Questa mattina, 28 aprile, la lettura
del titolo di un articolo del “Corriere della sera”, mi ha dato
una scossa positiva. “Scrittori Usa contro Charlie Hebdo”,
scritto da Giuseppe Sarcina, che ringrazio per avere dato spazio ad
un argomento che secondo me è molto importante. Non mancherò di
inviagli questo scritto come ringraziamento e lo invito a parlarne
ancora.
Non ho letto subito l'articolo e i
motivi erano due che si davano vicendevolmente forza. Primo, dovevo
terminare la rilettura di un'opera alla quale sono molto affezionato
e sentivo il dovere di mantenere la mente e il cuore liberi per quel
solo compito. Secondo, ammetto di avere gustato con la mente a
priori, dicendo “finalmente!”, come i veri golosi, il contenuto
dell'articolo; ho così accettato di martoriare il palato della mente
con la presenza tattile e visiva dell'oggetto agognato per divorarlo
poi, una volta raggiunto l'acme del desiderio.
Verso l'ora del te, il testo di Canetti
era riletto meditato e parzialmente digerito. Il resto della
comprensione, forse, lo compirà la parte non consapevole di noi,
quella in contatto con paradiso, inferno o, se si è degni, con le
muse.
Ebbene. Ho così letto l'articolo e mi
ha colto un disagio, certamente lieve, ma che mi ha fatto sentire
come l'arciere di Eugen Herrigel, sicuro di sé, ma che scocca
distante dal centro, anche se in una zona dignitosa del bersaglio.
Prima di parlare dell'articolo dico
cosa penso del caso delle vignette satiriche contro Maometto: secondo
me il problema non è partito dalla strage di Parigi, ma da una
mancanza di consapevolezza storica sull'azione di chi, in precedenza
ha iniziato a satireggiare pesantemente su
uno dei simboli più sacri dell'Islam.
Mi presento anche, poiché secondo me
un testo che mira ad essere utile alla comunità, deve chiarire la
posizione di chi scrive per poi poterla confrontare con l'elaborato
prodotto.
Sono europeo. Non mi sento italiano
anche se di madre lo sono, ma all'estero capita troppo spesso che
preferisca parlare un'altra lingua.... dell'Italia, Come ebbe a dire
la Hannah Arendt della Germania, mi rimane la lingua, nella quale
penso e scrivo, anche se so che mi basta un poco di soggiorno in
un'altra terra che non è necessario citare, per pesnare in un altro
idioma. Attualmente so di sognare in due lingue quindi, per risolvere
l'ambiguità, amo definirmi europeo, a nessuna realtà nazionale
perfettamente somigliante, ma ad alcune vicina e mediamente appunto,
europeo.
Dal punto di vista religioso dico,
spero con umiltà, che nonostante non sia più un ragazzino da
“qualche mese”, non mi sento pronto per dare una risposta. Ogni
tanto ho una sensazione immensa che mi pervade e mi fa dire che non
può non esistere, che è assurdo anche solo supporlo, ma poi, calato
nella quotidianità, che è gretta per tutti, l'idea di Dio, svanisce
e rimangono atti dei quali sento pesantemente la banalità. Non laico
e nemmeno credente. E penso che non si tratti di decidere e di agire
per categorie logiche. La religione ed il sentimento sfuggono a
quelle sequenze, che chiamiamo razionalità.
