venerdì 3 giugno 2011

Carl Sternheim: Libussa




I vari titoli che ho gettato nella mischia durante la scrittura degli altri post, e per ora, non ho approfonditi, in futuro saranno spiegati nel senso che ormai sapete: ovvero perché li amo. Non necessariamente in arte, una scelta deve essere razionale e non mi va di esserlo troppo. La mente da sola fa dei danni, come il cuore, se fa per conto suo e, se abbiamo passato i tre anni di età dovremmo averlo ormai compreso. Come tante lezioni della vita, l'importante non è solo averle vissute, ma non dimenticarle....

In questo post propongo “Libussa” di Carl Sternheim.
Se amassi agire per categorie, che è la medesima cosa che dire per compartimenti stagni, vi dovrei dire per esempio che era un espressionista tetesko, e invece penso che sia il caso di iniziare a scoprire questo gioiellino di libro, prendendo una via per nulla secondaria ma che troppo spesso vien trascurata.

Iniziamo dicendo si qualcosa di questo autore, ma un qualcosa che va scovato, che non appare immediatamente alla mente, ma quando appare....brilla per la sua unicità, per il suo splendore.
Se si prende in mano un qualsiasi volumetto della collana Meridiani Mondadori, dedikato a Kafka, si scoprirà che nel 1915 questi “riceve il premio letterario Fontane”... strano. Di solito ci dicono che un premio lo si vince e in questo caso invece lo riceve.... La traccia è comunque troppo labile per rivelare qualcosa. Il sottoscritto che, se non lo si è kapito lo ri diko, ama moltisssssimo l'opera di Kafka[1], trovò poi nel volume fotografico “Franz Kafka e il suo mondo”[2] la seguente informazione un poco più estesa ma già sufficiente per stupirsi: “...Carl Sternheim, cui era stato assegnato il premio Fontane, decide di cederlo a Kafka.”

Penso che ci sia di che fermarsi e meditare. Vi è mai capitato di sentire una cosa simile? Immaginate: una persona vince un premio letterario che oltre il resto nella cultura tedesca ha la sua importanza e decide di consegnarlo ad un altro. Entriamo ora nella mente di quest'uomo almeno per ipotesi; egli scopre di avere vinto ma sa anche che fra i candidati Kurt Wolff, un editore, aveva proposto anche Franz Kafka. Carl Sternheim ci pensa e decide che non c'è paragone: “quel tipo di Praga è più bravo di me, va oltre a quel che io so dire, quindi non è giusto”, e trasforma il pensiero in azione.

Penso che davanti all'esemplarità di quel gesto il minimo che si possa fare sia di mettere immediatamente il cappello solo per poter fare il gesto umile di toglierlo davanti al piccolo libretto che vi sto proponendo.

Vedete, ha fatto una cosa semplicemente giusta e, badate bene, Carl Sternheim non era proprio l'ultimo arrivato e il libretto che vi consiglio, “Libussa”, lo dimostra.

Io ci sento, in quel gesto, il piacere di essere parte della comunità artistico letteraria, ma senza egoismo. Carl Sternheim sapeva di essere fra i migliori della sua epoca, ma non si preoccupava di essere il migliore in assoluto  perché non ha senso. Il presente del quale Sternheim e Kafka facevano parte, poteva intuire qualcosa, ma non certo comprendere tutto[3]. Il presente, fatto di una massa di esseri pensanti, vive intensamente e solo ...nel presente, e non è certo esente da reazioni emotive, da deragliamenti per improvvisi bui spettrali che possono per esempio chiamarsi Nazismo o Stalinismo o l'ombra di un finto grande che va solo di moda.

