Dopo aver descritto alcuni aspetti de
“Il grande Gatsby” in un post lettissimo anche oltreoceano, ora
mi inoltro nella spietata verità che si cela nell'opera.
Si ricordi la frase eccezionale proprio
di Francis Scott Fitzgerald e che ho scritta sui muri della stanza
dell'insonnia: “Non si scrive per dire qualcosa. Lo si fa solo se
si ha qualcosa da dire”. (taccuini). Aggiungiamo che la grande, la
vera letteratura è un canto dell'anima, dell'io più profondo che
abbatte, nello slancio della sofferenza tutti gli atteggiamenti
letterari e intellettuali. Anima sincera. In questo caso anima
morente. Anima morta.
La situazione di Fitzgerald che
rivelerò con l'aiuto dei testi, rappresenta secondo me la
constatazione di una morte dell'anima. Cosa rimane? Un io
disorientato, senza la sua guida, e un corpo che non può non tendere
all'annientamento.
Inizio dalla cronologia della vita
dello scrittore che si trova nella edizione dei Romanzi edita da
Meridiani Mondadori: “Congedato nel febbraio del 1919, va a New
York, ma intanto , nel marzo del 1918, aveva portato a compimento il
suo primo romanzo, “Il romantico egoista”, che dopo essere stato
corretto, respinto una prima volta dalla casa editrice Scribner's,
riscritto, viene finalmente accettato dallo stesso editore (16
settembre 1919) e pubblicato col titolo “Di qua dal Paradiso” (26
marzo 1920). Quasi contemporaneamente all'uscita del suo primo libro,
sposa Zelda Sayre (3 aprile 1920), appena ventenne, figlia di un
magistrato, di cui si era innamorato all'epoca del soggiorno in
Alabama per il servizio militare (1918). Respinto da lei quando, al
primo invio il romanzo era stato rifiutato e gli venivano rifiutati
pure un centinaio di racconti inviati a giornali e riviste) ora egli
può farne la compagna di anni che saranno memorabili … “
L'estensore di questa cronologia ha la
sensibilità di una lima da ferro passata su una pupilla! Mi spiego.
Lui la ottiene la ragazza, ma come credere che non ci sia una
macchia, un' “incrinatura” che renderà quella conquista, per
sempre in fondo, un fallimento? La situazione ideale sarebbe stata
ottenere un si per amore, e non perché il reddito e divenuto
adeguato! Se a questo ero arrivato da solo, (sono un maschio, ci son
passato anche da ragazzo da quella sconfitta e so di tanti, troppi
casi simili, che definirei col termine umiliazione), se a questo ero
arrivato da solo dicevo, la recentissima pubblicazione in Italia
(Donzelli editore, “Good Luck and good Bye”)
di un testo
autobiografico che l'editore Perkins rifiutò nel 1936, giudicandolo
poco interessante, ci offre, direttamente dalle parole dell'autore,
il significato che ho sottolineato. Il capitolo si chiama “Incollare
i pezzi” ed è un capolavoro di sincerità ed immediatezza. Eccone
alcuni passaggi: “In un precedente articolo, l'autore di questo
testo parlò di quando si accorse che la pietanza che aveva dinnanzi
non era quella che aveva ordinato per i suoi quarant'anni. In realtà,
siccome lui e la pietanza erano tutt'uno, egli si era descritto come
un piatto crepato, di quelli che ti mettono il dubbio se tenerli o
buttarli via”.
Sta parlando di se stesso.
L'incrinatura … sente di essere un oggetto, un piatto, ormai
secondario e che si potrebbe gettare. Ma cosa lo ha reso un piatto
incrinato? E ci descrive due accadimenti. Il primo fu una breve
malattia a vent'anni che risultò poi essere una leggera forma di
tubercolosi. Dovette assentarsi dall'Università e, oltre a rimanere
indietro di un anno con gli studi, perse il ruolo di presidente del
Triangle club, e la possibilità di realizzare una commedia musicale.
Il successo sociale insomma verso il quale sembrava ben avviato, fu
annullato da quel problema di salute.
E … genialmente, Fitzgerald ci dice
una cosa di una profondità tale che non posso non commuovermi anche
quando la rileggo per la centesima volta: “In un solo pomeriggio di
marzo mi parve di aver perduto tutto ciò che desideravo, e quella
notte, per la prima volta, diedi la caccia allo spettro della
femminilità che, per un breve momento, fa sembrare senza
importanza tutto il resto.”
Facciamo prima due conti col calendario
in mano. L'autore aveva vent'anni? Allora siamo nel 1916! Si tratta
di Zelda? Ci sta parlando di lei? No, perché la conoscerà in
Alabama nel 1917/18. Nella fredda e troppo intellettuale cronologia
che ho usato prima, al 1916 trovo quanto segue: “dopo la chiusura
dell'anno accademico vive mesi di cupa tristezza, aggravati dal
fallimento della sua prima relazione amorosa con una bella, brillante
e facoltosa ragazza, Ginevra King di Chicago.” Poco prima la
cronologia ci parla anche della convalescenza avvenuta nel medesimo
anno poco prima di questo triste fallimento.