Ebbene, questo essere che io sono,
ancora in divenire su tante, troppe cose, un punto certo sulla
religione ce l'ha, ed è il seguente. Questa epoca è piena di
credenti, e chi ipocritamente ignora la loro esistenza è a dir poco
ridicolo. Negare l'esistenza di Dio, e di conseguenza farsi beffe di
chi crede come se fosse un inferiore, capita spesso in Francia e in
Italia, aree culturali “sinistrate”, nel senso che sono state
rovinate da una sinistra che ha dettato legge imponendo le proprie
idee anche in campi che non le competono. In generale Dio, nelle sue
varie forme, ha sofferto anche un discreto attacco da quando la
scienza e la tecnica hanno proposto, direi quasi quotidianamente,
delle novità in tutti i campi. Si vive meglio e più a lungo, e
siamo calati in una consapevolezza, indotta da più di un secolo e
mezzo di eventi continui ad un ritmo elevatissimo, che pensiamo si
migliorerà ancora e infinitamente. La prospettiva di vita che si
allunga sempre più è l'arma che più rende coraggioso un essere
comunque mortale; talmente coraggioso, e in questo secondo me appunto
ridicolo, da avere il coraggio di negare l'esistenza di Dio. Non si
nega il dubbio. Il resto è vita!
Quel primo vignettista che sbeffeggiò
Una figura sacra dell'Islam, secondo me ha mancato di rispetto verso
milioni, anzi miliardi di persone, che hanno una visione della vita
molto diversa da quella che impera in occidente, un occidente che
troppo spesso si ricorda di Dio solo quando la morte bussa alla
porta. Ritengo quindi che, indirettamente, abbiano offeso i credenti
islamici, ma anche messo a disagio i fedeli di altre religioni poiché
è evidente che nessuno di loro si salva da questo ostentato
disprezzo.
Antonioni, Flaiano e Guerra, nel film
“La notte” avevano dato forma a questo aspetto assurdo fatto di
morte e assenza di fede. Nelle prime scene vediamo un'auto che gira
in città. Si sentono tutti i suoi rumori di vita. La vettura passa
un cancello e si entra in un parco con un silenzio assordante che ci
conduce ad un edificio che, anche se non sembra, è una clinica. Il
malato è in una stanza tutta di design d'avanguardia. Sembra un
hotel. L'ospedale come lo immaginiamo noi ad un certo livello sociale
non esiste … il malato sta bene in apparenza. Brinda con in due
amici in visita. Calici, Champagne, infermiere top model ... sa che è
l'ultima volta che li vedrà. Sa che sta morendo, ma nulla, tranne le
sue parole, preparano lo spettatore alla morte.
Ecco la nostra epoca, ben delineata da
un capolavoro degli anni sessanta. Ricordo quella scena iniziale, con
Marcello Mastroianni e la Vitti, perché il suo messaggio è tremendo
e, più passa il tempo, sempre più vero. Chiesi a Mastroianni come
aveva recepito quella parte. Sapevo che lui amava discutere a fondo
prima di recitare e mi disse che quei due maestri di sensibilità,
Tonino e Flaiano, lo sconvolsero, nonostante il dialogo fosse stato
spesso al ristorante, apparentemente leggero e umoristico. Ma quando
la sera chiudeva la porta della camera e pensava alla scena da girare
l'indomani, allora, sentiva un'enorme responsabilità, perché quel
significato immenso non doveva sfuggire a nessuno.
Ecco una delle povertà dell'occidente!
In un sistema di vita senza morale, morire diventa spaventoso. Ma
anche vivere, e la religione, per quanto possa sembrare a molti un
qualcosa di opprimente e arcaico, offre una definizione chiara di ciò
che è bene e ciò che è male e permette, ai suoi adepti, di saper
cosa fare nella vita. Se qualcuno ha dei dubbi valuti le statistiche
dei suicidi di ogni stato occidentale e li confronti con i medesimi
dati di stati o comunità islamiche; quasi zero il dato in queste
ultime ... Intorno ad un ente che offre una morale, si struttura
immediatamente una comunità. L'occidente comunità non è, il
corollario è evidente. Conta solo il profitto e le leggi, per chi è
un poco addentro alle “cose”, oltre un certo livello, sono solo
apparenze.
Una cultura così amorale, poiché
credere solo nell'incremento del proprio capitale, morale non è, una
cultura del genere, che oltre il resto sbeffeggia sistemi che una
morale ce l'hanno!
