domenica 11 settembre 2011

Salinger: "Il giovane Holden"




“Tra l'altro scoprirai di non essere il primo che il comportamento degli uomini abbia sconcertato, impaurito e perfino nauseato. Non sei affatto solo a questo traguardo e saperlo ti servirà d'incitamento e di stimolo. Molti, moltissimi uomini si sono sentiti moralmente e spiritualmente turbati come te adesso. Per fortuna, alcuni hanno messo nero su bianco quei loro turbamenti. Imparerai da loro....se vuoi”.

Siamo a pagina 220 de “Il giovane Holden”. Il libro finirà, nella mia edizione Einaudi tradotta bene da Adriana Motti, nel giro di 27 pagine.

Sembra facile consigliare la lettura di questo libro. Quest'anno Salinger, schivo come l'America non seppe tollerare, se n'è andato e come capita sempre quando qualche scrittore lascia il mondo, qualcuno pensa e qualcuno “ci prova” e gli editori, il mercato, spremono quel che possono da quel momento che dovrebbe essere di meditazione. E' un provarci volgare. E' troppo facile dirci che uno è bravo senza spiegare qualcosa sulla natura di questa bravura e poi sentirsi dire che ha venduto milioni di copie? Penso che ormai anche voi siate in grado di rimanere indifferenti davanti a questo dato che ha vari difetti: primo, in generale non è dimostrabile ed è un'esca perché il pollame, non gli esseri umani, se vengono a sapere che ha fatto milioni di copie, lo comperano e solo per citare un caso....anche Faletti ha stravenduto ma lo augurerei solo al mio nemico, se esistesse, per fargli perdere un po' di tempo. Secondo; si è capito che vende non chi vale ma chi ha saputo rendersi visibile. Vai in tivù? Vendi. Negli anni settanta e ottanta dovevi scandalizzare e la pornografia per esempio andava bene e poi si giocava a fare i redenti o i convinti e le autobiografie vendevano meravigliosamente. Tutta robetta così. Dimenticavo, oggi fare pornografia non rende noti, la fanno tutti ormai....

Vali? Semplicemente vali? Cosa che dovrebbe bastare? E allora non esisti. Esiste qualche altra possibilità se sei “lievemente” raccomandato. Diversamente, il silenzio. E in fondo, se si fosse saggi e veramente si volesse raggiungere un buon risultato con una qualsiasi espressione artistica, si dovrebbe amare questo silenzio, poiché solo in esso si sente quel che l'anima ha da dirci. Alcuni esempi grandiosi. Kafka si rifugiò in campagna dalla sorella Ottla, a Zurau. Era sufficientemente distante dagli amici per farli desistere. Poche visite quindi: pace, verde, pensiero.

E poi Marquez! Disse con la moglie: “cara mi tappo in casa finché non ho terminato questa idea”. Aveva già figli. Finirono i soldi. Lei si arrangiò e un giorno il marito uscì da quella camera dicendo “Fatto!”. Era “Cent'anni di solitudine”.

E la Torre di Muzot. Uno dei luoghi silenziosi di Rilke. Pensate, se ci andate ora non si vede più il suo panorama ma un supermarket kon parkeggen.....ke skifen,

Gli editori non si interessano quindi, al valore dell'opera. Non sono in grado strutturalmente di inoltrarsi in questa direzione. Loro sanno che questo libro ha venduto, ha fatto moda e quindi, poiché i mass media divulgheranno la notizia sulla sua fine, approfitteranno di questa pubblicità gratuita per spremere, spremere, spremere.....e noi tentiamo di capire, non loro. Questo libro di Holden merita, ma per essere apprezzato non basta che lo si legga! Va calato prima di tutto nel flusso storico. Nel presente anche, ma solo dopo averlo ben collocato nella sua epoca.

L'idea di questo romanzo era già contenuta in un racconto che avrebbe dovuto essere pubblicato sul “New Yorker”, ma c'era la seconda guerra mondiale. Non se ne fece niente.

È importante questo particolare. Il protagonista ha già nome e cognome come nell'opera di cui stiamo parlando e che fu data alle stampe nel '51.

