sabato 3 settembre 2011

l'eternità e l'attimo


Quando la misurai, dalla punta del naso alla codina mozza, era settantasei centimetri. La codina era così non per mia scelta. Muoveva comunque quel mozzicone con la medesima eloquenza di un cane che l'avesse avuta lunghissima. Tutto in lei era pacato, fatto di bisogno di presenza, di affetto, e la mia vita, che per svariate peripezie mi rendeva presente con continuità, particolarmente negli ultimi nove mesi, era per lei perfetta. Non gliela avevo certo fatta tagliare io. A qualcuno che aveva agito così dissi che per equità avrebbe dovuto farsi tagliare la sua. È ridicolo un mondo nel quale l'aspetto estetico viene prima di tutto. Va bene per “una botta e via”, ma per viverci, per starci, con qualcuno, che sia cane, gatto, cavallo o donna nel caso mio, è necessario dell'altro, dell'altro che forse saprei spiegare, ormai, ma non mi ci metto perché l'argomento di queste righe è un altro. Mi piacciono i cani di razza. Spesso sono stupendi. L'idea di cane allo stato puro, ma personalmente non li cerco. Amo salvare e non ci trovo niente di ridicolo. Se il mondo è pieno di canili che attendono un gesto, non vedo perché andare in giro con un cane firmato pagandolo pure caro. Il cane mi dà giocosità, affetto. Io vivo da solo, ma immaginatevi una famigliola classica con moglie e figli. Siete sicuri, rientrando dopo una giornata che difficilmente sarà stata eccezionale, di trovare tutti sorrisi? Se volete garantirvene almeno uno: prendete un cane. Quando non ci siete ci sta male. Ci fa un po' l'abitudine alla fine, ma vive nell'attesa del suo branco unito ed elegge uno dei suoi membri come sua anima gemella. Ebbene, io mi son garantito in questi ultimi anni, quindici per l'esattezza, sorrisi di natura canina, docce di guaiti festosi e gioia di essere tornato nella “tana”. Sophie è venuta spesso da me perché una delle sue padroncine si è ritrovata il corpo che ha fatto cilecca non una ma varie volte. Me la davano e lei alla fine ha deciso che stava meglio da me, con me. Non c'era cattiveria nella sua scelta. Aveva bisogno di mischiare la sua anima a qualcuno. E io c'ero, perchè per realizzare questa alchimia serve prima di tutto l'essere presenti.



Ricordo un caso simile accaduto a Lump, un bassottino nero focato. La sua storia ve la racconto perché aiuta a comprendere la troppo mitizzata fedeltà dei cani. Essa non è come si pensa.... e quel pensare è tutt'uno con quanto si desidererebbe, dalla propria donna, dai figli, dagli amici. La fedeltà dei cani non è cieca. Se lo fosse sarebbe stupida. È profonda, questo sì, un abisso che si può scoprire solo se si affronta il rapporto cane-umano senza preconcetti perché altrimenti accade che si pretendono dalla realtà cose che essa non si è mai sognata di contenere e si fraintendono comportamenti che invece sono sensatissimi e se fraintesi creano dolore o rimandano la serenità forse a mai più.



Ebbene, veniamo alla storia di Lump. Viaggiava con un fotografo famoso. Quel su e giù dagli aerei, le camere d'albergo che cambiavano spesso, i party pomeridiani e serali, erano la sua esistenza, e la amava, perché non ne conosceva altre, e il suo umano era il migliore perché, anche se ubriaco o brillo, o sedotto da un mammifero della sua razza, mai si dimenticava di lui e insieme alle valigie partiva tranquillo. Un giorno atterrarono a Nizza, si recarono ad Antibes ed entrarono in una casa grande, con la porta spalancata. Dopo aver percorso un po' di giardino che odorava di mare, vide al piano superiore, immerso nella vasca da bagno, un corpo d'uomo un po' sfiorito, col volto nascosto dietro ad una maschera esotica che faceva dei gesti strani. Sul primo momento Lump si preoccupò, ma quando vide che il suo umano chiacchierava in modo buffo con la maschera che si dimenava nella vasca, comprese che stavano giocando e la paura volò via. Mentre loro due discutevano, decise di aggirarsi per la casa. Nel frattempo la maschera si tolse l'uomo di torno, andò a riposare le sue fatiche al chiodo di un muro bianco e i due umani si avviarono in giardino per il pranzo. L'uomo smascherato era vestito ora. Non ci guadagnava molto perché aveva una canottiera che non ne poteva più di esistere e dei pantaloncini color sabbia macchiati da tutti i colori.

