Nel post precedente ho iniziato dicendo che da tanto tempo
non scrivo di Tonino Guerra.
Ora lo faccio, e sarà uno scritto purtroppo spietato. La
stima nei confronti di questo grande artista è immutata. È da altro che viene
il senso di fastidio.
Spesso intorno ad un grande si forma un circo sgradevole. Il
problema di Tonino fu che gli anni pesarono sulla schiena e sulle gambe. La
mente era sempre lucida. Accadde così che negli ultimi anni, quel circo gli sia
sfuggito di mano. C’era gente di valore e gente che non merita di essere
ricordata e, cosa che mi sorprese, ma che è umanamente possibile, gente che
avendo perso il suo valore lungo la strada degli anni si trasformò,
inconsapevolmente in problema …
Che parlino i fatti.
Con l’editore
Maggioli, Tonino aveva in pubblicazione imminente un libro che si intitolava
“Tempo di viaggio”. Un giorno me ne parla e lo vedo diffidente, scontento.
Siamo come quasi sempre, a quattr’occhi. Mi confida che gli han dato la prova
di stampa ed è piena di errori. Lui non ce la fa. Mi offro. Mi dice che i tempi
son strettissimi. La notte stessa la copia è letta e il mattino seguente gli
telefono. Alcune cose le chiariamo così e poi mi faccio dare il numero di
telefono dell’editore, parlo con un paio di persone e faccio presente che ci
sono una cinquantina e passa di errori e situazioni da risolvere. Si rimanda la
stampa di una settimana. Arrivo da Tonino. Discutiamo con la matita in mano
tutto un pomeriggio. Torno a casa, rileggo, sistemo e il giorno dopo son di
nuovo a Pennabilli. La situazione si risolve e Tonino è contento. Ci voleva
poco. Ma com’è possibile che non ci sia
stato un filtro fra l’editore e l’autore per rendere il testo presentabile? Non
perdo tempo a dar colpe a destra o a sinistra. Fatto sta che la soluzione è
venuta dal caso. Nulla era calcolato e calcolabile dalla visita di un amico.
L’età in Tonino iniziava a pesare. Era meravigliosamente lucido e brillante nei
pensieri, ma muoversi era ormai un problema. Ricordo che uscimmo per andare a
fare due passi e si attaccò al mio braccio. Volle prendere anche l’ombrello che
teneva con l’altra mano. Gli feci notare che il cielo era serenissimo e mi
confidò che lo imbarazzava farsi vedere col bastone. L’ombrello poteva passare
come un eccesso di previdenza e mascherare la situazione. Gli portai, alla
visita successiva, un bastone particolarissimo per invogliarlo. Si svitava il
pomello e nell’incavo si trovava una provetta ben tappata piena di grappa.
Dovete sapere che Tonino, anche a novant’anni, dopo pranzo si faceva un
cicchetto. Ricordo che ci si alzava da tavola mentre le donne continuavano con
il tè e i pasticcini. Ci si sedeva, lui in poltrona e io al lato del divano che
più gli si avvicinava e, dal tavolino che si insinuava fra noi, facevano bella
vista di sé delle bottiglie che contenevano dei liquori fatti in casa. Ne
versava un bel bicchierino e poi giù, tutto d’un sorso. Se l’avessi fatto io mi
sarebbero partite le pupille come proiettili. Al ristorante prendeva l’amaro e
anche questo, in un sorso, spariva. Il cervello non vacillava. Faceva poi
mezz’ora di pennichella che io riempivo di solito dedicandomi a cani e gatti e
poi si riprendeva il dialogo.
Torniamo a “Tempo di viaggio”. Il libro uscì e la copia
detta Prova di Stampa, è fra i miei
ricordi più cari.
Accade, qualche tempo dopo, che deve uscire un libro con
l’editore Bompiani. Lo vedo a disagio. “Di nuovo errori?”
“No. Stavolta è il titolo. Sembra che sarà =La valle del kamasutra=.”
“E chi l’ha scelto?”
“Non lo so.”
