sabato 9 febbraio 2013

Gagosian e Basquiat

Basquiat - autoritratto

Ogni volta che nasce un armeno … un ebreo piange. Questo detto assai diffuso, ci vuol mettere sull'avviso che gli armeni son considerati mercanti più scaltri di tutti. Perfino degli ebrei che si considerano e son considerati i mercanti per eccellenza.

Penso sia il modo migliore per introdurre uno scritto su Larry Gagosian.

L'Armenia è una terra stupenda. Di una bellezza che va oltre al senso del bello occidentale, che è legato a troppe parole, a troppe macchinazioni verbali. Quella terra è una fucina di artisti.

Accade che si pensi, che Gagosian sia una galleria d'arte con sedi a New York, Los Angeles, Parigi, Atene e Roma. Mi domando se sia vero. E non mi interessa scoprire che effettivamente a quel certo indirizzo ci siano uffici e sale con quel nome sopra e della roba dentro … per me una galleria d'arte dovrebbe aver a che fare con l'arte … o almeno provarci.

È vero che l'arte viene commercializzata quindi potrei nutrire qualche dubbio ma … se cerco di dare una definizione alla parola arte … cosa rimane? Il commerciante. Non uno spicciolo di significato in più. Devo spendere parole per quella definizione? no. Chi ha voglia di capire e, forse, di perder tempo, si legga i post del mio blog e un'idea se la fa. Poche parole definiscono poco, quando si cerca di dare un significato a un termine che è vita.

Di recente, a Venezia, son passato alla galleria Contini. Quando mi involo verso terre di lingua tedesca mi fermo a Cortina, anzi mi fermavo, semplicemente per vedere la sua galleria, le due sedi, quella in centro e quella un po' più fuori che ho visto piena anche di opere di Mitoraj che stimo e che ho pure utilizzato per la copertina di un mio libro. Ora non mi fermo più. Cortina è bella, ma l'umanità è pacchiana, men che banale. I personaggi dei film di Verdone sono in confronto filosofi delicati. Anche Contini, che aveva opere di Aguzzi, qualche buon Botero, l'eccellente Domenico Gnoli, sta prendendo la linea di Gagosian. Commercio di “roba” che convien spacciare per arte, ma in fondo solo quello. Esistono altri templi finti? Certamente. E chi li frequenta? Ormai quel ghetto che sembra lussuoso, ma di fatto è triste proprio per la sua esclusività, dei super ricchi.

Ora Larry Gagosian dedica le sale di New York, quella a Chelsea, ventiquattresima strada west, a Basquiat. La maschera commerciale ci rivela la sua recita dicendo che si tratta di una mostra museale. Questo vuol dire che si mostrano opere per il piacere di mostrarle … si scopre, se ci si inoltra un poco nella finzione, che solo dieci fra le opere esposte, sono effettivamente in vendita, ma non si dice che l'anno scorso una sua opera ha passato i ventisei milioni. Il mercato era stato svuotato. Pochi li avevano, ed ecco che ora, che il lievito di una accurata operazione solottier-commerciale ha lavorato bene, si espongono. Da circa tre milioni a ventisei e passa in poco tempo … ne bastano dieci in vendita per far giornata … non credete? E poi esiste il cosiddetto mercato secondario, termine che puzza di tecnico e che vuol dire; opera di proprietà che il gallerista si incarica di rivendere... ma a meno che io non sia scemo … tutte le opere hanno padrone … o sbaglio? E quanti son quegli strani esseri che il mercante chiama artisti e che son stati utilizzati per gonfiare i prezzi? Ormai infiniti. E si tratta di moda, della medesima moda che fa sbavare stuoli di signorine per borse di tela gammata di una certa nota griffe che essa compera per ottanta centesimi a metro quadrato e rivende, rifinita in pelle, a quasi un migliaio. Come fanno? Semplice, l'esigenza viene creata. Non importa la qualità del prodotto, ma che sia desiderato e … se chi fa le scelte è un commerciante … è finita. La moda italiana, negli anni settanta basò la sua fortuna su figure artistoidi rigorose anche per la qualità. Ora. Insisto, è il commerciante a decidere, e così non va.