Finita l'ispezione alle stanze, Lump si ritrovò sollevato in aria dalla mani del padrone di casa che se lo tenne in grembo per tutto il desinare e gli lasciò allungare il musetto a punta nel piatto e nei dintorni. Quando decise di scendere da quelle gambe non ce la fece, vinse il sonno e si svegliò che era ancora lì e quel signore parlava, parlava ancora e sempre in modo strano, e Lump aveva capito che si mascherava anche senza maschera, che nascondeva qualcosa agli altri umani, a tutti, ma si rese anche conto che con lui era se stesso.

Quando il fotografo decise di partire chiamò il suo quadrupede che nel frattempo, ben nascosto chissà dove, col pallottoliere canino aveva fatto due conti. Questo signore, che aveva capito chiamarsi Pablo, viveva in quella casa con le porte aperte e con l'odore di mare. E poi c'era il giardino e la pappa che era superlativa, ma a questo diede valore minimo. Diciamo una pallina nera, e la spostò col musetto. Pensò poi al suo sguardo, che era fragile sì, ma aperto totalmente, senza riserve, nella sue direzione, e risentì le sue mani calde, con un odore strano che sembrava vernice e spostò tutta una fila di pallini rossi con una scossa al cuore. Confrontò il pallottoliere di Pablo con quello del fotografo e si rese conto che l'amore andava ben oltre a quelle briciole che aveva comunque vissuto pienamente con l'ormai bocciato ex convivente.



Decise quindi di trattenere il respiro. Promise a se stesso di non scattare dalla gioia quando avesse sentito la voce di Pablo e di tenersi la codina ben stretta fra i denti perché quella andava sempre per conto suo quando si emozionava e avrebbe sbattuto come un tamburello contro il legno dell'armadio.



Pablo, dopo un po' di ricerche, disse all'amico “salterà fuori, vedrai, e la prossima volta che vieni te lo prendi!” Il fotografo aveva ovviamente fretta perché lo aspettava un aereo e partì.



Lump si mosse dal suo nascondiglio solo quando fu veramente certo che il suo ormai ex umano se ne era andato. Il suo timore pretese anche che il suo odore si fosse diluito nell'aria salmastra al punto da non sembrare più nemmeno un ricordo e poi saltò fuori, fece finta di niente (era ora di cena) e saltò sulle gambe di Pablo. Tutt'e due si comportarono come se quel mangiare insieme e il successivo condividere il letto fosse un'abitudine vecchia di anni. Quando verso mezzanotte il cameriere disse “Maestro, ecco la contessa”, questi trasformò il volto in una maschera. Ormai Lump aveva capito e sentiva che quell'uomo, ormai anima sua, non vedeva l'ora che quella donna profumatissima e luccicante se ne andasse.



Accadde a Picasso, ed è accaduto a me con Sophie, una cockerina gentilissima che non chiedeva di meglio che diluire il bianco dell'anima con quella di un altro essere. Non viveva certo male, ma spesso stava chiusa in un garage per delle ore e in quei momenti pensava con nostalgia all'immenso giardino che le avevano momentaneamente precluso perché si dovevano tenere aperti certi cancelli per far passare i trattori e i lavoranti delle vigne e dei peschi o perché uscivano da quella grande villa e per paura che la rubassero.....la chiudevano in quella stanza. C'era acqua e c'era la branda. C'era il calduccio e.... e l'attesa, amando teneramente quel che aveva, ma l'attesa, si sa è insopportabile in egual misura per i giovani e per i vecchi, per i ricchi e i poveretti e, ricordatelo, anche per i cani, che amano amare e farlo quando il branco è presente ha senso, farlo sull'attesa è buttare via la vita.



