martedì 26 luglio 2016

GIUSEPPE TORNATORE (meditazione su "La migliore offerta", "La corrispondenza" e "Baaria"


Questo scritto intende essere un omaggio a Tornatore, un regista che con “La corrispondenza” ha raggiunto vette notevoli .... ma non solo in qualità di regista.
A questo livello notevole, ci è giunto con un progressivo miglioramento che stimo moltissimo e … meditiamo prendendo la faccenda un poco da lontano per meglio comprenderne l'importanza ...…
Alla fine della seconda grande guerra, la Sicilia chiese l'indipendenza. Era disposta anche ad essere una colonia americana al centro del Mediterraneo. Era giusto secondo me, perché, costretta dalla triste unione con l'itaglia (non è un errore, ma la dicitura esatta), penso che i siciliani si siano sentiti e si sentano defraudati della loro dignità prima di tutto … . questa dignità, che potrebbe essere intesa anche coi vocaboli tradizione e orgoglio, una caratteristica degli isolani. Da Ponza a Capri alla Sardegna, all'Irlanda e a quell'isola che contiene quattro popoli con quattro culture diverse (Galles, Cornovaglia, Scozia e Inghilterra), sappiamo, ma non non ne abbiamo colto l'irriducibile forza, quanto essere isola, dal quale deriva il vocabolo “isolati”, crei una sensazione dell'esistenza, della comunità, dell'io, della morte, della vita e dell'amore, che non è riducibile, non è assolutamente malleabile se non nell'apparenza.
E sul problema storico della campagna dei mille stendo un velo pietoso. Il Regno delle Due Sicilie era di fatto la terza potenza economico industriale europea (dopo Gran Bretagna e Francia), La seconda Flotta al mondo dopo la Gran Bretagna che dominava l'atlantico ma non il mediterraneo. Il Regno iniziò ad essere un fastidio intollerabile per gli inglesi quando questi si avventurarono nella costruzione del canale di Suez che avrebbe dovuto ridurre di molto il viaggio verso oriente che fino a quel momento era possibile solo circumnavigando l'Africa. Ma ... se il Mediterraneo era commercialmente in mano alle navi del Regno .... ecco che questo andava eliminato. Altre sfumature di questa storia, quella vera, che purtroppo sui libri non troviamo, i aiuterebbero a capire molto, forse troppo, anche della nostra epoca che di fatto nasce da quegli eventi nei quali una ristretta elite finanziaria elude, ignora ed utilizza gli stati in funzione esclusivamente dei propri interessi.
chiudo questa parentesi e invito il lettore a ri studiare la storia degli ultimi duecento anni con l'ausilio della coscienza critica senza fidarsi troppo ....
dunque, torniamo a noi. La cultura, del sud, nonché uno stile di vita, venne terremotata da eventi bellici legati all'alta finanza, ma per esempio la sicilianità, la sua capacità di essere anche se l'avere scarseggia, per intenderci, sembra non sia minimamente stata sfiorata da quegli eventi. Se la carne ha dovuto migrare e comunque soffrire per sopravvivere, la mente ha prodotto grandi risultati.
Cosa sarebbe l'itaglia senza la letteratura siciliana? Ci sono vari fenomeni veri a livello nazionale, come Papini, Emanuel Carnevali, Ortese, Brancati, Pirandello, Sciascia, Guerra, Savinio, Pavese, Capriolo, Trilussa, Malaparte, Fenoglio, Deledda, Eduardo, Landolfi, Tomasi di Lampedusa, D'Annunzio, Trilussa, Ungaretti, Tobino, Morselli, Primo Levi e Morante … e sono i primi nomi che mi vengono in mente. Sono ben 24! e sfido qualsiasi altro idioma al mondo ad aver sfornato più fenomeni (si tenga conto che chi scrive queste non si sente italiano ed è assai critico verso questo popolo ... ma ammetto con piacere che in letteratura, in cucina, e spero nelle arti anche se ultimamente vedo molta robaccia, è eccellente) … solo la letteratura ebraica, ma a livello mondiale, non quella ebrea di Israele, ha probabilmente superato l'Italia in questa meravigliosa classifica.
Togliamo ora da quei 24 coloro che hanno sopportato il papa-re e vissuto nel il regno di Napoli e rimangono Papini, Carnevali (Ungaretti nato in Egitto e Savinio in Grecia sono italiani in senso non regionale del termine), Pavese, Capriolo, Malaparte Fenoglio e Primo Levi. Rimangono sette nomi; tre piemontesi e tre toscani e due lombardi. Non è strano, all'apparenza, che la zona più vessata cioè il sud di questo stato, abbia prodotto tredici fenomeni letterari degni di essere ricordati mentre la parte opulenta si è fermata a otto? Un Piemonte che ha respirato aria di Francia, di ebraismo culturalmente elevatissimo anche nelle scienze (si pensi ai tre allievi di Giuseppe Levi che vinsero il Nobel …. Rita Levi Montalcini, Renato Dulbecco e Salvador Luria …) e che con Pavese, Fenoglio e Primo Levi ha dimostrato di essere attenta alla genialità e di rispettarla (aggiungo Sebastiano Vassalli che l'Itaglia ha maltrattato, candidato al Nobel dalla Norvegia, dagli altri !!!!)…

