legge di natura, lui che è tagliato fuori dall'erotismo,
dalla carnalità, può soccombere, anzi deve, poiché la sua
presenza, limita la vitalità di un altro. Per me è inaccettabile.
Ho un'altra idea dell'amore. Immaginiamo una coppia. Uno dei due si
ammala e non è più in grado di fare sesso... sarò un sognatore ma
per me, la storia potrebbe andare avanti, poiché l'amore non si basa
sulla sessualità. Sa trascenderla, andare oltre! Serve quasi sempre
per l'innesco, non per il proseguimento.
Nella seconda citazione leggiamo:
“...Vivrà l'unica vita che vale la pena di essere vissuta”...
non va, almeno per me personalmente. Posso comprendere che la
pulsione erotica sia potente, invadente oserei dire, ma essa è più
in basso della mia concezione dell'amore.
Faccio notare ora un altro aspetto che
mi distanzia da Simenon che comunque stimo e leggo con estremo
interesse, consapevole che mi insegna molto: in lui non esiste il
sacro. La vita è solo carnalità, è terribilmente, completamente e
secondo me assurdamente laica. In me esiste un'intuizione del sacro
che probabilmente per molti miei coetanei, sembrerà ridicola. Se
solo ciò che è dimostrabile è veritiero, hanno ragione, ma il
sacro non ha bisogno di avere a che fare con laboratori, teorie
scientifiche e simili. E non si tratta dell'accettazione delle norme,
in fondo sociali di un dio barbuto. Per spiegarlo uso la letteratura,
mi faccio artista, ma senza ambizione, con umiltà. Nel blog si può
assaggiare “Incubo bianco”. Penso che rimetterò anche in
circolazione il racconto “Viagra”, dopo un'ennesima limatura,
poiché in esso quell'intuizione, non so se ben resa, convive con la
più bassa carnalità, nel tentativo di far comprendere anche quel
che il linguaggio umano non è in grado di … spiegare. Forse anche
“Ciliegi in fiore” rende l'idea del sacro, e senza miracoli gnomi
o fatine. Ci penserò ...Esso, il linguaggio appunto, è nato per la
vita, per la quotidianità, per risolvere problemi pratici che
richiedono l'intervento di un'altra persona. La celebre frase dei
Flinstones ne è un simpatico esempio: “Wilma dammi la clava!” ti
serve uno strumento e devi saper modulare un verso che renda
possibile il passaggio della clava da parte di … Wilma, ovvero di
una comunità. Nel dialogo con se stessi, dobbiamo invece imparare a
tenere staccati i pensieri dal linguaggio, così, senza i suoi
limiti, vanno molto più nel profondo... Ora la lingua si è
raffinata. Esistono bei paroloni come metafisico, ontologico (che
giustamente somiglia molto a oncologico), ma a me sembrano più una
malattia del linguaggio, una cancrena causata da una ristretta
cerchia che cerca appunto di descrivere l'indescrivibile, il non
razionale che è ben diverso dall'irrazionale oppure cose fini con un
linguaggio nato per farsi passare la ...clava. Si tratta ovviamente
dei filosofi... io son laureato anche in filosofia, ma mi ha fatto
ribrezzo questo “gioco” del linguaggio. Spesso si ha una
costruzione immensa di migliaia di parole e paroloni per approdare ad
un significato piccolo piccolo. Non va, non mi piace. Non so se in
futuro il linguaggio riuscirà a risolvere questo suo limite. Per ora
accade che l'intuizione del sacro possa trovare casa solo nell'arte,
nella letteratura, spesso nella forma a parabola che Kafka utilizzò
… divinamente.