Lorenzo il Magnifico
Quando il Magnifico Lorenzo, col papà Piero detto il gottoso e il nonno Cosimo detto il Vecchio, scelsero un certo Michelangelo, lo fecero sicuramente con motivazioni diverse da quelle che spingono Larry Gagosian oggi ad agire, circa cinquecento anni dopo. Sia i Medici che Gagosian, scaltri commercianti, ma quel qualcosa che non è necessario definire e che fa la differenza fra il celebre casato fiorentino e lui, fra il cinquecento artistico e oggi, è una voragine che è scaduta da anni, da troppi anni, nel ridicolo. Oggi, su “La Stampa”, a pagina trentatré, un giornalista che risulta essere inviato da New York, ci fa sapere che Basquiat era nella cerchia di Wahrol e della Factory … discernere per favore, se questa informazione vale più o meno di zero o se, addirittura non è una nota negativa leggendo i diari di Andy. Si scopre un mondo men che ridicolo, e Andy Wahrol che si definiva “artista commerciale”, due parole che fanno a botte fra loro, che si odiano, che non andranno mai a braccetto, perché quel che spinge l'artista, quello vero a creare è qualcosa che fa male dentro e non certo il guadagno che, se arriva, non fa ribrezzo a nessuno, ma non fa tremare la qualità, che è data da un'esigenza più sottile di qualsiasi pensiero non artistico del novecento e anche di questi primi conati del ventunesimo secolo.

Pollock all'opera
Se togliamo la moda non rimane nemmeno la polvere. Ricordate un certo Pollock? Provate a scoprire cosa vide la signora Guggenheim quando lo apprezzò. Erano studi sull'arte degli indiani d'America. Interessanti. Arrivò poi il dripping, che sembra una tecnica, ma altro non è che il procedere malfermo di un artista spaesato e ormai vittima dell'alcol, sulla tela appoggiata per terra. E Fontana. Tagli e buchi nella tela e i critici che ci dicono che “ha sfondato lo spazio” che è andato “oltre lo spazio”. Un'altra mostra “museale”, così affermano, Gagosian l'ha fatta proprio su questo autore del quale ricordo qualcosina … a Milano, non molto tempo fa, quando entravi in una galleria, vestito decentemente e dimostravi di essere interessato, nel giro di poco ti accalappiavano e con fare fintamente confidenziale ti portavano nella stanza “segreta” e ti mostravano un Fontana che proprio solo a me, perché ero così simpatico, avrebbero dato per un prezzo che era una vera occasione. Il problema è il seguente: crei il mostro e lo sbatti in prima pagina, mostro nel senso che gli dai un valore che dopo non può più scendere per evitare gli urli di rabbia di tanti poveri ricchi che non hanno ancora imparato a distinguere la moda dall'arte. Di Fontana non mancava la “merce” e una mostra fintamente museale poteva rendere bene … e se penso che il primo taglio fu su una tela dipinta.... !Sì, una reazione emotiva, con amici presenti dei quali uno lo conoscevo bene. Una reazione alla malattia. Basta opere, sto morendo, voglio stare con voi, vivere con voi l'ultima vita che mi resta. E quel taglio, quando lo vide il commerciante, fu un'idea che con poca fatica rese tanto. Il riferimento che io invece ci trovai fin dall'inizio fu il bisogno di respirare, di togliere quel velo che non faceva entrare aria alla vita dei polmoni, un po' come “la Talpa” di Kafka ... e mi dissero che effettivamente era il respiro che gli mancava.

Perfino quel che può avere un senso vero, viene bruciato da chiacchiere scientificheggianti di iper critici. Ma … lo dico e lo ripeto: il critico è la persona che paghi per parlare bene di te .. lo sappiamo, quindi le sue flatulenze, scritte o cantate, non valgono asssssolutamente nulla.

E Pollock? Certi musei prestano al nulla artistico di alcune epoche delle sale enormi , e svendono i loro soldi, che così dalle fondazioni che le reggono, passano al cosiddetto secondo mercato … mentre chi lo comprò anni fa lo ha messo nella casa al mare o comunque in quel luogo, spesso un armadio, nel quale le cose passate di moda giacciono senza offendere l'occhio. Unica possibilità appunto, o una fondazione con amici nel consiglio di amministrazione, oppure ipotecarlo, lasciar scadere l'ipoteca e tenersi quella percentuale assai smagrita del valore dichiarato.