Il libro esce ed effettivamente si intitola così. Rivedo
Tonino. È contento dell’edizione in generale, ma il titolo non lo digerisce. Mentre
dialoghiamo è apparso in visita il curatore di questo testo. Quando se ne va
Tonino esprime a chiare parole il suo disappunto. Mi fa presente che penseranno
che è un vecchio porco e cose simili. È vittima di una stupida legge di
mercato. Gli domando se ha un’idea su chi possa aver proposto quel titolo e mi
dice che tutti sanno chi comanda in Bompiani e se lo sapeste anche voi … ma non
faccio nomi. Fa un paio di considerazioni che non riporto e cambiamo argomento.
Esiste una prova filmata di questo disagio. Il curatore lo intervista e cerca
di metterla come fa sempre sulla facezia allegra. Tonino fa comprendere
chiaramente che non conviene con la scelta del titolo, ma lascia correre. Tra
parentesi … ma quanto era sgradevole e pacchiana questa tendenza a trasformare
un incontro pubblico con lui in una esigenza di risate. Lui lo coglieva e,
entro certi limiti, stava al gioco, ma ne era infastidito.
E come mai si agiva così con l’uomo che disse a grandi come
Fellini “No, qui si fa così!” e così accadeva poiché la qualità e il senso
dovevano andare oltre ai protagonisti? Perché era anziano. Le sue energie, che
vedevo diminuire giorno per giorno, non poteva ormai dedicarle più a queste
battaglie. Ma per alcuni era più semplice usarlo. Poche ore senza la stanchezza
che si impadronisce del corpo e della mente, senza qualche malanno che chiede
il conto e sempre si paga col tempo … E scelse, com’è giusto che sia, di essere
poeta, fino in fondo, fino alla fine dedicando i momenti di forza all’arte sua.
Le varie situazioni sgradevoli le sopportava e lasciava che
avessero il loro corso indipendentemente dalla sua volontà, che sgocciolava
ormai nelle letture, nella scrittura e, mi permetto di dirlo senza presunzione,
nel nostro dialogo. Quando arrivavo, ormai, ci si rintanava in un certo
salottino e non rispondeva al telefono e nemmeno accettava visite. Arrivava con
me il dialogo sull’arte, sulla letteratura, sul cinema. Ricordo per esempio che
gli parlai con entusiasmo di Crialese e del suo film “Nuovo Mondo”. Era
incuriosito. Proprio in quel periodo, la mia copia, che volevo portargli, era
sparita quindi dissi a chi “girava intorno a lui” di procurarla e di fargliela
vedere. Non accadde nulla. Dopo mesi arrivai con una copia pirata. Tonino fu
commosso da quel film. Disse che ora l’Italia aveva di nuovo un regista di
valore.
Ci prestavamo i libri. Un giorno si parlò di favole e mi
regalò il libro che aveva fatto con Antonioni e un disegnatore eccellente. Mi
disse che apprezzava “Il piccolo Principe”. Aveva letto solo quell’opera di
Saint-Exupery. Gli portai “Volo di Notte” e “Terra degli uomini” che
consideravo i suoi capolavori. In certi periodi ci si sentiva tutti i giorni.
Prediligeva, come me, i libri vecchi alle nuove edizioni, e spesso gli portavo
copie anche vecchie di un secolo. Ci si donava a vicenda materiale col quale
evolvere. Tonino cresceva tutti i giorni. L’età era un problema del corpo. La
mente e con essa la sensibilità viaggiavano a pieno ritmo. Mi donò la scoperta
di Manganelli. Mi consigliò di leggere Emanuele Severino (e pensare che, con
me, nemmeno il nipote di questo ottimo filosofo mai lo ha fatto…), mi fece
conoscere Danelia e vedere i suoi film. Era vita insomma. Vita fino al
penultimo giorno.
Ora la sua casa è un deserto dell’anima, popolata di gatti e
di presenze trasparenti, spesso nervose.
Tutti sanno tutto e l’umiltà, che in quel luogo era la
chiave di volta, si è dileguata.