Qualche esempio notevole di improvvisi black out artistico letterari? Eccoli.... Fra le due grandi disgraziatissime guerre, Irene Nemirovsky[4] era nota e fu un caso letterario che fece assai discutere la Francia e la comunità ebraica internazionale, pubblicata oltre il resto da Grasset, il medesimo di Proust. Morì di malattia in un campo di concentramento e fu letteralmente dimenticata. È riapparsa quasi per miracolo in libreria qualche anno fa per un caso fortuito che racconterò in un'altra occasione, ed è come rinata, dal nulla in cui era caduta, per la seconda volta. Tutto quel che questa donna ha scritto, vale men che molto e fate caso che nel secondo dopoguerra, molto modaiolo e parigino, lei sparisce completamente....
Un altro caso di oblio quasi totale.... Isaac B. Singer[5], vinse il Nobel e ci tenne sempre a dire che il fenomeno non era certo lui, ma il fratello[6]. Gli credo, indago, e scopro l'opera di Israel Joshua Singer[7]. Eccellente. Penso che sia noto solo agli addetti ai lavori e ai suoi confratelli di religione. Triste, non trovate?
Non sto parlando di mezze cartucce....

Carl Sternheim merita di essere ricordato, secondo me, anche solo per quel gesto onestissimo. Il tempo gli ha dato ragione. Kafka è un caso unico ed eccezionale nella letteratura mondiale. Quanti secoli dovremo aspettare per vedere di nuovo una rinuncia simile?

Vedete, se esce un capolavoro, sarebbe auspicabile che gli venissero assegnati tutti i premi...ve l'immaginate “Anna Karenina” in libreria e i premi a robetta che ormai abbiamo, giustamente obliato? È accaduto...accade sempre.

Portiamo un esempio che scoperchia il pentolone di skifezze che sono per esempio i premi Oscar. Gli Stati Uniti si ritrovano un fenomeno come Clint Eastwood. Di oscar ne ha vinti e secondo me meritatamente. Ma poi ha stufato, non noi certamente, ma quella “strana accademia”. Esce un film come “Gran Torino”[8] per esempio, e non viene nemmeno preso in considerazione. Il motivo è ridicolmente semplice. Si tratta di confezionare un'operazione commerciale complessa della quale l'Oscar non è che un apice di visibilità accuratamente calcolato. Darne tanti alla stessa persona infastidisce[9] una mentalità che non ha nulla di artistico se non per pura coincidenza involontaria. Ed ecco che vediamo un film di Bollywood, qualcosa di una banalità insultante, che stravince. Si rimane stupiti ma, se non si dimentica e si fa qualche collegamento...., si scopre che quest'anno, nel 2011, si può comprendere. Aprire al mercato cinematografico indiano ha permesso agli attori americani di essere richiesti anche la. Per non parlare dell'incremento di distribuzione del prodotto holliwoodiano in India.

Un altro esempio un po' più solforico.
Correva l'anno 1960. Era maggio. L'organizzazione del Festival di Cannes aveva letteralmente costretto Simenon a fare il presidente di giuria. Già sorprende tutti dicendo che non vuole rimborsi spese per l'alloggio e poi, quando si riunisce la giuria, invita l'emissario del Festival che voleva sedersi con loro, ad uscire. Simenon aveva letto il regolamento..... Nella giuria, tanto per descrivere com'è il mondo del cinema, c'era anche Henry Miller al quale non gliene fregava niente di esserci. Dopo due riunioni disertò e si dedicò alla sua passione, il ping pong. I festival vogliono nomi noti... ma il punto è che oltre il nome il resto è d'ingombro. Non vogliono altro La giuria era divisa fra... sentite un po': “La dolce vita” di Fellini (meglio dire Fellini e Flaiano...) e “L'avventura” di Michelangelo Antonioni. Prima della riunione finale, il fondatore del festival e Simone Renant (dell'organizzazione), dicono a Simenon che, per ragioni diplomatiche è indispensabile che gli americani si portino a casa almeno un riconoscimento importante. Simenon fa invece l'onesto. La spunta Fellini per due voti (ma in fondo uno poiché il pingponghista gli aveva dato anche il suo).
Risultato eccellente. A Fellini la palma d'oro appunto e ad Antonioni il premio speciale. Col senno di poi si può dire che fu un festival che fece centro, non credete? E non perché erano due italiani. Quei due film sono dei capolavori. Per chiudere, Simenon ricorda che da quella volta, non fu più chiamato a dirigere dei festival e le sue scelte furono strafischiate da un pubblico che forse aveva carburato a sangria e non era in grado di distinguere un film di Vanzina da un capolavoro.