E venne da me perché qualcuno di quella casa immensa dovette fare i conti con dei chirurghi e gli tolsero un pezzo di qua, e uno di là e per rattoppare bene tutto e far sì che stesse insieme senza perdere brandelli per strada, furono necessari mesi e mesi di pazienza.



E Sophie entrò così nel mio tram tram quotidiano fatto di presenza continua, letture, pensieri, passeggiate, lavori con stilografiche che amava mordicchiare e computer. Odore di mare e odor di tigli. Odor di pini e giochi con la palla. Un cane grande e grosso che si chiamava Mafalda e due gatti, Cagliostro e Paracelso, che quando avevano freddo, di ritorno dalle loro scorribande invernali, sprimacciavano Mafalda come un cuscino e si infilavano fra le zampe e sotto la pancia e poi dormivano beati. Notti d'inverno in cui si stava tutti nella tana-casa che non subiva i lampeggiamenti sonori e luminosi, sommamente sgradevoli per cani e umani, della televisione e si saliva tutti quatti quatti nel lettone di quell'umano che a mattina si ritrovava sepolto in una coperta vivente di cani e gatti: era bello, troppo bello per tutti.



E arrivò pure Tata, un'altra cockerina che si scoprì essere sorella di Sophie, proprio della medesima cucciolata. Era stata sballottata da due umani che avevano intenzione di divorziare e che alla fine avevano deciso, per farsi reciproco dispetto, di portarla canile. Quell'umano, io, lo venne a sapere ed ecco che si vide arrivare in quella casa, una cagnetta stressatissima, con lo sguardo appannato e poca voglia di credere in qualcosa. Nel giro di tre giorni Tata capì come funzionava in quel branco e si diede alla pazza gioia. Divenne la più allegra, la più scatenata nei giochi e la sua fame di coccole richiese mesi per poter essere riequilibrata. Le voleva da tutti, dai gatti, dalla sorella , da Mafalda e da me che sotto questo aspetto ero il più disponibile.



E poi uno alla volta, prima i due gattini, poi la Tatina e Mafalda nove mesi fa, son “partiti”, tutti. Mi han lasciato un indirizzo ma per raggiungerli non basta volerlo. È più complesso. Se gli altri si son limitati a quel passaggio che l'umana paura chiama morte, per quanto accompagnata regolarmente con eventi che la scienza non accetta, Sophie ha deciso di andarsene nel modo più particolare.



Quando la misurai era, come ho scritto all'inizio, settantasei centimetri. Un brutto male non le faceva più toccare cibo ed ero tristemente rassegnato a vederla scheletrirsi e poi.....



e invece mi ero accorto che qualcosa di particolare stava accadendo. La sua poltroncina l'avevo posizionata di fianco al letto e il suo musetto andava a finire sul materasso per circa quattro dita. Io leggevo e la accarezzavo continuamente e poi è giunto il momento e mi son reso conto che con il corpo messo come al solito per tutta la lunghezza della seduta della poltrona anche il muso ci stava dentro..... E poi, accarezzando la cassa toracica avevo constatato che, nonostante quattro giorni di digiuno totale durante i quali beveva solo e passeggiava in giardino con passo da stordita che dovevo guidare perché era cieca ormai da un anno, accarezzando la cassa toracica dicevo, mi ero reso conto che non era per niente dimagrita.



Allora ho iniziato a misurarla un giorno sì e uno no e ho dovuto prendere atto che si stava rimpicciolendo. Quando ho accennato la situazione al veterinario, ho capito che l'ha presa per una battuta. Ho deciso quindi di tenere la faccenda per me e ho sospeso le sei punture giornaliere alle quali era sottoposta in fondo solo per allungarle una vita che vita non era più.



Si rimpiccioliva e non mangiava ormai da non so quanti giorni.