L’ultima volta, assai irritato per comportamenti che mi
hanno dato fastidio, ho consegnato l’ultima “perla”, quella che mi aveva
invitato a conservare e a spendere con cautela .... la più brillante e satura
di significato, purtroppo non solo in senso artistico. L’ho consegnata a chi, a
parole, gli stava più vicino. Forse al corpo …
La sala da pranzo dove ci si sedeva a mangiare e dove
campeggiano, ora soli e insensati, la sua poltrona e il divano era la scena di
quel, per me lugubre, epilogo. Parlavo con un’ombra.
“C’era una solitudine che non avete visto. La solitudine
dell’artista. E lui vi poneva dei trabocchetti che la confermavano. A lui solo
comunque, poiché doveva chinare il capo, ammansirvi. Dimmi a da cosa deriva il
titolo dell’ultimo libro!”
Quasi lo gridai. Ero angosciato, definitivamente arrabbiato
e disilluso. Era ora di fare cadere le maschere e creare quella definitiva
distanza fra chi fa sul serio e chi recita una parte.
“Ma lo sai da cosa viene quel titolo …”
“Io lo so! Sei tu a non saperlo! E così ti dimostrerò il
sapore della sua solitudine!”
Si fece silenzio. Attesi un poco, e poi spinto dalla
fibrillazione dei nervi, dal cuore che faceva male per un torto da Tonino
subito, e che non riuscii se non un poco a lenire … e poi dicevo, pretesi
quella risposta che spesso la combriccola dava a tutti.
“Avevo tradotto =Il Polverone= in russo con =Polvere di
sole=. Lo sai. Tonino ne era contentissimo. Gli piaceva. Diceva che
funzionava.”
“Questo è solo un frammento. Era un omaggio a Nino
Pedretti”.
Lo sguardo era sorpreso. “E’ possibile …” disse.
“Quando mi disse del titolo gli risposi che era un
bell’omaggio. Mi fece notare che ero l’unico ad averlo compreso. Bastava aver
letto, aver in fondo amato. Ecco cosa mi disse.”
“Quale poesia è?” Con quella domanda era nata l’ammissione.
Non sapeva.
“Non ricordo il titolo. Ma è facile trovarla”.
“Dice proprio =polvere di sole=?”
“Sì”.
Dopo ci fu silenzio. Qualcosa disse. Ma ormai era lontano
tutto, quella stanza, quell’avventura di fianco a un grande che mi ha dato molto
e mi ha profondamente rispettato. Lui e io ci sentivamo semplici, con una
scadenza, la fine della vita del corpo, che incombe. Solo l’idea, la poesia,
l’arte, era oltre noi. E per essa, in essa, eravamo concentrati.
Uscii da quella stanza. Da quel passato. Vento e nuvole
addosso. E nient’altro.
Era mia intenzione dire con più delicatezza questa “cosa” di
Pedretti. Di solito quando un evento vero si “metamorfosa” in mondanità, oppure
quando troppi mercanti invadono il tempio, me ne vado. In una stanza, quando
due artisti parlano, se inizia a nevicare, lo sente il cuore, e ci si ferma
incantati come bambini. Troppo rumore. Troppo, troppo rumore … per nulla.
In una data che è ancora futura, avrei dovuto tenere una
conferenza in Puglia. Argomento, il mio rapporto con Tonino. Metà del tempo al
curatore e metà a me. Avrei voluto evitare anche di incontrare questo
personaggio irreale, ma ho ceduto alla gentilezza di un amico
dell’organizzazione, ma non ho resistito e mi son defilato quando si son di
nuovo mescolate le carte.
In quel frangente, avrei voluto far capire al curatore, ma
senza farlo capire al pubblico, che non ha “curato” il libro. Io so quanto
Tonino era rattristato. “E cosa faccio adesso. Aiutami!” Tonino era in un letto
d’ospedale. Sapevo che non si sarebbe più ripreso e che l’avrebbero portato a
casa, in un altro letto, per morire. Gli dissi “Tonino, lascia perdere. Non ha
più senso. Ti ricordi la faccenda di Mozart e Haydn che avevano firmato opere
scritte da un altro? Dopo qualche secolo ci si è arrivati e tutto verrà messo a
posto. Sarà così anche per le note necessarie al tuo libro. Pensa ad altro!”