Penso a Hemingway, esattamente a “Per
chi suona la campana”. Un capolavoro. L'intuizione di un destino da
parte di una donna anziana è la chiave di tutto. La sua scelta di
lasciare che la ragazza che protegge “vada” col protagonista e
faccia esperienza della vita, avviene perché ha compreso che lui
morirà. Una scintilla di divino. Diversamente non si spiega quella
certezza. Poi l'amato Fitzgerald che visse un'epoca, gli anni venti
del novecento, ne descrisse la malattia, ne intuì il crollo e crollò
con essa …. un mondo senza sacro. Insisto su un aspetto. Il sacro
non è una religione. Il novecento poi si ubriacò di religioni
laiche come il comunismo, i fascismi, il nazismo che si differenzia
dagli altri fascismi per il fatto che il culto del capo stava per
diventare religione …
Il sacro è l'intuizione che esiste
un'armonia fra noi e il tutto. Ci sono momenti nei quali ne sono
pervaso e non è certo l'amore, nel mio caso per una donna, essendo
io eterosessuale, a portarmi a questo. L'idea dantesca e della sua
epoca, che una Beatrice, (per altri una Laura, secoli prima una
Cinzia), possa portarmi a dio, simbolo del sacro, non mi sfiora, e il
risultato è dato dall'esperienza che ho fatto nella mia breve e
scalcagnata esistenza. Ho addirittura la sensazione che l'amore sia
la distrazione che la carne ottiene per non pensare ad altro. La
comunità, calarsi in essa, l'amore come massimo contatto con un
altro essere. Ma si nasce da soli, e il primo atto è un pianto. Si
muore soli, oggi più che mai. Si è soli davanti alla luce della
vita. Ci si immerge nella comunità e nel sentimento di origine
carnale, e non si pensa. Anche mangiare è una deviazione dal
pensiero quando si allontana troppo dalla sua funzione base che è
nutrirsi. A me non interessa che si pensi alla morte. Mi interessa il
contrario. Pensare alla vita. Ci sfugge il sacro perché viviamo
troppo la carne. Essa deve essere assecondata e compresa, ma la sua
ebbrezza non deve diventare una ubriacatura perenne. Quando si scopre
che ogni fame del corpo, sessuale o di cibo è uguale, non è mai
sazia, questo circolo vizioso dovrebbe secondo me insegnarci che ci
siamo impantanati, che giriamo intorno, a vuoto. E si rischia di
arrivare avanti negli anni senza aver pensato. I sensi e le loro
esperienze sono la base dalla quale prendere il volo. Se non accade
così, se non si tratta di un trampolino di lancio ma di un vizio
ripetitivo, allora, quando la morte giunge, si muore davvero,
totalmente, irrimediabilmente.
Torniamo a Simenon e alla “Finestra
dei Rouet”. Abbiamo una donna sui quarant'anni, Dominique, che
abita in un appartamento che dà sulle finestre di casa Rouet. Lei
vede la vitalità di questa moglie che uccide il marito (oppure come
precisa il testo, non dandogli le gocce lo lascia morire). Lei vede
la sua sensualità e la misura con la sua esistenza men che vuota.
Figlia di un generale burbero che mai fece il padre. Membro di un
clan famigliare estremamente selettivo ed esclusivista e di una madre
arrendevole e senza carattere, si è ritrovata adulta senza sapere
come si vive e senza soldi. È rimasta sola con un appartamento in
usofrutto, ma non lavora e non ha rendite. Vive al minimo anche
economicamente. Si vede costretta a “prendere” un inquilino e
questi, nel giro di poco si porta la fidanzata che poi diventa
moglie. Ha quindi espressioni di vitalità in casa e dalle finestre
di fronte. Impara così, la vita. Guarda dalla serratura e vede
tutto. L'amplesso, il membro eccitato del maschio, e ne è attratta e
schifata. Quella è la vita, ma non sa come fare per farne parte. La
sua comunità, l'unica nella quale aveva un ruolo, era il clan
famigliare coi parenti, ma vivevano in varie città. Erano presenze
non costanti e troppo regolate. Senza una comunità nella quale
essere integrati, senza nemmeno l'intuizione della vita carnale …
si soccombe. Bellissima è la descrizione del suo orgasmo in treno.
Inizia, per l'edizione italiana, a pagina 134, (dal punto che inizia
con: dovevano essere ormai lontani, oltre Digione...). Il tutto
accade in una situazione di dormiveglia ed è innescato dal contatto
fisico con un giovane militare che è seduto al suo fianco e si è
addormentato. Spesso la sua testa “cade” sulla spalla di lei che
si assopisce, ha uno strano sogno e … appunto un orgasmo che si
attua in lei come una sensazione notevole ma incomprensibile.