Ora una parentesi sulla definizione "italiano del sud". Se ascolto Bossi, dopo la pianura Padana son tutti terroni. e un Toscano non è meglio di un calabrese o di un napoletano. E me la rido pensando che se chi sta a sud vale meno, questo il succo del discorso, le vittime totali sono i pinguini, unici abitatori in massa dell'Antartico! battute a parte, penso alla parte della penisola che ha sofferto ovvero al dominio papale, alla continua sottomissione del sud (le terre dopo lo Stato della Chiesa per intenderci) ad altri stati che tassarono e sfruttarono come se si fosse trattata di una colonia. ma la musica cambiò nel settecento, ci basti sapere che la reazione della corona e del Regno tutto delle due Sicilie, al terremoto della Calabria Ulteriore del 1783, vide la realizzazione del primo progetto  decente di salvataggio e recupero del territorio che la storia dei terremoti ricordi. La famiglia reale, non più colonia delle altre casate Borbone d'Europa, rifiutò due navi di viveri che erano state offerte dalla Spagna, con un moto d'orgoglio che era una chiara dichiarazione d'indipendenza, rifiutò l'aiuto e rispose che quel che si stava facendo con le proprie forze era più che sufficiente. Un Regno quindi, con un suo illuminismo, con una sua voglia di fare che sbloccò una situazione feudale ormai assurda.
Per dare un'idea della capacità organizzativa. Mi son sempre domandato perché l'Italia ed il sud in particolare fosse terra di canto e musica (tuttora se vuoi un clavicembalo decente devi rivolgerti in Campania fra Napoli ed Avellino ....) e studiando Paisiello ho scoperto che nel Regno, se si nasceva Bastardo o diventavi orfano (ambedue situazioni assai comuni e ce n'erano a migliaia) finivi a Napoli in uno dei quattro orfanotrofi che erano scuole di musica e canto. Uscivi che avevi un mestiere! ed erano talmente qualificate quelle istituzioni, che Paisiello dalla Taranto povera, essendo un figlio con famiglia, dovette pagare una retta (se la sobbarcarono un cavaliere ed un borghese benestante che stimavano il suo talento) per essere ammesso ... in quella scuola di musica!