Sappiamo poco anche dai libri di storia cosa accadeva negli USA in quel periodo. A livello sociale intendo. Si sa della grande crisi del ventinove, ma di tempo ne è passato. L'economia Americana sta benone, anzi, scoppia. Magazzini troppo pieni e con la guerra che sta divampando in Europa gli affari calano. La tanto amata e irrinunciabile “corsa” americana dovrebbe rallentare. E invece non rallenterà. Rifaranno il paesaggio di mezza Europa......con le bombe. Son finiti i tempi di Canaletto e dei fiamminghi. Per favore non si pensi alla morale e nemmeno che sono un cinico estremo. L'economia pensa ai bilanci e basta.

Quel che dobbiamo comprendere da queste informazioni ridotte all'osso per non essere pedanti, è che la crisi del personaggio di questo libro, un diciassettenne che per la terza o quarta volta si fa buttare fuori da un college (corrispondente alle nostre scuole superiori), non è datata al dopo guerra, ma prima. Quel benessere troppo fine a se stesso cos'ha creato? Lo trovate in quel libro. Quel che il protagonista vi mostra è u quadro impietoso di quegli anni. Mi vien da pensare che il dopoguerra abbia innescato un inasprimento di quei difetti che han portato al sessantotto......

Ho letto da qualche parte che si tratta di un romanzo di formazione. Balle!

La mania di far kategorie si inginokkia davanti ai suoi limiti. Eventualmente se proprio dobbiamo, possiamo pensare a un romanzo di “sformazione”, nel senso di primo testo nel quale il personaggio non si prepara alla vita ma alla sconfitta. Il primo di un'epoca che ha portato, con il regista Kazan e il suo eccellente James Dean, la mitica figura della “gioventù bruciata” e che culmina, se parliamo di letteratura e non di robetta, con “On the road” di Kerouac.

Una volta che avrete letto questo libro, se poi passerete immediatamente a “Sulla strada”, noterete una cosuccia interessantissima. Il protagonista di Salinger è pronto per fuggire, per lasciare tutto. Sta scoppiando, ma accade una scena simpaticissima. Vuole salutare almeno la sorellina che è a scuola. Ha una decina d'anni e si presenta con la valigia piena di vestiti, vuole andare via con lui. E lui, per la sorellina, rinuncia e non se ne andrà. L'esplosione, quella che deflagra con tutta la potenza possibile, avverrà qualche anno dopo, con Kerouac. Del suo personaggio mi sento di dire che nonostante tocchi le più svariate forme di abiezione, quasi il nulla in un continuo lasciarsi andare, alla fin fine è l'unico che cresce e rimane puro, coerente con se stesso mentre gli altri si trasformano in coloro che criticavano e criticheranno questo ex amico che non si arrende.

E l'America non si arrende. Se non vuoi stare al passo secondo la loro univoca e indiscutibile visione della società, puoi rimanere, ma nel ruolo di reietto oppure andartene, non mancherai a nessuno. Lì sei un fallito se non arricchisci. Pensare, “sentire”, non va di moda. Ricordo che quando Gibran pubblicò “Il profeta”, nel 1923, dovette rimediare con “Sand and foam” tre anni dopo. Ben tre anni! E ormai se lo stavano dimenticando perché là, già nel '23, tutto correva talmente veloce che se volevi mantenerti visibile al pubblico, al mercato, dovevi pubblicare qualcosa al massimo ogni due anni!

Vi racconto qualcosina degli USA. Ero con amici a Minneapolis. Erano nati e vissuti sempre lì. Uno si chiamava Vanelli di cognome e non sapeva nemmeno di essere di origine italiana! Lo imparò da me. Era originario della Toscana e decise che ci sarebbe andato in viaggio di nozze. Comunque veniamo al fatterello. Siamo in un bar che ha una grande vetrata che dà su un parcheggio. Ci sediamo. Si chiacchiera e proprio di fronte a noi parcheggia un'auto un po' navigata. La parte bassa della targa ha una scritta. Reduce del Vietnam. Dico: “Bene! Finalmente ne vedo uno!” Scende un omone degno di far parte di un film. Enorme, tutto muscoli un po' vissuti per età, tatuaggi e cicatrici. Non ci credevo quando Dan, l'amico che non sapeva di essere di origini italiane, mi chiese cos'era. Vi rendete conto? Non sapeva chi o cos'era un reduce del Vietnam e io, un europeo, gliel'ho dovuto spiegare!