Ricorderà che le accadde solo un'altra volta, a sedici anni. In quel
dormiveglia lei fa un sogno. Appare una vicina che abita in alto nel
palazzo di fronte. È appena morta e per prima cosa vuole vedere lei,
parlarle, dirle che ora che si è liberata del corpo sta bene,
finalmente bene. Da qui si intuisce che la nostra quarantenne senza
vita approderà al suicidio. Il corpo la tortura, il corpo che manda
segnali che la spaventa, che non comprende, quindi del corpo si
libererà.
Si tenga conto che l'intuizione della
morte della vicina anziana della quale non ha certezza se non dopo il
dormiveglia, non ha nulla della fattucchiera o del misterioso. Si
tratta di un dato razionale che viene elaborato in modo non
consapevole. Lei ha notato che da giorni la finestra di questa
anziana vicina è rimasta chiusa; ... lei che tutti i giorni, con la
pioggia, il sole o la neve, ci si metteva davanti per osservare la
vita degli altri... come lei. Due escluse che vivevano … di altri.
Si ricordi, e questa è una delle tante conferme, che in Simenon il
sacro non esiste! C'è una terza persona che vive alla finestra. È
la signora Rouet, la suocera. Non cammina quasi più e la sua
esistenza consiste nel controllare la nuora, ora vedova, come prima
controllava in tutto e per tutto la vita del figlio e poi degli sposi
che vivevano nell'appartamento sotto al suo. Il suo significato nella
trama è assai presente in Simenon. Si tratta di colei o colui che,
col suo agire, limita la vitalità di altri. Ne “Maigret e il
barbone” chi non permette alla coppia, e poi alla famiglia, di
formarsi, quindi frena la vitalità, viene ucciso per annegamento.
Questo libro, “La finestra dei
Rouet”, ci mostra anche i gradi di evoluzione di un rapporto di
coppia normale. Mi riferisco agli inquilini della protagonista. Si
conoscono e scatta l'intesa erotica, intensa e gioiosa. Essa, in casi
normali dovrebbe evolvere nella nascita di almeno un figlio,
situazione che dovrebbe, secondo Simenon, cambiare profondamente la
natura degli amanti una volta fattisi genitori. La situazione normale
la possiamo “vedere” in Maigret e il corpo senza testa”. Nelle
prime pagine, abbiamo a che fare con due fratelli che vivono e
lavorano su un barcone. Hanno vari figli. Sto procedendo a memoria.
Mi sembra siano cinque, di cui uno appena nato e una delle due mogli
è in dolce attesa. In Simenon il barcone è una dimensione
congeniale poiché fonde insieme l'ambiente di lavoro e quello della
famiglia. In quel contesto si intuisce che quelle due coppie son
passate dallo stadio di amanti a quello di genitori con una
continuità che oserei definire perfetta.
Nel caso de “La finestra dei Rouet”,
la condizione perfetta, ideale, del barcone (che Simenon non si
limitò a vedere, ma visse anche e quindi comprese dall'interno) non
è presente. Lui non ha un lavoro sicuro quindi non può garantire
alla coppia quella situazione che rende abbastanza naturale il
passaggio amanti-genitori. Ho detto abbastanza poiché appunto per
Simenon, il fatto di doversi assentare per tante ore per andare a
lavorare, fa male alla famiglia. (Ha ragione ma trovo che attualmente
sia un problema irrisolvibile). Cosa accade nel romanzo? Che la
sessualità di coppia, che non può trovare il suo sfogo naturale, si
trasforma in una di quelle situazioni che la morale definisce col
vocabolo dispregiativo … perversione. Un rapporto puramente
sessuale e consenziente di due donne con un uomo, per una notte. È
solo la notte, quindi solo sesso. Non c'entra la vita quotidiana che
rimane di coppia e tendente al suo naturale divenire, e infatti hanno
dato una scadenza e stanno per andare in un appartamento tutto loro
perché le condizioni di lavoro di lui son diventate più stabili.
Quando dico che Simenon, nonostante sia
assai distante da me per quel che riguarda il sacro, è una lezione
continua, non sto giocando con le parole. La sua spiegazione sul
perché accadono situazioni prettamente erotiche, sessuali, diciamo
non canoniche, è secondo me adattissima alla sua epoca e anche un
poco, ma solo un poco ormai, alla nostra. Se la vita erotica non
trova le condizioni ideali per evolversi naturalmente … crea degli
adattamenti.