Torniamo all'Italia che Bossi and Company critica senza senno ...
Toscana! La prima al mondo, quando c'era ancora il Granducato, a rinunciare alla pena di morte e a distruggere pubblicamente gli strumenti di tortura e i capestri nel tetro Bargello che ora è un museo stupendo … ed ecco Papini, Carnevali, venerato da Puond che di certe cose se ne intendeva e sconosciuto all'Italia, e Malaparte che, per quanto padre del signor Suckert che migrò a Prato per lavorare nella tecnologia tessile, di fatto considerò suo padre un signore toscano che … effettivamente gli fece da padre. Rimangono a questo al bossiano nord, nel novecento, i piemontesi già citati Più i lombardi Paola Capriolo e Morselli schivi e bravissimi, il ligure de Andrè e il Napoletano-milanese Vecchioni. La Capriolo vivente, che meriterebbe la candidatura al Nobel, ma pochi sanno che esiste, e mi riferisco anche ad addetti ai lavori. 
A Milano tutto diventa commercio, se hai l'anima sei un cretino … e così, morale della favola, Tre toscani, tre piemontesi, un ligure, un napoletan-milanese, tre Italiani (Savinio Ungaretti e primo Levi che è si piemontese ma anche italiano) e due milanesi in cattività assoluta. Dignitoso ma misero il bottino del bossiano nord. Se agissi con le statistiche sulla densità di popolazione il dato risulterebbe ancor più sorprendente ...
Al lettore che è stato indottrinato dalle università, il mio elenco sembrerà incompleto ed arbitrario, ma rido serenamente di una categoria, il lettore appunto, che si è fatta propinare un cibo preparato dosato e spiegato e che di anima, di cuore, ne ha messo poco nelle successive letture e spesso nemmeno le ha fatte. Quanta gente ho conosciuto che si fregia di sigle come dott o prof, e ha letto per esempio saggi su Fenoglio ma nemmeno una riga della sua opera! e se l'ha letta la considera valida perché gliel'ha detto un'istituzione come la scuola! Se mi dici che l'autore X è bravo, ok, ti ascolto, ma poi lo leggo, non prendo per oro colato quel che dici, a meno che tu non sia un Tonino Guerra, un Antonioni, un Manganelli! E anche in questo caso, se aumenta la fiducia, mai essa sarà cieca, totale. In più (la boccaccia mia non tace …) come si fa a credere ad una casta di “indocenti” sistemati non in base alla effettiva capacità ma all'affiliazione a sette come partiti, logge e banche, o a gruppi famigliari … ah caro nepotismo itagliano! Perfino Giovanni Gentile, che comunque non era uno stupido, per sistemate il figlio fece lo stupido quando assegnarono a Roma la cattedra di Fisica ... e quando Majorana propose la sua candidatura per opporsi a questi schifosi giochi, lui Gentile senior, per resistere a Majorana che Einstein e Eisenberg consideravano un genio, agì bloccando l'assegnazione ... poi confezionarono una cattedrina a Napoli per salvare le non salvabili apparenze, spedendoci Majorana ... il genio, e tenendosi il figliolo a Roma! E di dov'era Majorana? Catania ….Un caso? certo, è sempre un caso quando i fenomeni sono gli altri, ma a me invece sembra evidente che se hai la fortuna di nascere in un certo luogo quando la congiuntura di anima sofferenza e cultura sono all'apice della fusione (la Praga dei primi del novecento, la Firenze da Cosimo il vecchio a Lorenzo il munifico, la Roma di Mecenate, la Roma degli anni cinquanta con personaggi come Angelo Rizzoli, Carlo Ponti ecc, che foraggiavano non solo operazioni commerciali ma anche idee. Ad Angelo Rizzoli dobbiamo "La dolce vita" per esempio ...)

Morale … un toscano prima di essere italiano è un toscano! Un piemontese pure, e un siciliano? E un sardo? Isole … più che mai culture a sé che per conquista, attualmente son costrette alla lingua italiana, ma in essa mettono un sentire regionale che non esito a definire nazionale, intendendo nazione la Sicilia, la Sardegna, e meno nazione, se non in una ristretta elite, Toscana e Piemonte che, essendo raggiungibili via terra, hanno più difficoltà a salvaguardare la loro originalità.

Veniamo ora ai siciliani che stimo e rileggo spesso …
Pirandello, Brancati, Sciascia, Tomasi di Lampedusa e … lo aggiungo ora … Giuseppe Tornatore.
Il totale dei nomi da me elencati diventa quindi di venticinque e ben cinque dalla mentalmente indipendente Sicilia! Terra povera, maltrattata dal regno dei Savoia e anche dalla democrazia successiva nella quale tuttora si contorce migrando.
Come hanno fatto a salvaguardare così tanti talenti? Secondo me perché i siciliani sono ancora comunità, perché il loro modo di vivere concede senz'altro parte di sé al bisogno di sopravvivere, ma non sono disposti a rinunciare a un senso della vita. Attualmente sei consumatore e finisce li. Nei due registi siciliani che stimo enormemente, unici veri talenti che il cinema italiano attualmente vanta, Crialese e Tornatore, sento il bisogno irriducibile di un senso, e funziona, piace, si fa amare quel senso, perché anche il consumatore, prima o poi deve fare i conti con la vita … e con la morte.