Volete vivere così? Viveteci pure, ma
lasciate vivere anche chi diversamente crede! Ecco quello che penso!
e diventa quindi un comportamento sgradevole, maleducato,
condannabile, produrre vignette che offendono il senso del sacro di
tantissime persone e di comunità intere.
Questo non vuol dire che io abbia
approvato quel che degli estremisti hanno fatto a Parigi con dei
mitra. Sono contrario alla violenza. Concepisco e controvoglia, solo
la legittima difesa, quindi condanno quel gesto come condanno tutti
gli estremismi.
Però penso anche che la satira debba
avere dei limiti. Se per esempio faccio leva continuamente
sull'omosessualità di un politico, agisco secondo me scorrettamente.
Se prendo in giro un ebreo per i suoi cernecchi sono banale.
L'umorismo deve sapersi affrancare dalla cattiveria gratuita. Le
riviste satiriche sono poche secondo me, e dovrebbero scatenarsi per
mettere in risalto situazioni sulle quali, in fondo, c'è ben poco da
ridere. Ma sembra che non sia così. Troppo spesso, le due celebri
riviste francesi, non mi hanno fatto e non mi fanno ridere e nemmeno
sorridere, e trovo volgarità o attacchi che non comprendo, in fondo
perché non c'è niente da comprendere.
Sai che un miliardo e passa di persone
credono nell'Islam e sbeffeggi il loro profeta? Allora secondo me
meriti di essere punito. Ma prima di tutto con un dialogo
costruttivo. E mi immagino come condanna concreta, un po' di vita
vera, per esempio a fare l'operaio in fabbrica o roba simile.
Due categorie sono un mondo a sé che
purtroppo non ha nulla a che fare con la vita. I potenti (i ricchi ne
sono una sottocategoria, illusa di contare qualcosa ma sono
altrettanto fuori dalla realtà. Il ricco potrebbe non essere potente
e il potente se vuole può essere ricco, ma il suo intento è ben
altro …) e quegli intellettuali che, con un buono stipendio si sono
tirati fuori dai problemi della quotidianità spesso a vita. Questi
intellettuali sono in grado di fare pettegolezzi sul loro ambiente,
ma dal mondo esterno si sono esclusi. Il prezzo di una ignava
sicurezza è l'uscita dalla propria epoca. Triste. Assai triste.
Veniamo ora all'articolo di Giuseppe
Sarcina che, insisto, ha il merito di averci fatto sapere che non
tutti sono Charlie Hebdo, come andava di moda scrivere e dire subito
dopo l'attentato. Io per esempio “non sono e non mi sentirò mai
Charlie Hebdo”, poiché avrei condannato quelle vignette causa
mancanza di rispetto di un valore molto profondo per più di un
miliardo di persone!!!
Ma non ho avuto il coraggio di dirlo e
non me ne vergogno. “A botta calda” sarei sembrato troppo
controcorrente. La reazione è stata emotiva e i media così l'hanno
gestita.
Ogni evento, se visto e vissuto troppo
da vicino e in più, se ci si lascia guidare appunto dai media, perde
di lucidità. Sono i nervi a gestire la situazione. Ma ora siamo
distanti dall'accaduto. A livello di tempo esso è ancora assai
vicino, ma la quantità di informazione giornaliera è talmente
esagerata che è come se quel sanguinoso e triste attentato fosse
distante ormai vent'anni.
E ora, un gruppetto di scrittori, sei
per l'esattezza, negli Usa, dagli Usa, “si mette di traverso” per
l'assegnazione del premio “Freedon of expression courage”
edizione 2015. In data ventisette marzo è stata decisa
l'assegnazione. Fra poco ci sarà il ricevimento e il giornalista ci
mostra le cifre per la manifestazione e per il pranzo che “sanno”
solo di evento mondano (e questa sottolineatura non è superficialità
da parte sua, ma critica spietata ...) e la danarosa premiazione, ma
sembra che tutto sia stato sospeso perché Michael Ondaatje, Peter
Carey, Teju Cole, Francine Prose, Rachel Kushmer e Taiye Selasi hanno
rifiutato di aderire. Dei motivi, poco sappiamo dall'articolo.