Anche in questo caso Simenon parla per
esperienza e non per ipotesi o idee nutrite, ingrossate e farcite a
tavolino. Il suo inizio di carriera ebbe ritmi frenetici e molte
incertezze:
“ (A casa mia a Parigi) … Io sto
là, nella veste di barman, maglione bianco a collo alto, ad
agguantare una bottiglia dopo l'altra e mescolare i vari liquori. E
ci sono parecchi rappresentanti di Montparnasse, da Foujita a Vertès
e a … Ma a che scopo elencarli? Qualche volta c'è Josephine in
persona, con tutta la sua gloria, e poi ballerine russe, la figlia di
qualche ambasciatore orientale, e, alle tre del mattino, un certo
numero di corpi nudi e altri corpi allungati su cuscini di velluto
nero dove passeranno il resto della notte, mentre io, alle sei in
punto, mi metterò alla macchina per scrivere le regolamentari
ottanta pagine … (Memorie intime, pag 41)
(nota di colore … la Josephine
citata era la Baker e … sentite un po'!: “perché ero diventato
l'amico, come si diceva
appunto in quel romanzo, di Josephine Baker, che avrei sposato se non
mi fossi rifiutato, io che ero nessuno, di diventare il signor Baker.
E sono persino andato, con Tigy, a rifugiarmi nell'isola di Aix,
davanti alla Rochelle, per cercare di dimenticarla.”
Il
caos dell'esistenza che si ripercuote sull'erotismo in una vita che
ben poco ha di privato. Questo accadde nella vita di Simenon e
accade alla coppia affittuaria della nostra protagonista. Qui il caos
è compresso in pochi giorni, nel tempo della preparazione del nuovo
appartamento che è comunque vissuto nella cattività della stanza in
affitto.
Per
spiegare invece l'affinità fra le frasi precedenti citate, quelle
che riguardano la vita come vera solo quando si ama, ecco una
citazione, sempre da “Memorie intime” che dimostra quanto Simenon
fosse vero, e la sua invenzione letteraria prendesse sempre spunto
dal vissuto e mai si trattava di un gioco puramente intellettuale
preparato a tavolino: “Se a volte mi è capitato di inseguire
qualcuno dei miei simili, si è sempre trattato di donne, perché ero
continuamente a caccia di amore, di amore fisico e tenerezza. Ed è
la caccia più estenuante e più scoraggiante che ci sia, perché
nella società che ci siamo costruiti, o meglio che altri, più avidi
e maligni, hanno costruito per noi, sempre più coercitiva, l'amore e
la tenerezza sono più rari del diamante. Quella benedetta tenerezza,
specialmente, che tutti noi sogniamo e di cui abbiamo un bisogno
profondo, radicato nella carne, e che, non essendo quasi mai
raggiunta e goduta, crea tutto un universo di scontenti, di automi
infelici.” (pag 60 edizione italiana)
Questo
pensiero, scritto da un Simenon settantasettenne, uomo vissuto e
sconfitto minuziosamente, catastroficamente, questo pensiero dicevo,
ci serve per comprendere altre sfumature de “La finestra dei
Rouet”. La frenesia della vedova che nella carnalità cerca … la
mai raggiunta tenerezza. La scena chiave è quella di lei ubriaca col
mulatto, quando esce nel locale e vomita. Scena estrema
dell'angoscia, di una ricerca di affetto.
Sono
nel locale, la vedova trentenne e il suo nuovo amante mulatto. E'
ubriachissima.
“...
lei piangeva sulla sua spalla del mulatto, come una bambina, si
lamentava, commiserava lui e se stessa.
“capisci
almeno? … Dimmi che mi capisci … Ci siamo solo noi due adesso …
Non c'è nient'altro … dimmi che ci siamo solo noi due e baciami,
stringimi forte ...”
“Il
cameriere ci guarda”.
Lei
volle a tutti i costi bere un'altra bottiglia, che rovesciò; le
misero il visone sulle spalle; fuori inciampò sul bordo del
marciapiede, l'uomo la sostenne passandole un braccio intorno alla
vita, e a un tratto, vicino a un lampione a gas, Antoinette si chinò
in avanti e vomitò; dagli occhi le scorrevano lacrime che non erano
di pianto, cercava ancora di ridere e ripeteva:
“Non
è niente, dai … Non è niente ...”