Perché ho aggiunto Tornatore ... perché oltre alla bellezza dei film, spinto da Antonio Sellerio, ha prodotto tre libri che sono dei gioielli. La nostra epoca ha il difetto di rinchiudere, letteralmente incarcerare, il nostro io, sotto un'unica etichetta.
Victor Hugo è per tutti uno scrittore, ma dipingeva benissimo per esempio ... e Savinio fu scrittore, compositore e pittore mentre per qualcuno è o scrittore o pittore, per molti non esiste e per pochissimi è compositore. Simenon per tutti è sempre e solo il “papà” del commissario Maigret, quindi un giallista, mentre invece era anche un grande romanziere (e diceva che Maigret lo batteva a macchina e serviva per pagare le bollette, mentre le altre “cose” quelle vere, le scriveva a mano ...). Siamo al punto in questa epoca, esattamente dal secondo dopoguerra, che un artista, per esempio un pittore, viene costretto dal mercato a fare opere simili fra loro, in modo da essere riconoscibile, identificabile non diversamente dalla scatoletta Simmenthal. Un Mirò lo riconosci da un centinaio di metri di distanza, così un Vedova o un Hirst … per esempio. Se vuoi vedere le opere “vere” di un artista, devi chiedere di quello che aveva o ha in casa, che non vende o che al mercato non interessa; solo così vedrai in lui una evoluzione e non una fissità che ha tutte le caratteristiche di una malattia mentale … se non si sapesse, con rade eccezioni, che è un obbligo commerciale che costringe a quell'agire al quale mai mi abbasserò, si penserebbe che la vita della sensibilità deve essere, o essere stata, veramente monotona e assurda, come fu per esempio quella di Giorgio Morandi, pittore che stimo ma che offre una ripetitività “lievemente” patologica; non per niente certe sere dalla sua città prendeva il treno e andava nei postriboli di Firenze per non sconvolgere la penombra, l'immobilità assoluta delle donne di casa alle quali era legato con la palla al piede.

Scoprii per caso in libreria, il libro “La migliore offerta” e decisi di comperarlo. Non so dire perché l'ho fatto. Il film non mi entusiasmò. Riconobbi una finezza notevole nel regista, ma anche qualcosa di contorto che non mi piaceva e non avevo avuto il tempo e nemmeno la voglia di approfondire. L'avevo visto comunque una volta sola quindi il mio giudizio era superficiale e ne ero consapevole. Sono attratto da sempre da quei film che sono ideati (soggetto), hanno sceneggiatura e regia, della medesima persona. Ogni volta, direi quasi sempre, che un film è tratto da un libro oppure ha persone differenti in soggetto, sceneggiatura e regia, si ha forse una “cosa” intelligente e con sprazzi di sensibilità che di solito appartengono ad un'unica fonte che non è difficile comprendere, se ci si impegna un attimo, scoprire … oppure tutto è effettivamente di un'ombra occultata dal nome del regista.