Opera di César
E .. tanto per ripetere una cosuccia già narrata altrove … Quando dissi a Cesar, seduto di fronte a lui nella sua tana all'Hotel Lutetia a Parigi che, quel piccolo parallelepipedo di barattoli di Coca-cola pressato, che campeggiava sul tavolo, non riuscivo proprio a capirlo … e lui mi disse che ci pagava i conti e per il resto era d'accordo con me …

E ora torno ad Aguzzi che conobbi da Contini a Cortina. Il dialogo all'inizio fu difficile. Era diffidente. Si difendeva. Gli avevo semplicemente chiesto perché aveva scelto di fare quei grandi quadri con i cesti. Prima mi disse, “vedici quello che ti pare” e altre reazioni scontrose, ma quando capì che lo apprezzavo e lo rispettavo, che non costruivo parole saporite e basta, mi confidò che ogni cosa intorno a noi ha una sua bellezza e che se la osservi minuziosamente, sempre sfiora il sacro. Parole belle. Belle perché vere. Dedicava ore all'intreccio di quei vecchi cesti, e quella dedizione era parlarci, parlare con i ricordi, con la vita.

Quel che chiedo è che parli l'artista, che gli si dia la tranquillità per farlo. Non ne posso più dello spaccone che mi dice “ ci puoi vedere quello che vuoi!” questa risposta stupida, sentita un po' da tutti fino alla noia, rende tutti intenditori. Può andare per il calcio, droga popolare, ma l'arte no! Non accadrà mai che un'opera non rappresenti un'interiorità, un mondo personale che si fa simbolo.

Il trenta febbraio non ricordo se su “La stampa” o il “Corriere della Sera”, Elkann ha intervistato Valentina Castellani che dichiara di essere il braccio destro di Larry Gagosian. Vale la pena di leggerlo e stimo l'abilità dimostrata da Elkann che fa domande e lascia che questa persona si faccia del male da sola. Il suo linguaggio è commerciale. Dell'arte nel significato più vero del termine, non rimane traccia.

Questo modo di agire Elkann, che fornisce domande e le riporta senza commentare, ha la forza di un giudizio, di un distacco che deve farsi sottile e che è compreso solo da chi “sente” la vanità del discorso modaiol-commerciale.

Lucian Freud
Tempo fa criticai un suo articolo dedicato a Lucien Freud, solo perché non metteva in risalto la sua parentela con Murdoch, particolare che spiegava tante, troppe cose di quei prezzi gonfiati. Si trattava comunque di un artista che qualcosa di buono l'aveva fatto e comprendo il fatto che Elkann si sia messo in gioco. Ha gusto e dedica molto tempo alla deliziosa fatica, spesso vana ma mai inutile, della comprensione non solo analitica. Ma quest'ultimo suo articolo è un capolavoro di stile. La condanna se la crea chi risponde per mezzo di quel linguaggio freddo, che ha sapore di calcolo. E' un po' come offrire un palcoscenico pregiato e un microfono ad una persona he non sa di non saper cantare. Chi ha dato il microfono non ha giudicato? Certamente lo ha fatto, ma il danno maggiore se lo fa a se stesso, chi crede di saper cantare..

A Larry Gagosian invece non so che dire poiché non mi è mai interessato l'aspetto commerciale delle cose. Dei “suoi” artisti solo Cecily Brown, si salva e questo mi sembra un po' poco. E non mi interessa che racconti di Madonna che li portava in giro in macchina, lui e Basquiat. 
Basquiat e Madonna

Non mi interessa nemmeno che racconti di quando nei voli di prima classe doveva giustificare Basquiat che si fumava di tutto. Forse, se avesse agito in modo più umano, Basquiat, l'uomo, dell'artista non mi interesso, avrebbe potuto superare la soglia un po' misera dei ventisette anni. Spero solo che vada a fare un giro in Armenia, questa nazione che è un'anima e che è anche la sua origine. È uno dei pochi luoghi nei quali l'arte ha ancora una dimensione profonda. Mi piacerebbe che si portasse dietro almeno l'anima dell'amico Francesco Clemente, che tanto ha collaborato alla fortuna, se così si può definire, di un ragazzo scoppiato nel vero senso della parola e che forse avrà occasione, toccando l'anima di quel popolo antico, di “sentire” la sua mediocrità.

da sinistra: Warhol, Basquiat, Clemente





lunedì 4 febbraio 2013

Andrea Lucchesi, il genio trascurato.


manoscritto di Regensburg - T297, K297.
Il nome di "Luchese" è stato cancellato ;
il nome di Mozart è stato sovrascritto