Poi,
aggrappandosi all'amante, che si girava dall'altra parte:
“Mica
ti faccio schifo, di'? … Giurami che non ti faccio schifo, che non
ti farò mai schifo, perché ora sai …”
E
aggiungiamo noi al silenzio che segue, “perché ora sai, ci siamo
solo noi ...”
prima
di tutto complimenti a Federica di Lella e a Maria Laura Vanorio. La
traduzione è la loro e la trovo quasi perfetta. Dico quasi solo
perché ritengo che agli umani non sia concessa...
Notiamo
la scrittura. Termini quotidiani. Linguaggio necessario e
sufficiente. Non c'è tempo per colorare, per andare a cercare in un
cassetto della mente i pastelli-aggettivi. È diretto il rapporto fra
il pensato di Simenon, che è rivivere per trasformare in parole,
stati d'animo vissuti. Anche a lui, come a noi, è capitato di stare
male e di dire “perché sai, ci siamo solo noi ...”
scrittura
sincera e vera, quindi geniale. Come è geniale la semplificazione
della pennellata e della tavolozza nel Picasso del Periodo blu,
figlio di un grande e vero dolore e, per la stessa dinamica, la poesia di guerra di Ungaretti.
Della
citazione presa a pagina sessanta di “Memorie intime”, ci serve
anche il frammento che riguarda la coercizione della ricchezza. Esso
ci aiuta a comprendere la figura della signora Rouet, la suocera.
Coercizione esercitata sulla necessità fondamentale … la
tenerezza.
Veniamo
ora a quelle che un bachettone chiamerebbe deviazioni sessuali. E
osserviamo il nostro tempo. Immagino una lei che abita lontano per
lavoro e un lui che … altrettanto. Lavori ovviamente instabili,
come si dice attualmente, precari. Riuscite a vederla la distanza non
tanto dalla situazione ideale e perfetta del barcone-casa di “Maigret
e il corpo senza testa”, ma dalla classica coppia che va al lavoro
e che già scende, agendo così, a compromesso con la legge di
natura? Ma che in fondo, in confronto a due precari distanti è …
principesca?
Io si.
E tanto. Tante persone hanno pagato un prezzo altissimo per questo,
rimettendoci equilibrio, salute e spesso un rapporto. Nel vivere
insieme, la sessualità si stabilizza, nella distanza salta. In più
immaginiamo persone che abbiano un passato che non corrisponde, non
accade mai, alla perfezione evolutiva dell'esistenza. Ricordo una
ragazza che aveva l'ossessione della pulizia. Qualcosa di estremo.
Mai ha capito che era patologica, nemmeno contava dirglielo. Era la
sua normalità. Non era calata nel clan famigliare, ma distante, prima per studio e poi per lavoro. Se viaggiava e
doveva cambiarsi maglia, per esempio perché iniziava a far caldo, la
metteva dentro un sacchettino e poi nella tasca esterna del trolley.
Quando arrivava alla meta, causa quella maglietta, così diceva,
lavava tutto il contenuto della valigia... Dove abitava la chiamavano
“quella della lavatrice”, poiché era sempre in funzione e quando
andava la centrifuga … si sentiva bene per vari isolati. Veniamo a
un confronto con Dominique, la quarantenne troppo sola de “La
finestra dei Rouet”. Ovviamente è un'altra epoca, ma non “sentite”
una certa somiglianza con il suo (di Dominique) passeggiare,
consapevole di essere notata e derisa dalle operaie del cartonificio?
Il suo osservare la vedova Rouet ormai scopertamente senza riuscire a
controllarsi, a farlo con discrezione, sapendo che non è bello ...!
Quel trovare l'anomalia che si vive, così necessaria da non riuscire
più a rinunciarvi nemmeno se si è consapevoli che è stigmatizzata
e in sé esagerata… invece di comprendere che rappresenta la parte affiorante del
problema, una notte che gestisce la quotidianità come una febbre!
poiché è il sintomo di uno scombinamento generale. Sommate questo
esempio alla distanza sia da un eventuale partner e dalla comunità
originaria e avrete, per esempio una persona estremamente emotiva,
sempre al limite.