Tiriamo le somme … Due tentativi
frustrati per il medesimo motivo. Il fatto di essere precario
economicamente. Ci dice anche, E QUESTO E' GENIALE!, che dopo la
prima incrinatura, quella causata dalla malattia che portò al
fallimento delle sue ambizioni sociali così ben avviate, in quel
momento di fragilità, l'importanza della femminilità si amplificò
diventando un'ancora di salvezza … ma la definisce spettro, quindi
qualcosa di irreale se visto da fuori, o dopo la depressione. Se lo
stato della mente è alterato, alterata sarà anche la soluzione che
si escogita...
Ma questo meccanismo … fu solo suo o
è di tutti? Chiudendo un triste occhio sul fatto che il gentil sesso
ha un senso pratico a volte troppo invadente e che travolge istanze
morali … se immagino una donna nella situazione della prima
incrinatura, ovvero malattia che blocca ambizioni ben avviate, vedo
la possibilità nel medesimo rifugio sentimentale nello spettro della
mascolinità... La sento insomma come una regola generale che
riguarda quelle donne che non fan calcoli coi sentimenti e hanno
momenti fragili. Le altre, quelle col pallottoliere in mano, donne
non sono.
A questo punto la seconda incrinatura.
Fitzgerald si innamora di Zelda che attende il responso dell'editore
per concedere la sua mano. L'editore dice no e Fitzgerald viene, come
possiamo dire? Licenziato? Buttato via? Mah. … Ma lui combatte! Le
riviste rifiutano un centinaio di racconti e lui non si arrende!
Corregge anche il romanzo rifiutato e riesce ad ottenere la
pubblicazione. Torna da Zelda (e questo per me fu l'errore della sua
vita...) e ottiene il si per sposarla.
Perché penso che tornare da lei fu
l'errore della vita? Era lui che amava l'amore, lei prima di tutto la
sicurezza, l'agio, le comodità. Secondo me Fitzgerald, carico di
entusiasmo per la pubblicazione e immerso in un'azione frenetica di
correzione e contatti con le riviste, calato nell'azione in modo
troppo forte, non ha meditato. Quando si è sposato e, nella calma
successiva ha osservato la moglie nel sonno, mentre lui insonne
faceva calcoli per il bilancio famigliare (non sto inventando, nel
libro appena uscito da Donzelli, lo cogliamo), si è reso conto che
lui aveva agito per amore, ma lui solo e se avesse dato tempo al
pensiero, cosa che fanno in pochi, avrebbe evitato quel matrimonio
tomba.
Parole di Fitzgerald: “l'altro
episodio (l'altra incrinatura) … si era verificato dopo la guerra,
quando avevo di nuovo esposto troppo il fianco (
sottinteso al
femminile). Era uno di quegli amori tragici segnati dalla
mancanza di denaro, e un giorno la ragazza (
non nomina la futura
moglie...) vi pose fine in nome del buon senso. Durante una lunga
estate di disperazione, anziché scrivere lettere (
a lei),
scrissi un romanzo, e andò a finire bene, ma andò a finire bene per
un'altra persona. (
andò bene per la futura moglie. Si noti
comunque che questa frase fa comprendere anche che non andò bene
per lui...). L'uomo con in tasca la moneta sonante, che un
anno dopo sposò quella ragazza, avrebbe sempre nutrito un'inveterata
sfiducia, un risentimento, verso i benestanti.”
Questo risentimento si trasformò in
adulazione sconcertante e Hemingay criticò queste situazioni
trovandole meschine senza cercare di comprenderle.
Ma proseguiamo la lettura delle
dirette parole dell'autore! “Negli anni che seguirono, non ho mai
smesso di chiedermi da dove arrivassero i soldi dei miei amici, ne di
pensare che, in un qualche momento, poteva essere esercitato una
sorta di droit de seigneur e avrei dovuto cedere la mia ragazza ad
uno di loro”.
Non lo trovate spaventoso? L'angoscia
del guadagno continuo. Se non hai soldi non meriti la donna e chi ne
ha, chi non è in affitto e ha la casa, chi ha il lavoro sicuro, per
entrare col paragone nei nostri tempi, e chi ne ha dicevo, di soldi,
potrebbe esercitare un “diritto del signore”, del ricco, e
portarti via la donna.
Accade. E lo sappiamo. La cogliamo la
situazione dolorosa e continua di Fitzgerald?
Si prenda ora in mano “Il grande
Gatsby” e si legga quella che di solito è l'ultima riga della
prima pagina: “Il senso della dignità fondamentale è distribuito
con parzialità alla nascita.”
Questa frase, che è un macigno,
contiene il destino dello scrittore, che ricevette all'origine della
vita, una dotazione di dignità insufficiente per potersi permettere
… un amore. E si tratta dunque di dignità ferita che potremmo
definire anche col vocabolo umiliazione.
ma.. se questa frase la si legge in
apertura del romanzo... quanto troveremo di autobiografico, di legato
ai due fallimenti femminili per carenza di soldi, nella trama?
Prima però tiriamo le somme su quel
che gli accadde nella vita reale: La prima lo rifiuta e lui crolla.