Già quando ero un bambino, in quella Germania che mi crebbe, nel Wuerttenberg, ero molto legato alla musica classica. In casa si davano battaglia due fazioni. Mio padre che amava la musica senza parole, mia madre, italiana, che stravedeva per il melodramma. Papà andava al lavoro e Verdi and company, a un volume terribile, imperversavano. A sera, quando lui c'era, dopo cena, spesso una sinfonia, un quartetto, mi facevano compagnia in un'atmosfera più morbida, accogliente. Mio padre, quell'uomo che mio padre non era e che una malattia si portò via troppo presto … per permettergli di fare il padre, suonava il mandolino, sapeva disegnare bene e sapeva, secondo me, pensare. Ricordo quando toccavo affascinato la gobba curva dello strumento, in legno sottile, che sapeva di antico. Mai aveva la polvere che era il memento mori di Baschenis. Era un oggetto meraviglioso che veniva pizzicato con una rapidità che mi incantava e le melodie, che pensavo popolari le ricordo tutte ancora dopo un tempo che mi sembra millenni. Un giorno, già più che adulto compero un cd di Schubert. Brani che dalle sigle numeriche e dai nomi, non mi dicono niente. Già in macchina lo inserisco e parte un brano che mi commuove al punto che mi devo fermare. Leggo sulla custodia che si tratta del Souvenir de Paganini. Era il brano che spesso mi accompagnava nel sonno da quel magico mandolino e che apparteneva alla memoria delle feste dei boscaioli su in Tirolo, quando papà era un bambino. Io ero per il piano. Ero per la musica, ma papà, quel padre purtroppo quasi solo inventato, se non per i ricordi della musica e il dolore della malattia, se lo portò via un cancro che lo ridusse come un corpo dei campi di sterminio. Il pianoforte, che era entrato in casa noleggiato, per vedere se ci andavo d'accordo, era ripartito dopo un paio di settimane. Avevo sette anni. Ero un bambino. Mi fu tolta, dalla sorte, la via della musica. Mi son rimaste le parole. In quella casa grande, col mandolino ormai relegato in cima al mobile del salotto, la polvere di Baschenis, quella ditata leggera che nei suoi quadri, lasciata da un essere assente, voleva dire “ricordati che devi morire”, si era depositata e non avevo più il coraggio di prenderlo in mano, di farlo cantare.

In quella grande casa, ormai solo, la musica potevo solo ascoltarla. Furono i libri che divennero porte. Sapevo leggere. Mi inoltrai, e ora so, forse, solo scrivere.

Il legame con la musica rimase comunque forte. Era la mia arte, lo sentivo, lo desideravo. Per questo penso che, sempre mi sarà negata la perfezione. In più ora scrivo in una lingua che non è la mia prima. Nacqui nel tedesco, caddi nell'italiano. E ora accade che vivo e penso in italiano ma sogno in tedesco, e non ho più la sicurezza sufficiente per scrivere in questa lingua che mi ha visto nascere, che ha guidato i primi e più importanti passi del mio cervello. Sono fra due limiti. La vita dalla quale mi staccai inoltrandomi nei libri, e la fine che mi fugge, essendo la via dell'arte l'unica versione dell'eternità, nella quale le divinità tutte, ormai arrese, ancora credono. Non ci annientano solo perché come noi, godono del diamante di un'opera. Che sia in parole o colore o musica va sempre bene. Attendono il dono. Diversamente, quest'epoca da poco, non meriterebbe di meglio di un altro diluvio, senza avvisare un Noè, senza avvisare nessuno.

Se vi dico queste cose prima di accennare a Lucchesi, è per rendere chiaro che per me parlare di musica è una faccenda assai seria. Forse la più sentita, e ammetto che non mi sento all'altezza. Se parlo di questo signore veneto quasi sconosciuto, se non agli addetti ai lavori, è perché ho scoperto qualcosa che lo riguarda e che non deve, non può passare inosservato.

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Veniamo a quel periodo dell'infanzia durante la quale dovetti staccarmi dalla musica come aspirante mago e darmi alle parole ...