Ho
descritto una situazione che prende parzialmente dalla realtà, ma non ha a che
fare con una persona concreta in tutte le sue parti. abbiamo comunque così due realtà oggi per nulla estreme.
Una sul lavoro precario, una su un'instabilità interiore che si
manifesta in manie ossessive ed emotività a fior di nervi. Troppo
emotivi, per mancanza di tenerezza, dono questo che può prendere
forma solo partendo da certe basi che per essere elaborate e predisposte richedono consapevolezza, equilibrio e ... buona sorte.
Ecco
come vedo l'umanità odierna. Senza comunità. Vai dove ti porta il
lavoro, e sei forse inserito in apparenza, ma mai completamente.
Completamente, vuol dire esseri nati, aver condiviso la vita. Per
"sentire" la portata di questo valore, si legga “Il piccolo libraio di Archangelsk”. In più
sommo appunto uno sviluppo adolescenziale precario ora assai diffuso, e la difficoltà
di passare dalla situazione di amanti a quella più stabile di coppia
forse con prole... forse, perché attualmente fare un figlio … è un
atto di irresponsabilità verso il bilancio famigliare che conta più
del cuore e si rimanda giorno per giorno l'angoscia del bilancio risicato. Il non farlo è in fondo paura della vita? o a forza di rimandare la vita sfugge ed è finita, si è troppo vecchi per tutto, anche per se stessi...
Noticina
a piè di un ragionamento. Più che all'iperigienismo che in fondo è
abbastanza raro ed è solo un caso fra le miriadi di manie che
accumuliamo in quanto sradicati e con una sessualità sbalestrata, si pensi alla mania, che ormai è
considerata una normalità, di presentarsi agghindati perfettamente
ma, in effetti omologati. Perfezione esteriore che costa ore di
attenzione … su ben poco, poiché la profondità che dovrebbe
reggere quell'apparenza, o esserne in sintonia, rappresentarla,
richiede il lusso più grande, il tempo al quale, solo rinunciando
alla ricchezza, e al suo inseguimento o mantenimento, possiamo
accedere. Tempo, ricco lui veramente, di sensibilità … e anche di
tenerezza.
Ma
questo esempio costruito su tre variabili sempre presenti, rapporto
con la comunità, equilibrio interno e sessualità sofferta, possiamo
trovarla anche in una quotidianità più comune e riuscita. Si lavora
e si torna a casa con il pensiero del denaro, del bilancio, del
desiderio di oggetto che mai ci lascia in pace. Si cerca amore, la
coccola è diventata abitudine e il sesso, senza il suo contorno di
corteggiamento continuamente rinnovato approda quasi sempre
all'orgasmo, ma quasi mai alla tenerezza. È come per sentire le
mille sfumature della grande musica. Occorre silenzio e nella nostra
vita non esiste più. Puoi tacere, ma è il mondo intorno, come un
grande meccanismo a fare sempre … rumore.
Problema
tecnico de “La finestra dei Rouet”. È molto lento. La
descrizione delle situazioni è minuziosa … per un'epoca abituata a
libri pieni di trama, di un'azione che si ribalta e stupisce ad ogni
pagina, questo sembrerà una noja. …. E invece è oro, e merita non
solo di essere letto, ma riletto con umiltà, con calma, col tempo
che non avete ….
Simenon
è un mondo. Non condivido tutto ma mi aiuta a pensare, a crescere, a
capirmi, a capire il mio passato, certi miei comportamenti che mi
stupiscono ma hanno un senso spesso sorprendentemente coerente anche
se solo scavando un po', come quel quadro di Balthus del ciliegio...
Chiudo
con un brano da Memorie intime: pag 51
“
Sempre,
in tutta la mia vita, ho avuto grande curiosità per ogni cosa, non
solo per l'uomo, che ho guardato vivere ai quattro angoli della
terra, o per la donna che ho inseguito quasi dolorosamente, tanto era
forte e spesso lancinante, il bisogno di fondermi con lei; ero
curioso del mare e della terra, che rispetto come un credente
rispetta e venera il suo dio, curioso degli alberi, dei più
minuscoli insetti, della più piccola creatura vivente, ancora
informe, che si trova nell'aria o nell'acqua.”
E poi,
breve e stupendo …
“...
Quella grande culla vivente che è il mare ...”
ciao