sabato 15 agosto 2015

Amantea (prima parte:impressioni di viaggio)




Il viaggio dal nord Italia ad Amantea è stato, utilizzando le parole di Ennio Flaiano, “tragico ma non serio”. Arrivo da una terra che attualmente mi accoglie, in un clima a base di zanzare e umidità tropicale. Si chiama pianura Padana. Il suo fiume, noto col nome di Po, un tempo si chiamava Eridano. Parlo di tanti secoli fa. Prima di Cristo, mentre la saggezza greca cercava di fiorire, quando il tempo degli orologi non esisteva e al suo posto il passato si immergeva nel mito, la terra piatta intorno all'Eridano, quella pianura grande a forma di triangolo con la punta acuta rivolta verso i Galli e un lato, quello piccolo, verso il mare Adriatico, quella pianura si era formata causa la caduta del figlio del dio Sole. Questo figlio troppo giovane per essere saggio, distrusse la sua vita. Il padre si lasciò scappare una promessa: “Dimmi una cosa che vorresti fare!” e il figlio chiese di guidare il carro del sole. Il padre non poteva, in quanto dio, disattendere ad una promessa. Poteva però tentare di dissuaderlo. Ci provò, ma a nulla valsero i suoi moniti. La lezione per noi è che mai si devono fare promesse del genere ad un adolescente che è un essere, maschio o femmina è la stessa faccenda, che ha un corpo di adulto in una mente ancora infantile. Con l'angoscia nel cuore, il padre diede il carro al figlio e lo istruì, ma i cavalli pieni di nervosa eccitazione erano difficili da guidare. Non bastava un braccio esperto, serviva un Dio! E partì; partì e lo spavento immediatamente lo prese. Passò bruciando il cielo e nacque così la via Lattea, ricadde verso il basso e sempre bruciando, creò il deserto della Libia. A questo punto, sentiti i lamenti degli umani, Zeus, il nonno, provvide a scagliare un fulmine e Fetonte, figlio di Apollo, cadde. Cadde secondo alcuni nella zona ove attualmente troviamo il paese di Crespino, in provincia di Rovigo, secondo altri ove sta Alfonsine in provincia di Ravenna.
Questo mito, che forse racconta della caduta di un asteroide infiammato, secondo me va visto come una caduta rovinosa di un essere enorme come di solito era la dimensione dei figli di un dio. La valle Padana tutta, fu quindi il luogo della frana divina. Lo immagino Planare da est, dall'Adriatico, e piantarsi creando questa grande valle. L'Eridano poi nacque di conseguenza poiché allora come oggi, l'acqua andava e va verso il basso e tutte quelle delle alpi e degli Appennini qui convogliarono. Quando ci passarono gli Argonauti, nel viaggio di ritorno, persero la fame causa l'immonda puzza di questo immenso cadavere semidivino che procedeva in una lentissima putrefazione. Questo vuol dire che una generazione prima della caduta di Troia, che si pensa sia avvenuta intorno all'ottocento prima di Cristo, la valle Padana era un putridume vallivo con un clima assurdo. Dopo circa duemila e ottocento anni, forse del corpo dello scriteriato adolescente, non è rimasto nulla. Le bonifiche hanno fatto il resto, ma rimane un'umidità che che è una discreta penitenza e zanzare fameliche che nessun veleno sembra capace di ammansire. Anzi, secondo me se ne nutrono e diventano ancora più fetenti (che derivi da Fetonte? Sembra proprio possibile! Quale lunga storia dietro ad una parola!).
Sono partito quindi dalla valle dell'Eridano, con un clima da purgatorio e sono approdato bene a Roma, città caldissima ma affascinante, anche se sgangherata.
Quando sento dire che il problema dell'Italia è il sud, mi imbizzarrisco. Il problema è Roma. Non mi stancherò mai di dirlo. Se, a monte della storia d'Italia sta un gesto assurdo di Garibaldi, ovvero unire l'Italia che secondo me come la intendeva lui non esisteva, si può iniziare a prender in considerazione una verità di versa da quella che ci è stata propinata. Il Sud, quel regno che viene sempre discriminato come arretratissimo, aveva una politica industriale e si stava evolvendo. Il fulcro era Napoli. Passare sotto il regno d'Italia portò come conseguenza lo spostamento del baricentro industriale su Lombardia e Piemonte. Al sud solo con le tasse si riconobbe un ruolo, e quel che invece stava nascendo, anche a livello industriale, finì miseramente in niente. La penisola italiana era secondo me un territorio con tre (e forse quattro) popolazioni diverse. Il Nord fino a Marche e Toscana incluse, il Lazio, con confini non così ristretti, e il sud, con una Sicilia eventualmente indipendente.