Morale. Pensi? Sei onesto? Fuori.
E per Nemirovskij e Israel Singer la morale è stata per anni la seguente: siete geniali? Echissssssenefrega!

Scopriamo l'acqua calda e lo sappiamo. Ma andiamo avanti.
Mi diverte precisare che sembra che qualcosa stia cambiando. Quest'anno (2011) la preparazione della cinquina del Premio Strega, è stata complicata dalle lettere di alcuni scrittori che non ne hanno voluto sapere di partecipare. Che sia una crisi di onestà intellettuale? Ci pensino gli editori a “curarla”, poiché è strarisaputo che sono loro a fare e disfare tutto in quel contesto.

Ebbene, dopo questo elenco, che è striminzito ma potrebbe essere chilometrico e penso, credo, anzi, sono certo che anche voi abbiate tante cosucce di questo tenore da raccontare...ebbene, dopo questo elenco, ma quanto brilla questo Carl Sternheim! Non trovate?

 E pensate che nel piccolo libricino edito Adelphi, colorato di una sfumatura molto elegante di rosa, di questa notiziola non se ne parla.

Veniamo al testo.
Va detto che è una cosina breve, di appena novanta pagine (anzi, il testo inizia a pagina nove, quindi ancora meno) ma non si pensi che sarà una lettura veloce. Sfido anche lo stitico più incallito a dargli fondo in una seduta.

Vedete, il problema è che siamo abituati a leggere cose troppo sempliciotte e superficiali. Carl Sternheim, non fa capriole da circo con le parole. Il suo linguaggio é si lineare, ma il contenuto è intenso, pesa. Non ci si può distrarre.

Esempio. (abbiate pazienza, ci vuole). Quando il prezzo del “Codice da Vinci” è sceso, nei mercatini dell'usato, sotto il valore di un caffè, ho fatto questo investimento. Alla pagina ventidue ho sospeso la lettura, mi sono avviato verso il bidone dell'immondizia e l'ho consegnato all'oblio. Solo ventidue pagine son bastate per comprendere che può essere letto senza pensare e si ricordi che ricordare non è pensare ma è materiale per farlo quindi da questa assenza parte una catena delirante che porta alla banalità ne ala fama di personaggi come il nostro simbolico Emilio Fido e tanti altri!
In quelle pagine un tipo muore lentamente per una pistolettata in pancia. Dialogano. L'assassino è un albino (perché albino? non c'è motivo ma fa scena) che zoppica (scopriamo poi che ha un cilicio, non cercate un senso nemmeno a questo. Deve solo stupire e quello stupore durare un attimo. Equazione, è un credente notevolmente compreso chi porta un cilicio. Ok, siamo tutti miscredenti. Grazie Dan per la lezioncina d'alta scuola). Del resto già non ricordo più nulla. Solo azione. Zero pensiero. Vende, anzi, ha venduto (e ora è ormai dimenticato, fagocitato, digerito e...e cosa viene dopo che non ricordo...?) a quel pubblico, che copula molto e senza contraccettivi, e aveva senza ogni dubbio i nonni intenti a fischiare al Festischifal di Cannes nel 1960....
Mi domando...ma che gusto c'è a mettersi nel cervello nozioni che si ammucchiano e si dimenticano senza un fine, un costrutto ma che comunque, anche se per un periodo limitato creano un bell'ingombro? Capisco, ma solo fino ad un certo punto, i lettori di gialli anche più dozzinali. Una volta che hai scovato il colpevole non c'è più gusto ma almeno hai mosso qualche ingranaggio e capita, anche se rarissimamante che questi libretti siano scritti bene. Anche nel “Codice” c'è qualcosa da scoprire, ma come mai, se un minimo si pensa, abbiamo la sensazione dopo una ventina di pagine che si tratti di una clamorosa stronzata? (non si può dire ma lo dico! Ho sempre asserito e qui lo ripeto, che la volgarità è spesso nell'atto e non nella reazione che esso fa scaturire. Quel libro è una volgarità bella e buona, tempo perso e sapete quanto vale il tempo, e quel vocabolo un po' colorito e odoroso, in confronto, ha il gusto squisito di un bacio Perugina...).