La seconda lo rifiuta e poi dice di si quando arriva coi soldini.
Dignità ferita due volte.
Osserviamo cosa accade a Jay Gatsby nel
romanzo. Era soldato come Fitzgerald quando conobbe Daisy. (Prendo
ora frammenti dalla traduzione Mondadori della Pivano): “Daisy Fay
aveva diciott'anni … ed era senza discussione la ragazza più nota
di tutte le fanciulle di Louisville … quel mattino arrivai davanti
a casa sua, lo spider bianco era fermo vicino al marciapiede. Daisy
vi stava seduta con un tenente che non avevo mai visto prima. Erano
così assorti l'uno nell'altra … L'ufficiale, mentre Daisy parlava,
la fissava come tutte le ragazzine desiderano essere fissate una
volta o l'altra … ciò accadde nel 1917. (Fitzgerald conobbe
Zelda e visse situazioni simili, nel 1917/18) ( e poi
Gatsby partì per la guerra in Europa e Fitzgerald per caserme negli
USA). Strane voci circolavano sul suo conto (di Daisy):
come la madre l'avesse trovata durante una notte d'inverno mentre
faceva le valigie per andare a New York a salutare un ragazzo diretto
oltremare; le venne impedito di farlo, ma per parecchie settimane non
parlò più con la famiglia.”
Conosciamo anche la versione di Gatsby,
che parte per la guerra con l'intenzione di morirci perché sa che la
famiglia di lei rifiuta il loro rapporto. Ecco un tassello differente
fra la vicenda dell'autore e quella del romanzo. Daisy, ne esce
salva. E' stata la famiglia a impedire. Nella vita fu Zelda …la fidanzata medesima. Purificando il
ruolo femminile, eliminando la colpa diretta, Fitzgerald ottiene una
maggior purezza anche del dramma di Gatsby. Se la ragazza è
innocente si può parlare di fato, di destino … E Fitzgerald,
secondo me, non per calcolo intellettuale, ma poiché era giunto alla
radice prima della sofferenza e della consapevolezza della di questa,
agì nella creazione della trama, semplificando in un modo che non
può non ricordarmi la tragedia greca. Siamo all'ultimo momento di un
fatto lungo cinque anni. Dell'amore nato con Daisy sentiamo
raccontare dal “coro” delle voci del romanzo e ci troviamo in
quel presente scenico di carta che tira le fila della conclusione che
è tragica e con morti, come un buon greco antico pretendeva … per
catarsi.
Amo pensare che una trama così
perfetta, semplificata, sia un'operazione non calcolata ma che si
tratti di colpi di scalpello della sofferenza che semplifica per
mostrare le poche facce potenti, abbaglianti del dolore puro che si è
vissuto. Fitzgerald ricrea e rivive la sua incrinatura e il suo alter
ego, Gatsby, muore. Rimane puro fino alle fine e la sua morte, che sa
di sacrificio, è la descrizione della morte dell'anima dell'autore.
Egli ora, è consapevole di essere un piatto incrinato, che si usa ma
si potrebbe anche gettare. Un corpo quindi e un io senza la guida
dell'anima che si annichiliscono per il bilancio economico perché
altrimenti scatta il terribile “diritto dei signori”, e l'alcol,
che ti da sul momento la forza di mantenere il ritmo e di non
pensare, ma l'artista pensa anche quando non deve e non vuole …
Ecco delle parole stupende e sue che lo
rivelano: “Dunque, la cura abituale per uno che è affondato
(incrinato...), sta nel pensare a chi vive una condizione di
vera indigenza o di sofferenza fisica; è un toccasana contro la
depressione in generale che va bene per tutte le stagioni, oltre che
un consiglio quotidiano alquanto salutare per tutti. (/)
Ma alle tre di notte, un pacchetto
dimenticato assume la stessa tragica importanza di una condanna a
morte, e la cura non giova - nella notte fonda dell'anima sono sempre
le tre di notte, giorno dopo giorno -”.
Stupendo. Ho messo un a capo (/) per
dividere la frase in due nuclei di senso. Il primo nucleo, sa di
essere meschino. Sa che rinfrancarsi pensando a chi sta peggio è un
rimedio superficiale, da popolino, e infatti nella seconda parte, ci
mostra la depressione, l'insonnia, abissi che conosco personalmente,
e ci dice che in quei momenti eterni, un nonnulla diventa morte
dell'anima. Lui dice buio, ma il buio è nella tomba, non nella casa
viva.
Eccovi consegnata l'anima di un
capolavoro. Alcuni oltre che apprezzarlo minuziosamente come opera
artistica indiscussa, alcuni, dicevo, soffriranno, poiché di donne
come Zelda è pieno il mondo e l'incrinatura che si ha, se letta, non
fa star meglio, ma potrebbe farci sentire puri, migliori di chi ha
ferito, come puro sentiamo essere Gatsby. Ecco la letteratura che
definisco utile come una medicina! E che non si legga il romanzo una
volta sola! Bisogna entrare non solo nella trama, ma nelle sfumature
di una scrittura che nulla lascia al caso e che è una vetta profonda
dell'umanità
amen