Questo può bastare a dimostrare quanto non conosciamo gli USA ed andarci come turisti non basta per capire la loro tragedia, una tragedia, si badi bene, della quale non sono consapevoli. E non è solo un fatto di cultura che mi si potrebbe obbiettare che vive benissimo anche chi non sa cos'è la guerra del vietnam. Non sono completamente d'accordo ma provo ad accettare l'obiezione ricordando quella volta che un signore, pure laureato, mi chiese, dopo avermi ascoltato con interesse: “Lei ha parlato di seconda guerra mondiale....ce n'è stata quindi anche una prima?”

Voi cercatelo in Europa un umano che non sappia nemmeno questo! Io non ci sono ancora riuscito.

Quindi del disfacimento di quel mondo interiore che fa l'uomo con la u maiuscola, gli USA del '42, già lo avevano in atto. Consumatori. Fretta di fare, di vivere, ma quel fare e quel vivere non andavano oltre la superficie delle reazioni sensoriali, come il ragazzo che oggi va in un parco giochi tipo Mirabilandia....scuote i sensi. Nient'altro, esce contento della “shakerata” che si è preso e va pure bene, ma, se in nessun'altra tappa della vita il condimento migliora, quel che alla fin fine si costruisce non è più l'essere umano.

E come mai Salinger coglie tutto questo disagio con così tanto anticipo?

Ho una mia risposta: perché era ebreo.

Ricordo al museo di scienze naturali di New York, la domenica mattina, padri ebrei ortodossi vestiti nel loro modo inconfondibile basato su camicie bianche, il resto nero, barba e cernecchi. C'erano solo loro e ….io che mi incantavo di quel museo fantastico e di quei padri che davano ai figli quella marcia in più che gli americani e anche gli ebrei occidentalizzati quasi sempre, hanno ormai perso. New York la domenica mattina era deserta. In quel museo ci andavano le scolaresche, lo sapevo, ma vuoi mettere il vedere con calma con papà che ti spiega? Che sa essere serio e giocoso nel contempo?

Salinger non era certo ortodosso, ma di padre ebreo e madre convertita. Esiste una comunità, un pensiero, una tradizione. La tradizione negli USA si fa pagliacciata, quasi sempre. Non dimenticate mai, quando vedete Babbo Natale vestito di bianco e rosso che si tratta di un dipendente della Coca Cola trasformato, in un compromesso banale, in Santa Klaus..... e la Coca Cola è di capitale ebraico. Quella immagine quasi blasfema per un cristiano, non sfiora la loro interiorità. Essere ebrei, quasi sempre, equivale a saper pensare, avere dei riferimenti. Gli americani medi hanno come riferimento solo la televisione.....

Ecco che Salinger, prima tappa di un malessere americano che ho cercato di definire, si ricongiunge con il recente personaggio del film “Into the wild”. Vi consiglio di ascoltare bene anche le canzoni della colonna sonora. Sono di Eddie Wedder. La mente dei Pearl Jam che in questo caso agisce come solista. Concentratevi sulla canzone “Society” e traducetela. Troverete che potrebbe cantarla benissimo anche il protagonista di Salinger.

Anzi, faccio di meglio. Eccovi il testo:



SOCIETY

E' un mistero per me

abbiamo un'avidità

con cui ci siamo accordati

e tu pensi che devi volere più di quanto hai bisogno

e fino a quando non avrai tutto

non sarai libero.



(ritornello)

Società

sei una folle genia

spero tu non ti senta sola senza di me



Quando vuoi più di quanto hai,

pensi di averne bisogno

e pensi più di quanto vuoi

i tuoi pensieri cominciano a morire dissanguati



penso di aver bisogno di trovare uno spazio più grande

perchè quando hai più di quanto pensi

hai bisogno di più spazio.



(ritornello)

Società

folle veramente

spero tu non ti senta sola

senza di me



eccetera......



e il ritornello finale, modificato....



Società

abbi pietà di me

spero che tu non sia arrabbiata

se non condivido



e in inglese queste parole suonano bellissime. Qualche esempio:

“society

you're a crazy breed

hope you're not lonely

without me”



“Society

have mercy on me

hope you're not angry

if i disagree”

Society. Parole di Jerry Hannan, musica e voce di Eddie Wedder.

Il film è recente.