Ho letto di recente, oltre il resto, che il patron della Marsilio è tutto fiero perché pensa di avere scovato un altro “fenomeno” come Dan Brown (con questa notiziola cosparsa del mio acido mi son confezionato un nemico che sarà fiero di ignorarmi....ma chissà se si accorgerà che mi ha già pubblicato in combutta a un “mangione” che fa anche il critico d'arte in tele, fra una digestione e l'altra e se la cava pure bene /non solo a tavola.../!).
Consigliargli di cambiare mestiere pare brutto? Ma la neuro non lavora proprio mai? Che ci sia la crisi lo capisco, ma certe persone son pericolose. Un bel clisterino da venti litri tutte le mattine per un annetto, con due foglie di mentuccia perché la sensazione di fresco gliela diamo come prova che qualche speranza nella sua guarigione la coviamo...vi sembra troppo? A me no. Sei editore, capisco che adori la quantità, ma almeno ammettilo e datti un contegno e venditi meglio in quanto a immagine. Ma secondo voi uno così se gli passa davanti un Proust, un Musil, lo vede? Ho i miei dubbi....e le mie certezze....

Caro Carl Sternheim quanto adoro quel tuo gesto!
 E non certamente perché ci ha guadagnato il mio amato Kafka.
Avresti anche potuto sbagliare e dare il premio ad un Faletti! (no... non esageriamo, skusa Carl, skerzavo!) l'importante è stato il gesto e quello ha un monumento in me, e ora, credo, non solo in me.

Torniamo a “Libussa”. Come ho detto, è scritto con parole semplici.... ma non è un libro semplice. Per comprenderlo è poi necessario andare a leggersi qualcosina sulla prima Weltkrieg[10], così accadrà che certi protagonisti ci saranno familiari.
Ora veniamo al titolo. E' un nome. Esattamente di una bellissima cavalla bianca di origine russa. Talmente bella che fu prima onorata di sentire sulla schiena i regali glutei della moglie dell'ultimo zar russo. Questa è la sua autobiografia. Scopriamo così il suo pensiero femminile e nel contempo equino. Apprezzeremo perché, la sua sopportazione, dopo un po', non ha più retto la e ha dato in escandescenza. L'hanno parcheggiata in una stalla e poi regalata a Edoardo VII d'Inghilterra. Qui la cavalla si trova bene poi, quando Edoardo, da principe diviene re, alla morte della madre Vittoria e inizia a sragionare, Libussa va in crisi depressiva. Viene curata, guarisce (con una cura simile a quella che ho proposto prima per un certo editore....) e  offerta in dono al nipote di questi, di nome Guglielmo secondo che faceva l'imperatore in Germania e che stava troppo antipatico allo zio Edoardo per come vestiva. Di questo regnate Libussa s'innamora perdutamente.
Questa favola, che fa suoi dei dati reali e poi prende il volo, è affascinante e nel frattempo ci trasmette la sensazione che in quell'epoca si fosse in mano ad una “manica“ di matti anche un po' visionari.
Consiglio di proseguire questa lettura con il libro di Emilio Lussu, un sardo che abitava a Parigi e che non era più sardo o italiano e forse ormai parigino e comunque mente finissima.
In esso, in un'atmosfera coerentemente caricaturale comprenderemo, da uno che c'era, che anche gli ufficiali, quasi sempre di sangue blu, erano un po' fuori di testa.
Si potrebbe pensare così che la prima grande guerra fu l'evento che, forse (del doman non v'è certezza... ) chiuse il ciclo di distruzione di una regalità col suo codazzo di nobili ancora esaltati dal mandato divino. So per certo che qualcuno di loro, crede ancora in quel mandato, ma lo dice a voce bassa....