Sono arrivato al punto che dormiva perfettamente accomodata sul palmo della mano e ho iniziato a preoccuparmi quando è diventata così piccina che mi ci voleva la lente. L'ho messa allora in una piccola scatolina di legno col fondo di spugna che era una bomboniera e passavo il tempo a guardarla. Ho capito che sarebbe arrivato il giorno in cui non l'avrei più vista, nemmeno con la lente, e questo mi faceva star male come se si fosse trattato della morte, poiché essa ci spaventa perché è una separazione e anche questo infinito rimpicciolirsi lo sarebbe diventato.



Ma accadde l'imprevisto. Voi direte che vi sembra che sia già accaduto, ma.....state a sentire.....

vedo Sophie che scava con decisione nella spugna incollata al fondo della scatolina ed ecco apparire dal buchetto un muso. La Tata! E poi si fa spazio Mafalda e poi i gatti. Nell'ordine Cagliostro, poi Isidoro e Beppo che ebbi anni fa e ultimo, come sempre un po' pigro, Paracelso.



Era ed è una situazione di fatto inspiegabile, non ci posso fare niente e non so che dirvi.

Posso solo raccontarvi che mi sono messo a pensare e ho dedotto quanto segue: i miei animaletti esistono ancora. Sono lì nella scatola. Il problema è che io sono enorme, smisurato, e loro meno di un millimetro. Domanda chiave: come posso fare per diventare come loro e quindi tornare a vivere con loro o far ridiventare loro come me? Non mi attaccherò al dio dei cristiani e ai suoi santi. Chi propone una via di salvezza che passa dal dolore ha dei seri problemi e merita un migliaio di sedute dallo psicologo. No. Qui è tutto diverso. È gioia di vivere, gioia per quel che si ha vissuto e la sensazione che quel che abbiamo prodotto di positivo nella vita si fa eterno. Mi riferisco ovviamente agli affetti.



Mentre meditavo, oggi verso le quindici, e osservavo con la lente la mia minuscola e allegra brigata

è accaduto qualcosa di emozionante. Mafalda è entrata nel buco dal quale è riapparsa dopo nove mesi di assenza anche dai sogni e mi son sentito male. Ho pensato, ecco che se ne vanno tutti e mi lasciano qui da solo. Avevo un nodo in gola, immenso. Ero un vetro che una palla incandescente stava per frantumare ma....... ecco che Mafalda ritorna e io sono dietro di lei, minuscolo, identico a... a me stesso.



E ora ditemi voi qual è quello vero. Chi sono!



E poi si fa sera, e poi notte. Chiudo la scatola. Mangio, così, senza convinzione, perché devo, perché va così e sembra che non possa andare diversamente. E poi finisco, mi pulisco la bocca col tovagliolo ed esco nel giardino ormai vuoto. Il cielo è senza stelle. L'aria è calda e umida. Un purgatorio.



Non ne posso più. È come essere morti, poi entro in casa, apro la scatoletta di legno e faccio luce piano piano, per non disturbare, con una candela. E sono lì, steso, addormentato su quel muschio di plastica grigia, con tutti miei animaletti addosso. Eccola la mia vera coperta, intessuta d'affetto.



E questo mondo di umani troppo carnivori, troppo razionali, troppo calcolatori, mi fa ridere. E dentro quel riso si fa urlo. Angoscia, solitudine.



Io sono morto. sì. Un sacco vuoto con una mente scardinata da troppe regole, troppi dovresti essere.



Troppi.



E nel silenzio di questa notte.



Consapevole di essere oltre la vita



nella vita



perché quando ho amato



l'ho fatto con tutto me stesso.



Nel freddo dell'anima, senza la mia coperta.



conto i passi del silenzio, del buio, dei pensieri



e li mando in malora tutti



perché ho amato.



Anche se mi è riuscito solo con cani e gatti



ho amato.



E chi ha amato sa che non c'è differenza fra l'eternità



e l'attimo



perché l'attimo al quale hai dato tutto te stesso



si fa eternità e si ripeterà



per sempre.







Ciao piccola Sophie










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