Così Roma prese quel che all'apparenza era il meglio, la gestione burocratica dello Stivale, e divenne assolutamente il luogo peggiore dello stato. Da papalini a burocratici è veramente un passare dalla padella alla brace. Luogo di menefreghismi assoluti e di magna magna apocalittici e volgari, non ha saputo e non sa nemmeno far viaggiare un treno! E infatti la mia agonia è iniziata a Roma Termini. Dopo aver assolto ad un gradevole impegno, mi inoltro in questo luogo delle partenze e mi ritrovo a fare una fila per prendere un tagliandino che mi autorizza a fare la fila per la biglietteria. Un'ora per il tagliandino e due ore e mezza per parlare col bigliettaio che mi nega il viaggio perché tutti i treni sono pieni. Il perché della doppia fila si spiega col fatto che mai un italiano rispetterà la fila. Ricordo a Londra in occasione della mostra di Raffaello da giovane. Sorteggiarono i biglietti d'entrata poiché troppa era la richiesta in proporzione alla capacità di assorbimento delle sale. Una volta giunto e in fila, feci il possibile per esprimermi in tedesco e negare la mia parziale origine italiana. Era una vergogna continua. Solo italiani e spagnoli andavano da colui che era incaricato di regolare il flusso d'entrata, e tolta una moneta di discreto valore dalla saccoccia, senza pudore, mostrando platealmente il gesto, chiedevano di saltare la fila. Per questo solo in Italia, ed esattamente solo a Roma, luogo ove l'italianità peggiore si mostra senza veli, si è resa necessaria la doppia fila prima per il tagliando e poi per la biglietteria!
Ero a questo punto. Stremato e senza tagliando di viaggio. Stavo optando per il noleggio di una vettura ma mi spaventava enormemente la Salerno Reggio Calabria, strada pericolosissima e sempre costellata da cantieri di lavori in corso. Ricordo che giorni prima avevo letto che per la prima volta nella sua storia aveva un solo cantiere e un calabrese che sentì questa mia considerazione mi disse che era comunque lunghissimo chilometri e chilometri. Potevo dignitosamente arrendermi, ma una strana tigna, che non è tipica del mio carattere, si è impossessata. Mi son detto: “siamo in Italia. Qui tutto è alla buona tranne le apparenze!” e mi son recato in metrò con assurda allegria, a Roma Tiburtina, l'altra stazione della città. Fila in biglietteria e questa volta il biglietto me lo fanno! Devo arrivare a Paola e poi verrà una macchina per fare l'ultima manciata di chilometri! Sembra finita e invece no. Corro di nuovo alla metro, riesco a prendere il treno per un soffio e quando salgo, solo allora purtroppo, leggo il biglietto. E' un posto in piedi, ma per quello sono in grado di sopportare, anche se si tratta di cinque ore di viaggio, ma il peggio è che il biglietto è fino a Napoli! Perché! Mi dico. Come ha potuto fare un errore simile se ho detto che dovevo recarmi ad Amantea e mi ha consigliato di arrivare fino a Paola che è nelle vicinanze! Comunque ero sul treno e nemmeno con un bazooka ora mi avrebbero fatto scendere prima della meta ormai agognata! Arriva il primo controllore e se ne lava le mani. Mi dice “io scendo a Napoli. Ci penserà quello che sale al mio posto”. Quello che viene dopo si lamenta che il nuovo biglietto me lo doveva fare l'altro … e poi mi rifila una multa enorme. Gli ho spiegato che l'errore è della biglietteria, mi dice che comprende ma che è costretto a fare così perché diversamente quella multa la mettono in conto a lui. Cosa fare se non augurare un attacco di dissenteria lungo duemila anni al direttore generale delle ferrovie italiane? Ho pagato, come troppo spesso accade in questa Italia malandata, gli errori di altri!
Arrivo comunque a Paola e, mistero tutto italiano, ho fatto il viaggio seduto poiché i posti liberi erano a decine! Rinuncio a capire questo popolo nel quale per esempio, hanno appena fatto una legge per assegnare con raccomandazione fra tre anni (poiché è la volontà, o la voluttà del dirigente a decidere tutto, quindi sarà un trionfo di parenti e amici) gli insegnamenti delle superiori che prima erano affidati ad una per quanto discutibile graduatoria! Una legge che si chiama ridicolmente “la buona scuola” e che è basata invece su due soli pricipi: ridurre le spese già all'osso e appunto allargare quel che l'universitese (lingua dei docenti universitari) chiama “Familismo amorale” e che in soldoni altro non è che il malcostume delle raccomandazioni.