Distinguevo con facilità i vari compositori … ma avevo un problemino con Mozart e Haydn. Quasi sempre li confondevo. Non riuscivo a capire come fosse possibile. Vedete, è come confondere le voci di persone che si pensa di conoscere abbastanza bene. Mi incarognivo ad ascoltare e riascoltare quelle sinfonie cercando di mascherare la mia incapacità, memorizzando. Ebbene, dopo tanti anni ho scoperto che la mia mente era nel giusto. Quelle sinfonie erano della medesima persona. E quel che ho scoperto è enorme. Haydn esisteva come persona ma delle 256 sinfonie che risultano essere sue … nemmeno una lo è! Sono di Sammartini, e dal 1763 di Andrea Lucchesi … Le comprò il principe Estherazy che voleva dimostrare che l'Italia stava perdendo lo scettro della grande musica che così passava alla cultura di lingua tedesca. Da chi le comprava il principe Estherazy? Direttamente dai compositori, ma spesso da altri regnanti. Il signore di Bonn, che assunse Andrea Lucchesi come Maestro di Cappella si chiamava Max Fridrich. Intendeva sostituire il nonno di Ludwig van Beethoven che sembra fosse un disastro. L'altro concorrente all'incarico era il padre del celebre autore della Quinta …

All'epoca, di contratto, tutto quel che componeva il Maestro di Cappella doveva essere di proprietà del signore. Lucchesi riuscì ad ottenere una deroga parziale e vendette alcuni brani personalmente? Non lo so ancora. Accadde poi che Max Friedrich decise di morire e il successore, il Principe Elettore Max Franz d'Austria, voleva liberarsi di Lucchesi per dare il posto al coetaneo Mozart. Gli dimezzò lo stipendio, e forse ne combinò anche di peggio, ma poi desistette su “ordine” dell'Esterhazy, che temeva di perdere il flusso di opere che firmava Haydn. Mozart morì, sicuramente controvoglia, nel dicembre del 1791 e, guarda caso, Haydn inizia a produrre opere dette mozartiane proprio dopo quella data. Lucchesi, che defunse probabilmente per fare un dispetto a Esterhazy e al nobile Max Franz, permise ai falsari di dire, finalmente, che Haydn aveva smesso di comporre causa malattia. Si trattava di cerebrosclerosi, malattia che lo aveva reso completamente inabile a tutto da anni...
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Veniamo a Lucchesi.

Nacque a Motta di Livenza, in Veneto. Fu allievo di Giordano dei conti Riccati da Castelfranco. Il padre fu matematico, Giordano pure, ma anche specialista di teoria musicale e allievo di quel Francesco Antonio Vallotti , piemontese, che produsse teorie musicali eccellenti e innovative.

Giordano dei conti Riccati da Castelfranco, oltre a divulgare le teorie di Vallotti in un testo pubblicato nel 1762, si preoccupò di insegnare e Andrea Lucchesi imparò assai bene, talmente bene che lo chiamarono a Bonn nel 1771.

In quella città, di nonno e babbo Beethoven, un po' arrabbiati, si perde traccia. Si sa invece che il futuro grande Ludwig, accuratamente, da Lucchesi prese lezioni. Quando Lucchesi affrontò un viaggio di lavoro in patria, riconoscendo il valore di Ludwig, gli assegnò, fino al suo ritorno, a dodici anni, l'incarico di organista.

Un grande maestro e un allievo indiscutibilmente geniale. Con lui la musica varcò le Alpi, e poi vennero Schubert, Schumann, Brahms, Wagner eccetera eccetera.

Parte del materiale si trova nel cosiddetto “Fondo Lucchesi” presso la biblioteca di Modena.

Domanda:

Se lo so io lo sanno sicuramente i vari Muti, Abbado, Metha, Baremboim, Pappano e via dicendo. Ma oltre a fare i pavoni sui palcoscenici di tutto il mondo, non sarebbe carino mettere un po' di ordine in queste cose? Non ne posso più di vedere nei negozi la Pragher, la Jupiter e la Parisier sotto il nome Mozart per esempio!

Vedete, Per la griffe Haydn, comprava un principe straricco. Per Mozart comprava … Mozart che finì per questo, quasi sul lastrico. Lui, Mozart, qualcosa lo ha scritto, ma mi sembra il caso di fare ordine e di dare a Lucchesi quel che è di Lucchesi.

Altra domanda … se non è accaduto ancora nulla, se non si fa ordine, e fare ordine corrisponde da sempre a fare giustizia … se non è accaduto ancora nulla … mi sento nel giusto se deduco che non lo si fa perché non sembra ci sia business. Guadagno.

Sì, penso che la situazione sia questa. E quando non si rispettano nemmeno i morti …

morti che fanno un onore, una luce enorme, vuol dire che quella nazione nella quale è nato non esiste più …

ciao