Immagino che ognuno di questi scrittori abbia una sua idea precisa e
vorrei conoscerla. Sappiamo qualcosa solo di uno di essi che avrebbe
motivato la ripulsa verso quella premiazione perché ci vede la
segregazione sociale attuata da una Francia, definita culturalmente
arrogante, verso una parte della sua medesima popolazione. Carina
come versione. A me sembra talmente diluita! … immaginate di
ricevere una torta di ottimo sterco, bella fumante, e voi vi
lamentate perché le ciliegine sono troppo dure. Una cosina simile
per intenderci. Io lo dico chiaro e tondo. Nel 2015, ci sono miliardi
di credenti, e trovo volgare negarne l'esistenza perché si è laici
e permettersi di conseguenza di dissacrare. Il sacro esiste ancora
per tantissima gente. Allo stesso modo ho visto vignette irriverenti
verso la figura di Cristo. Il problema è quindi di un gruppo di
persone che ritiene di avere la verità in tasca e irride chi non la
pensa allo stesso modo.
E', come ho accennato, anche una
questione morale e porto un esempio per spiegarmi in modo un po'
deciso. Penso a quella finale dei Mondiali di Calcio fra Francia e
Italia e ad un calciatore italiano, Materazzi, che insulta
ripetutamente in campo Zidane. Il francese ha reagito e ci sta
l'espulsione, ma un italiano secondo me dovrebbe avere il coraggio di
dire che non si riconosce nel modo di agire di Materazzi. Vincere
deve avvenire secondo delle regole e l'educazione, anche se non è
scritta, non può essere trascurata! Avrei immaginato, in un paese
civile, che una volta rientrato in Italia, quel giocatore si vedesse
escluso per sempre dalla nazionale. E invece non è accaduto niente.
L'importante è vincere, non importa con quali mezzi. Ecco una grave
carenza di principi morali. Questo gesto che non ebbe conseguenze
alcune, è per me esemplare. Ma si sa che ormai l'occidente
industrializzato non ha più individui, ma solo consumatori. La
cultura viene allontanata sempre più dalle esigenze strutturali di
questi stati, ma solo un essere colto, preparato, è in grado di
pensare e forse anche dedurre il rispetto e agire democraticamente!
Un'ultima parola per Rushdie. Ha
deplorato questa mini ribellione. È arrivato a dire che allora il
Pen Club non ha più senso. Ma chi è Rushdie? Per me che l'ho letto
è un emerita nullità. Libri banali. È estremamente soggettivo, lo
ammetto, ma il valore per me è un po' diverso dalla moda ...
E poi, non sopporto che menti che
devono essere totalmente libere per creare, siano tesserate in
qualsiasi modo. Che sia la Coop o un partito o il Pen Club non mi
interessa. Ammiro personaggi come Kafka e la Ortese che hanno parlato
chiaro al mondo, lo hanno vissuto e frequentato la loro epoca e i
suoi individui, ma poi in solitudine hanno creato le condizioni per
far esprimere l'io interiore! La vita mondana fa perdere tempo. Ad
una conferenza ricordo che provai un forte senso di fastidio per i
continui applausi; ad un certo punto dissi “per favore. Un applauso
trasforma un evento come questo incontro in uno spettacolo. L'arte
vera non è spettacolo. Cerchiamo di usare tutti i momenti di questo
incontro per darci qualcosa di vero. Non mi interessa l'apparente
senso di sazietà che da l'applauso!” Ero a Pennabilli, ospite di
Tonino Guerra. E terminato l'incontro, nel giardino della sua casa si
fece notte dialogando un po con tutti, con tutti ... con tutti.