“E a cosa …” Era evidente che il suo volto si era adombrato
perché era apparso il pensiero della morte.
“Tonino, il racconto … c’è quella specie di chiesa di
ghiaccio, e adesso che faresti?”
Immediatamente si illuminò e, con decisione, disse: “Non si
deve andare avanti come una trama! Troppo facile! Dobbiamo trovare il modo di
mantenere la situazione ferma …”
e quel pomeriggio, sull’orlo di un precipizio passò sereno.
Da quando era in ospedale si illuminava quando mi vedeva.
Già a casa accadevano gesti semplici, spontanei che avevano il loro corso con
naturalezza. Da qualche tempo quando arrivavo, lo baciavo in fronte. Quando
andavo via, lo facevo di nuovo. Mi accorsi un giorno che, seduto sulla sua
poltrona, quando mi avvicinai, con la semplice intenzione di stringergli la
mano perché c’era gente, si fece lievemente avanti col busto e avvicinò la
fronte. Un movimento minimo, ma chiaro per me nell’intenzione che sottolineava
un’abitudine alla quale si era assuefatto. Era semplicità. Era bellezza.
Sapeva che avevo da
fare e molti chilometri da macinare. Non chiedeva mai. Mi disse che sapeva
quanto è triste andare a trovare un vecchio che ormai ha come solo argomento i
suoi malanni ed era pure in ospedale. E io andavo quasi tutti i giorni. Aprivo
la porta e lui era lì che si illuminava. Era bellissimo quel momento. Non
eravamo più due artisti, ma due amici che avevano livellato la distanza degli
anni e si capivano … e si donavano queste piccole cose, le uniche in fondo con
un senso.
Vi faccio sorridere. Era tenuto a dieta ferrea. Non dai
medici … mi disse un giorno “Sai, stanotte ho sognato la mortadella. Volava
come una farfalla … la fetta, ma non riuscivo a prenderla. Era così profumata
…”
“Tonino … se vuoi te la porto.”
“Davvero? “
“Certo!”
“Ma … bisognerebbe farlo di nascosto …”
E fu fatto. La volta successiva fu ben calcolata. Tonino mi
disse “Via libera!”, io attendevo in paese da un’oretta e salii con la farfalla
bolognese. Agimmo con rapidità, da complici.
“Spalanca la finestra! Che se sentono l’odore …”
“Sei coperto bene?”
“Passami quella maglia.”
E dal sacchettino la mortadella apparve. Ma qualcosa non
andava.
“Ma … io senza pane non ci riesco …”
“Non me l’avevi detto
ma l’ho immaginato. Eccolo, di due tipi.”
“Quello va bene!”
E si mise a mangiare di gusto quella fetta rotonda e grande
che avevo fatto tagliare un po’ grossa.
A reato concluso, dopo che la situazione normale era stata
ricomposta, seduto di fianco a lui,
mi disse con gli occhi sorridenti. “Non mi ammazza
certamente una fetta di mortadella, non temere! E poi se fosse, almeno son
contento …”
E poi si iniziò a parlare di Elsa Morante.
E ovviamente non fu quel micro pasto a chiudergli per sempre
gli occhi.
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Ecco i versi di Pedretti:
L’è un cièr ad aria,
un pan te zìl
‘ste mél che bréusa
Te su biènch.
L’E’ PORBIA AD SOUL
Ste témp che crèss
M’al mi murai.
L’è un sens ad véita fònda
St’érba ch’u la scavècia e’ vént
(E’ un chiaro in cielo / il melo
che brucia / nel suo bianco. E’ POLVERE DI SOLE / questo tempo che cresce sui
miei muri. E’ un senso di vita profonda / quest’erba che la scompiglia il
vento)
Mi dispiace, ora, oggi, per quel libro mal curato che si
chiama appunto “Polvere di sole”.
Ve ne racconto una sola, per mostrare il lavoro che avrebbe
dovuto essere fatto.
Il paragrafo undici si intitola “La parata di Fellini a
Mosca”.