Tocca il cuore. È l'America di oggi. Può sembrare una faccenda diversa perchè il personaggio principale alla fine muore, ma è una fatalità. Come in Salinger il diciassettenne è “salvato” dall'idea del viaggio -fuga dalla sorella-bambina, così in “Into the wild” anche questo adolescente giustamente inquieto, è salvato, dall'amore. È la fatalità che fa ingrossare un torrente nell'Alaska imprevedibile. È per questo che finisce male, ma finisce così quando ha capito a cosa può attaccarsi per dare un senso la vita.



E guardate l'America, esattamente gli USA che il film vi mostra. Io l'ho vista. È così....

Veniamo ora al linguaggio utilizzato da Salinger.

Il linguaggio è quello quotidiano. Si potrebbe quasi dire che non c'è traccia di tecnica letteraria?

Sta scrivendo esattamente come parla.... penso che si possa dire e fregatevene di critici e professoroni. È spontaneo, diretto, non costruito. Una bomba per l'epoca. E poi forse per la prima volta appaiono un uomo che si veste da donna e i gay. Immagino le boccucce atteggiate alla ooooooh dello scandalo! In una scena importante, sempre verso il finale, il ragazzo si confida con un prof che stima e che vive con una donna molto più vecchia di lui e ricchissima. Dialogano e la frase che apre questo scritto è detta da questo prof che ha sempre il bicchiere in mano. Parla bene e poi gli prepara il letto perché crolla dal sonno. Il ragazzo si addormenta subito perché è stanchissimo ma si sveglierà di soprassalto perché una mano lo accarezza nel buio. Il ragazzo si veste e letteralmente scappa. Pensa che il prof sia gay. Ha qualche dubbio. È disorientato. Ecco l'esito più “alto” di quella società... l'ambiguità che nasconde una realtà che si stenta a comprendere e quindi non si sa che fare, non si sa se fidarsi....o fuggire. Erano carezze e basta, per tenerezza? O era gay? Noi lettori del duemila, più abituati a tutto di un diciassettenne del '42 non esitiamo ad avere un chiaro quadro della situazione: ha sposato una donna anziana e ricca, sta al gioco e nasconde chi realmente è. Se poi rileggete il brano che apre questo scritto, troverete quella frase finale: “imparerai da loro....se vuoi”. Lo vedete dove va a parare? No? Ebbene ve lo dico. Rimbaud. Questo Rimbaud che negli USA appare nelle forme più inaspettate. Vi basta prendere Rambo e spostare l'accento sulla o finale....... quindi quell'ultima frase che il diciassettenne non poteva comprendere, era un invito. Ti guido io......

E ora torniamo al linguaggio. Non si pensi per favore che basti scrivere come si parla, per “fare un libro” e nemmeno cercare le “cose” che oggi fanno mettere la boccuccia a sedere di gallina per la meraviglia. Ho già parlato di “Lolita” di Nabokov. Dietro allo scandalo per menti povere, si cela un capolavoro che spesso, se si perdono energie nel bacchettonismo e nel desiderio di stupirci, ci sfugge.

Molta gente ha provato a scrivere come parla, come ha fatto Salinger. Sembra facile. Ma Salinger ha vestito così delle idee! Son quelle che rendono “forte”, “robusto” il suo libro.

Prima le idee e, se possibile, che non siano razionali. Lasciarsi andare.



Vi ricorderete sicuramente di Superman....



a un ragazzo ebreo, negli USA, uccisero il padre mentre era dietro al banco nel suo negozio. Il ragazzo ebbe, com'è ovvio, un periodo orribile. Sognava un personaggio negativo, con ossessione, che uccideva tutti. Con calma, distillando il dolore, è nato Superman, che eternamente, nel sogno salverà suo padre.



Grande. Non trovate?



E le sofferenze famigliari di Walt Disney? Arrivò a concepire, per avere un'isola di pace almeno dentro di sé, un mondo senza genitori. Ci piace ancora. Ci piacerà ancora per anni....



Prima le idee. E lasciatele crescere senza addomesticarle. Quando usciranno da voi e si faranno, parole, immagine, perderanno un quaranta per cento di purezza. Nulla avrà mai lo splendore di un'idea prima che si materializzi. Ma quel che rimane brilla e sconfigge il tempo, lo annulla.



Il corpo di Salinger è morto a Gennaio di quest'anno. Solo il corpo.

Il suo pensiero sensibile vive ancora. Non sono chiacchiere. È vivo tutto quel che può aiutarci a crescere e un libro è spesso più vivo di molti esseri vivi solo col corpo.....








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