Ma torniamo al viaggio. Finalmente scendo e mi accoglie una stazione presentabile e abbastanza pulita. All'esterno la statua del santo che fu confessore di un re di Francia, mi accoglie con un buon augurio e questo sud tanto vituperato da alcuni partiti politici e mediamente da tutti, inizia a mostrarsi con una decenza che non lo rende di fatto diverso dal nord Italia. Viene a prendermi un caro amico che ha avuto e ha ruoli importanti al ministero degli esteri. Gianludovico, dopo essere stato impegnato nella Russia di Gorbacev e nell'Iraq di Saddam Hussein, quindi incaricato di gestire delle discrete gatte da pelare, ha appena terminato un quinquennio a Camberra e ora dirige la commissione sui diritti umani. E' una persona semplice e alla mano. Si chiacchiera subito bene e, come è giusto che sia, la nostra semplicità nasconde una segreta complessità. Il viaggio in macchina mi mostra un bel mare, montagne che sembrano avare di terra e piene di sassi e rocce, e qualche vecchio rudere di castello. Si arriva ad Amantea. Il suo Palazzo è nella parte alta. Il panorama vale il viaggio e la casa è magnifica. Al primo piano ha aperto uno spazio espositivo che si trova su internet cliccando galleriaamantea.com e il secondo piano, è quello dove si abita. Mi viene assegnata una stanza veramente bella. Ha due finestre. Una mi offre la vista di Amantea bassa e del mare, e in una giornata serena son riuscito a vedere l'isola di Vulcano col suo nuvolone di perenne fumo che sembra un sombrero. Il clima è caldo ma non insopportabile come nella piana ove il fetente Fetonte franò causa una saetta del nonno.
Mi son fatto una doccia veloce per liberarmi delle scorie del viaggio e sono immediatamente uscito. In me oscillava una curiosità fondata su chiacchiere, quindi sulla totale ignoranza del reale. Calabria! Luogo di malavita organizzata! Italia border line! Qualcuno mi aveva invitato a stare attento e a non dare confidenza a nessuno! Non scherzo. Questa è la visione che ci consegna lo strano mix delle chiacchiere da bar e dei media! E invece esco dal portone nobiliare e mi inoltro in una realtà semplice, composta di bambini che giocano, di una brezza frizzante e di una certa pulizia. Mi siedo in un caffè che dista forse trecento metri dal palazzo che mi ospita e decido di concedere alla mia gola una birra. Quale eresia stavo commettendo! Non sapevo ancora che ero in un tempio del gelato consigliato anche dal Corriere della Sera! Ho ormai rinunciato, direi quasi completamente, agli alcolici, ma mi son concesso uno strappo alla regola perché ero comunque stanchissimo e mi son dedicato ad una delle mie attività preferite; osservare la gente. Ho colto immediatamente che le donne hanno sguardi appuntiti e una sensualità primordiale e i bambini scorazzano con una energia più positiva di quelli del nord. Giocano per esempio a palla e non sbriciolano panchine e marciapiedi con gli skate, e vestono senza troppi condizionamenti delle mode. Spesso un bambino del nord è già un essere che si atteggia, qui invece tutta l'energia va nel tentativo di raggiungere il pallone e di gestirlo decentemente. Mi ricorda quel che mi affascinava a Dalmine, nel bresciano. Dalla finestra della cucina casa nella quale ero ospite, mentre chiacchieravo, ero letteralmente ipnotizzato da un gruppo di ragazzini che giocavano a calcio nel campetto del prete. Ricordo che ce n'era a uno di colore che era veramente bravo e che mai più, ormai da anni, mi son divertito tanto come a guardare loro, con quello sforzo genuino, con quel giocare per il gusto del gioco e nient'altro! Ed ecco di nuovo qui, questo giocare fresco. E mi ritrovo a essere preso dai virtuosismi di un ragazzino che subisce un fallo. Subisce un fallo e si accende la discussione che essendo in italiano capisco perfettamente. Non sanno decidere e improvvisamente uno di loro mi chiede cosa ne penso. Sono sorpreso. Non mi aspettavo avessero colto il mio interessamento. Dico che rispondo se poi accettano il mio giudizio e riprendono a giocare. Accennano di si tutti e dico che era fallo. In un secondo, senza aggiungere parola, riparte l'azione e io distolgo lo sguardo da loro per tornare alla gente che passeggia.
Ora devo rientrare. Alle ventuno e trenta apre la mostra e dobbiamo prima cenare.
Quello della cena è il mio punto debole per due motivi. Mangio poco e di solito in Italia i tende a rimpinzare l'ospite, e poi sono reduce da ben quattro interventi in circa un anno quindi, se mai la mente ha continuato a lavorare a pieno regime, il corpo me lo porto dietro come fosse un fantasma ancora poco convinto di esistere.
Mi inoltro nel labirintico palazzo, la cena sarà semplice e nessuno mi spinge ad eccedere, e scopro dei pomodori fantastici. Dico con Gianludovico E Camilla, sua moglie, che si tratta indubbiamente dei migliori pomodori che ho mangiato nella mia vita. Li avevo già visti e assaggiati al nord dove li chiamano “cuore di bue”, ma per quanto piacevoli, non avevano l'intensità di questi che qui chiamano “pomodori di Belmonte”.