In una situazione sognante scopriamo l’idea di Fellini per
un film. Un curatore decente avrebbe dovuto mettere la seguente nota: “Fellini
aveva i soldi per fare un film e chiamò Tonino Guerra. “Senti Tonino. Un’idea a
testa e poi facciamo la migliore!” Federico propose la parata. Tonino il
funerale della cantante lirica su una nave. Fellini scelse l’idea di Tonino e
si ebbe quel capolavoro che è “E la nave va”. Si era suggestionati dalla
recente dipartita di Maria Callas. Tonino Guerra però si rese conto della
“bellezza” dell’idea di Fellini e per anni se la girò e rigirò nella mente fino
ad averla definitivamente fermata in questo scritto.
Pag 166. Il brano intitolato “Il rubino”. Contiene il
“gesto” finale del Film “Solaris” ideato da Tarkovskij e tanto amato da Tonino.
Pag 139. Da “Saiat Nova” di Paradjanov
Pag 168. “Un raggio di sole”. Fatto veramente accaduto e che
merita di essere raccontato per esteso. Ma almeno sapere che è vero!!!
Mi fermo qui. … Io ora son nervoso, stanco e ho bisogno di
tornare a me stesso, alla gioia dolorosa che è scrivere, al piacere unico, al
senso di completezza, di sintonia col tutto che lo scrivere mi dà.
Che qualcuno metta ordine, per favore. Io poi, non sono in
grado di cogliere tutti gli agganci con la realtà, tutti i momenti che son
storia, perché di storia si tratta, ed interessa a tutte le persone sensate,
quando si racconta dei rapporti fra Tonino, Flaiano, Antonioni, Fellini, Rosi …
e l’elenco sarebbe enorme, perché perfino coi Beatles ha cenato e avuto a che
fare, e coi Pink Floyd, solo per citare qualcuno.
… Eppure, nella sua vita piena di fatti che meritano un
sorriso o almeno un ricordo, amo salvarne uno per chiudere queste pagine
strappandovi un sorriso da legare al suo che ricordiamo anche nella sua famosa
pubblicità sull’ottimismo ...
Abitava a Roma in piazzale Clodio. Attraversò la strada
assai trafficata e una macchina grande e nera quasi lo investì. Aveva lo sguardo
arrabbiato. La schivò per un pelo e si trovò al suo lato. Guardò dentro e con
stupore vide papa Giovanni Ventitreesimo. Eran ambedue perplessi. È evidente
che il papa aveva compreso che l’autista aveva sbagliato qualcosa. Alzò la mano
destra e impartì la benedizione …..
E … me ne viene
un’altra. Tonino sul suo letto ultimo, a Santarcangelo. L’appartamento dava
sulla piazza e anche la finestra della
sua camera. C’era festa e molto rumore. Qualcuno decise che a Tonino dava
fastidio e scese per ordinare che la cittadinanza si contenesse un po’ il che,
com’è ovvio, non avvenne.
“Ma Tonino, ti da veramente fastidio?”
“Per niente. È la vita che viene da me. Ha capito che io non
posso più andare da lei”.
E un ultimo pensiero.
C’era una persona che lavorava in un ristorante che si
chiama Zaghini. Era capace di fare la strada fino a Pennabilli solo per portare
un manicaretto a Tonino. Negli ultimi tempi, per rendere appetibile anche una
sola goccia di brodo, inventava dei capolavori. Venne per salutarlo. Erano
molto amici, di quell’amicizia semplice e profonda come aveva per Gigi, Gianni
e Carlo. Fu lasciata fuori. Tonino non
l’ha mai saputo, lui non l’avrebbe fatto. Con lui anche la Loren si trasformava
in una persona semplice. Penso a quella stima sincera. A quell’amicizia di
vecchia data, al desiderio di salutarlo dopo essergli stato vicino tanto. Ma
qualcuno, e io so chi, disse di no. E non lo perdono. Ciao Angela, buoni i tuoi
cappelletti! Anche Mastroianni me ne parlò quando ancora non ti conoscevo!
…Ciao.