Son tornato da Roma. Sugli Appennini immaginavo i lupi con la borsa dell’acqua calda, rossa come quella che ho a casa.
Arrivo a Pennabilli, dialogo con Lora, liscio i gatti e vediamo, dopo cena, un programma della televisione russa dedicato alla Achmadulina. Morta da un anno.
Mi rendo conto che l’ho conosciuta.
Per me fu l’incontro con una gentile signora russa. Solo ora mi rendo conto di cosa ha fatto. E mi guardo con stupore la mano destra, anche ora che sto scrivendo. Questa mia mano che ha stretto la sua, e la sua che ha stretto quella di Nabokov, Brodskij, di Tonino….
Ma ti rendi conto, vita, che se non ci fosse la fantasia a mettere ordine secondo le regole del cuore, troppi fatti sarebbero ridotti al minimo, alla loro meccanica fatta di tendini che si tirano e si rilassano e di ossa che reggono l’urto?
E forse, in questo periodo un po’ sgangherato la fantasia, come un uccellino che si ritrova chiuso in una stanza, non sa uscire dai muri d’osso del cranio. Sbatte contro le vetrate ancora annebbiate, degli occhi. Forse la sua via è dall’orecchio, quello stretto tunnel che si apre a Bach e Scriabin, o l’olfatto che si fa sedurre da quel che meno mi aspetto, come per esempio ora, il sapore del vento, carico di erba e terra umida.
Lora fa preparare l’appartamento vicino a casa. Vado a vederlo. Bellissimo. E dalla finestra vedo il prato quadrato con al centro un mosaico con la farfalla di Tonino.
Ma è troppo freddo…
Torno, prendo una bottiglia vuota, la riempio di acqua caldissima e la abbraccio con affetto.
Lora fa preparare un altro letto al primo piano.
Era ed è “il loro letto”. Sprofondo come un bambino nel piumino morbido. Un gatto bianco mi augura la buona notte. Dopo poco anche Lora, e accade che, una volta che veramente solo, la stanza si fa barca nel vento.
Laggiù, nel giardino, ci deve essere un sensore che scatta quando l’aria si fa più forte e i rami, vicinissimi alle due finestre, si agitano. Nel loro gioco di ombra e verdi scuri e poi fiammanti, sembra dicano “veniamo a prenderti!” ma non riescono nemmeno a battere nei vetri e i muri grossi della vecchia casa mi danno sicurezza.
Non posso! Non voglio dormire… ma poi crollo e sogno elefanti vestiti Missoni che fan la fila nei negozi di Pennabilli. Sono seri e dialogano a bassa voce fra di loro. Uno ha cappello e sciarpa e sembra Tonino. Osservo bene e mi trovo e, come accadeva quando venivo da lui e non osavo mettere niente di quel caro stilista per non sembrare imitatore mi si nota perché sono l’unico azzurro.
Ieri sera, dalla valigia di Roma ho tolto la cosa più grossa ed era un cardigan del caro stilista con le sfumature del ghiaccio e dell’azzurro. Lora ne usava uno color sottobosco come quelli di Tonino e, nella casa color sottobosco, i pensieri, la fantasia ancora un po’ malata di questi giorni così emotivi, trasformano di nuovo e ancora, con troppa incontrollabile immediatezza, le emozioni in immagini strane.
Nel sogno con gli elefanti vestiti Missoni io, elefante giovane in camicia di jeans, incontro il mio cane, la mia Mafalda, vestita Missoni anche lei, che passeggiando con Baba, il Golden di Tonino e Lora, torna dall’ “orto dei frutti dimenticati”, posto che adorava e non vedo perché non possa amarlo anche ora solo perché il corpo se n’è andato.
….. e mentre sorseggio il caffè, Lora mi racconta che quel letto, nel quale ho navigato nel ventre della casa in questa notte di vento, è quello che il cast del film “Matrimonio all’italiana” regalò a Tonino.
E li, dove il mio corpo si è fatto bambino per un’altra notte, il corpo di Marcello che ho stimato infinitamente e mi stimava, e quello della splendida Sofia, si son fatti anima e poi congiunti creando parte delle visione che, lo so già, avrò negli eterni domani. Il contatto anche dopo anni, avviene. Le molecole, prima che accada a noi, si riconoscono, si salutano e chiedono come va e qualcuna rimane sempre, ovunque passiamo, come polvere che lasciamo. Lo so che è così. Lo sa certa fisica che parla sempre solo di particelle e mai degli insiemi di particelle che noi siamo…..
Ed ecco che la mente parte grazie all’appunto di Lora a proposito del letto.
Eccolo li, leggero come una fiammella, Marcello che mi racconta ancora di Mastrorna. Di quella idea mai divenuta film, di quella valigia che Fellini veramente vide nella sala d’attesa di un aeroporto. E l’aereo irreale che atterra nella piazza davanti al duomo di Colonia. Viaggio nel regno dei morti.
Immagino ora un mondo di eterni che mi accoglie su quella piazza col duomo appuntito….
Eh sì….. ho pochi vivi intorno, da sempre, e ora la Lispector, la Nemirovsky e un timido Flaiano a braccetto con Tonino, mi guidano in quella che al mondo pare la mia inquieta solitudine…
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