Terminatala cena ci avviamo al piano inferiore nel quale il pittore, già presente, dialoga con i visitatori. E ora inizia la parte del viaggio che è stata in un certo senso la mia fortuna. Camilla, la moglie di Gianludovico, è una scultrice. Scrissi di lei in occasione di una sua personale a Castel sant'Angelo nel 2008, e se ne fece un libretto del quale sono soddisfatto. Quindi a cena dialogo con una artista e col marito che, ha poi ammesso, sta scrivendo e intende scrivere … Dopo cena il dialogo con un altro artista e la presentazione di un altro ancora e posso dire che da ora in poi, la mia visione di Amantea sarà positivamente condizionata dai dialoghi con loro, dal loro modo di vivere e sentire quei luoghi. É un grande privilegio scoprire un luogo per mezzo dei suoi artisti. L'artista non si limita a pensare, ma crea qualcosa che viene prima del pensiero e ne pone le basi. L'artista diviene tale per una sofferenza che qualcosa ha innescato. E nella seconda parte narrerò del primo di questi. 
(foto iniziale, tramonto da Amantea alta)

paragrafo a parte:

I POMODORI DI BELMONTE

Ho messo tre fotografie. I pomodori, che spesso sono enormi (me ne hanno mostrato uno che pesava un chilo e tre). il mazzo di Origano che viene utilizzato per condire insieme ad  appena una spruzzata di olio. 
Perché dedico un paragrafo ad un pomodoro? perché ho scoperto un gesto antico che lo riguarda. 
La prima sera, Gianludovico ha tagliato delle fette di pomodoro che sembravano bistecche da quanto erano grandi, ha messo un accenno di olio e, tenendolo con la mano destra, ha "grattato" il mazzo di origano che ha nevicato le sue particelle sulla fetta rossa. 
Quel gesto è storia. L'ho immortalato in una preparazione collettiva fatta da uno dei pittori che ho conosciuto, Pietro Bonavita. Immaginate una stanza ad uso cucina in cima ad un antico palazzo, (mi spiegano che la cucina era li e non come può capitare altrove, al piano terra, poiché in caso d'incendio si era constatato che i danni erano più facilmente isolabili), dalle due porte aperte entra una piacevole brezza serale. La moglie dell'artista pigia nel grande mortaio di legno il pane che, ridotto a polvere, verrrà versato nella dose giusta nella ciotola dell'insalata quando vi è rimasto, a fine pasto, qualche pezzo di verdura e il "sugo" che è ambitissimo. e quel gesto anzi, quei gesti, col mazzo di origano e col mortaio, che mi hanno portato per un attimo, fuori dal tempo, oltre il tempo. Immagino la Magna grecia colta si, ma che "magna" esattamente come stavamo facendo noi. e non solo. La Calabria ha una storia curiosa. Quando fu romanizzata, gli indigeni, gente assai primitiva che si dipingeva la faccia e viveva in capanne, scapparono sui monti. Come arare quella buona terra per ricavarne i migliori pomodori del mondo (concedetemelo)? ed ecco che dalla Siria "importano" circa trentamila ebrei che nel nono secolo dopo cristo era no diventati circa novecentomila. Si cristianizzarono e rimase solo qualche gesto rituale e sicuramente culinario. Quel che abbiamo mangiato quella sera, verdure e spaghetti con le alici salate,
era secondo me, forse per caso, forse no, Kosher. Ho notato che la principale suddivisione ebraica, ovvero non mangiare carne e contemporaneamente latticini, sembra sia saltata, ma insisto, forse casualmente, quella sera la regola è stata rispettata. (spiegazione ebraica. Mai mischiare carne e latticini per non rischiare di cucinare l'agnello nel latte di sua madre. Visione orrenda, che dimostra che chi comunque l'agnello lo ha ammazzato, gli riconosce una dignità ultima, forse insensata, ma che ci tocca il cuore. di fatto questa separazione è una importantissima nota dietetica che favorisce non poco un vivere sano).
Una Rabbina (rabbino donna. Causò un bel disordine nell'ebraismo questa ormai ex fanciulla! mandò una lettera ai vari rabbini nel mondo dicendo che voleva diventare rabbine e che nessuna parte dei testi sacri negava la possibilità di realizzare questo suo sogno) una rabbina dicevo, considerò l'abitudine calabrese di coprire gli specchi, come un brandello, una traccia di quegli ebrei convertiti. devo contraddirla. Lo fanno anche gli ebrei. non si tratta quindi di una prova certissima. la ricerca deve essere più profonda. Si coprono gli specchi in varie parti del mondo per semplificare a "vita" (diciamo così), del morto recente, che potrebbe smarrirsi in uno specchio e perdere la via per l'aldilà al quale di solito non accede immediatamente. In quasi tutte le culture, fra la morte del corpo e l'entrata nel regno dei morti, intercorre un periodo più o meno lungo. In alcuni casi, solo due volte all'anno la via si apre, ed è nei due solstizi. Si immagini quindi l'anima che attende e potrebbe, in questo periodo di transizione, perdere la strada.