Quella guerra disastrosa, costata kilometri cubi di morti (lo sapevate che nelle foibe, non riuscendo a distinguere i corpi li misuravano in metri cubi? Ma questa è un'altra guerra...) ebbe altre  motivazioni, particolarmente per come si concluse, ma su una cosetta forse Carl Sternheim ha ragione. Si era in mano a degli esaltati che non davano valore alle vite umane. Io dico che fra questi i più pericolosi furono i capitalisti  e cito come esempio, sempre dal libro di Lussu, quando arrivò, agli alpini italiani al fronte, la partita di scarponi con le suole di cartone. È un passo che coglie nel segno e ci indigna anche se, come me, si è pacifisti. I fornitori pensarono solo a produrre al minor costo possibile e i soldati, persone della medesima patria!, si ritrovarono le suole che resistettero qualche giorno e poi i piedi congelati.

Un altro, uno solo invece, decise le sorti di quel conflitto. L'ho già accennato altrove. Si Chiamava Morgan. Abitava negli Stati Uniti e per ora, solo un esperto serissimo lo ha raccontato. Si chiama Geminello Alvi. Titolo del suo libro: “il secolo americano”[11]. Vi cito solo un passo che fa pensare: siamo nel 1920 e “ i funzionari di Washington  … pensarono prudente proseguire ad affiancarsi alla Morgan and co., e la trattarono come una nazione a sé stante”.... in fondo accadde già con i Medici, e poi di nuovo con Krupp... “bella” la storia, quella vera, non trovate?

...e il libretto di Carl Sternheim, con un brillante volo di fantasia, ci fa “sentire” di un'epoca qualcosa che ai libri di storia, che son da leggere con indosso il cappotto la sciarpa e i guanti grossi, qualcosa, dicevo, che i libri di storia non sono in grado di trasmettere, ovvero, una briciola di dimensione umana.


[1]Di recente non so come, mi son ritrovato a leggere della “roba” su Kafka, di un tenore più basso di Novella duemila o dei telegiornali di Emilio Fido. Guardo lievemente alterato chi ne è l'autore e scopro di essere finito a mia insaputa su dagospia, il sito di Roberto Dagostino. Non è curioso scoprire che dissacrare l'attualità non basti più e si vada a cucire vestitini da circo addosso a personaggi del genere? No comment
[2]Edizione Studio Tesi – gennajo 1984 (gran bel libro con fotografie e notizie interessanti)
[3]Un esempio di come certe vite grandi passino inosservate è la totale assenza, anche solo di una citazione su Kafka, nei primi due volumi dell'autobiografia di Elias Canetti che oltre il resto per due brevi periodi frequentò a Berlino fra gli altri, Brecht e Kraus.... (si tratta comunque di testi belli. “la lingua salvata”, “Il frutto del fuoco” e, terzo, “il gioco degli occhi, tutti editi Adelphi).
[4]Tutto edito Adelphi. Darei la precedenza a “suite francese”, “Il calore del sangue”, “Come le mosche d'autunno”, “Jezabel”.
[5]Per iniziare si potrebbero leggere alcuni racconti dalla raccolta edita da Meridiani Mondadori
[6] E questi due avevano pure una sorella scrittrice.
[7]Bellissimo “Yoshe kalb”(editori riuniti), ma penso che sia difficile trovarlo. Puntare su “I fratelli Ashkenazy” della Longanesi come antipasto.
[8]Preceduto da “milion dollar baby” e Changeling” che son eccellenti
[9]Ed è evidentemente contrroproducente dal un punto di vista degli incassi
[10]Prima guerra mondiale
[11]È di nuovo un testo della Adelphi. Non si pensi che mi abbiano foraggiato. A via San Giovanni sul Muro non conosco nessunoo almeno così penso. Fate caso comunque che, se scegliete ad occhi chiusi un testo di questa casa editrice, nove volte su dieci vi troverete a leggere qualcosa di valido. Hanno anche loro qualche scheletrino nell'armadio. Nessuno è perfetto e sono ben contento quando mi regalano o compero qualcosa, edito da loro.

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