Immaginiamo ora un ristorante di Amantea. Esso non deve solo offrire i migliori prodotti, ma anche uno spettacolo antico, fatto di gesti che hanno un valore enorme, e lo dimostra il fatto che si insinuano nella memoria e riappaiono assai spesso per mesi e a volte anni. Vedete, la pulsione erotica va e viene, e l'avvenente bagnante che ci ha fulminato i sensi, apparirà in base alla nostra buona disposizione verso il femminile o al grado di astinenza. le sensualità del cibo invece, è assai più radicata. Non per nulla Proust affida ad un infuso di tiglio nel quale intinge una madeleine, la ricomparsa di un immenso e minuzioso ricordo! ecco il potere di un odore, di un sapore, ed anche di un gesto ad essi collegato!
Immagino quindi il cameriere che insegna il gesto col mazzo di origano e invita il cliente a compierlo, mentre questi pesta col mortaio un po' di pane secco e ne spiega l'utilizzo. Recuperare e valorizzare gesti. insegnarli. anche questa è ricchezza. E poi amo profondamente ogni gesto o pensiero che ci libera almeno per un attimo dal tempo dell'orologio e ci consegna ad una sensazione di eternità. A Istambul  mangiavo involtini di foglie di vite che erano prelibati già al tempo di Socrate! sono meraviglie cerebrali, ma per me irresistibili.
E penso alla Francia, terra nella quale al ristorante, anche una cosuccia mediocre sanno servirtela. Ad Antibes il carrello dei formaggi era di legno scuro, rifinito di ottone, e da un globo di vetro vedevi formaggi morbidi lavorati con le erbe. Non erano eccezionali, ma sapevano presentarteli talmente bene che qualcosina lo prendevo sempre. ed era bello la mattina, a Nizza, a Cannes, vedere le donne che arrivavano al mercato con cestini di vimini coperti di foglie con dentro segreti per il palato che agognavo vedere e ... assaggiare. 
E penso ai pomodori negli Usa. Erano perfetti per l'occhio ma totalmente insapori. si mordeva il nulla. Scoprii poi che quelli messicani erano buoni ma costavano una follia. questi fetenti di americani (concedetemelo...), consigliano e spesso impongono al mondo il libero mercato, ma al loro interno fanno del protezionismo che ha dello squallido. Il loro prodotto è insensato e solo bello, quello buono costa una follia per tasse aggiunte su ogni prodotto che viene da fuori! provate a Miami a fornirvi di un poco di verdura decente. Impossibile. conosco gente che ad amici che vengono dall'Europa chiedono di portare un poco di frutta e verdura "civili" ... no comment!

E invece ... quei pomodori di Belmonte, per il ricordo che hanno lasciato alla memoria del palato e a quella visiva coi gesti per prepararlo, ben meriterebbero una sagra che ho consigliato vivamente di organizzare!

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