Ecco qualche esempio … (sopportate per favore questa digressione, ma dimostrare oltre ad enunciare mi sembra un omaggio alla correttezza)
Le idee de “I vitelloni” e della sua seconda parte nota come “La dolce vita”, sono di Ennio Flaiano, uno dei due geni assoluti in lingua italiana del secondo novecento (l'altro è Savinio, ideatore del surrealismo … e Breton che lo ha fondato sulle sue dritte, candidamente lo ammise, e per iscritto. (Sua l'idea di uomo metafisico e quindi di pittura metafisica ecc). Una prova piccola piccola, ma che incrina la certezza che tutto quanto sia firmato Fellini sia un Fellini … “Vitellone” pensiamo sia un termine riminese, ma è di Pescara; sarebbe il vudellone, più comprensibile se virato in budellone, ovvero colui che passa le giornate al bar fra chiacchiere carte e biliardo, esattamente il Sordi del film. Si cercano le idee de “La dolce vita?” Si legga “Una e una notte” … di Flaiano. Ed eccovi ora la storia di una scena, com'è nata veramente … Roma ...Fellini e Pinelli vanno a trovare Flaiano. “Sai, abbiamo un'idea da aggiungere al film, una prostituta, la aggancia Marcello con la ragazza, chiedono di andare a casa di lei e così si vedrà tutta la sua miseria”. Flajano dice che non è la realtà, si tratta della finzione, di una realtà troppo spesso gonfiata del neorealismo che partì bene poi si crogiolò nelle sue disperazioni mentre l'Italia cambiava, e velocemente. ( e di fatto da Flajano, per mezzo dell'opera firmata Fellini, riceverà il colpo di grazia). Dice … “venite con me” e li porta, a notte inoltrata, da una prosti. Chiede se possono, loro tre, andare a casa di lei, la pagheranno bene. Lei risponde che non fa cose di gruppo, ma Ennio la rassicura. Niente sesso, solo due amichevoli chiacchiere. Arrivano. Il piano terra del palazzo è allagato. Lei in casa fa il caffè e racconta che sta per pagando le rate dell'appartamento. In tutto e per tutto una donna normale, senza problemi morali e sensi di colpa riguardo la sua antica professione che di fatto accelera l'ottenimento dei beni materiali che simboleggiano la sicurezza. Ritrovate la scena nel film … e ora l'idea, il senso, è di Fellini o Flajano? E infatti il rapporto di lavoro si ruppe perché Fellini scoprì che negli Usa, Oscarlandia, si diceva “i film di Flajano”. Quest'ultimo disse, per far tacere strane e vere voci ... che non collaborava più col riminese perché “ora ci mette anche la magia, materia di cui non sono competente”. Vero ma non causa effettiva della rottura. Quando Antonioni ebbe la certezza che Flajano era “libero” da un sodalizio che all'epoca si basava su patti e strette di mano e non su firme, chiedendolo direttamente a Fellini, se lo accaparrò immediatamente e, forte dei due più grandi sceneggiatori (e fonti continue di idee) dell'epoca, partì per Milano con il contratto per fare un film, il cast quasi ultimato e zero idee. Nacque “La notte” uno dei capolavori asssssssoluti del cinema di sempre. Fellini fu quindi prima di tutto un talent scout eccezionale sia per le musiche che per il montaggio (Eraldo da Roma era il desiderio segreto di ogni produzione). Innegabile la sua capacità con la macchina da presa, ma prima di tutto sapeva circondarsi di talenti e sapeva ascoltarli. Quando poi si affidò a Tonino Guerra (sue le idee di “E la nave va” e di “Amarcord” e non solo, lui lo riportò a Oscarlandia …
Tre menti per quattro Oscar … Tullio Pinelli con “La strada”, Flajano con “Le notti di Cabiria” e “8 e mezzo”, e Tonino Guerra con “Amarcord”. In un'epoca che secondo gli intellettuali francesi il film era del regista, tre grandi furono “seppelliti” da una regola inesatta.
Capita poi che il film sia “preso” da un libro, e raramente si ottiene qualcosa di decente. “La morte a Venezia” secondo me è più bello del testo di Mann che, sempre troppo intellettuale, fu “preso” da un Visconti in stato di grazia al punto da aver reso immortale anche il libro. “Solaris” di un grande Lem nella regia di Tarkovskj. Un capolavoro che non segue comunque rigorosamente il testo. Poi “Mystic River” di Lehane nel libro ed Eastwood nella regia, “Anna Karenina” di Joe Wright, i “Don Camillo” di Guareschi con regia di Duvivier... Ovvio che non ho visto tutti i film del mondo; non basterebbero un centinaio di vite ma … mi sembra ovvio che quando un regista è sensibile, ecco che potrà capire il libro e le variazioni che applicherà saranno interessanti.

Ma quando il regista ha un'idea sua ... e poi, se la sceneggia e fa pure la regia!!! questa secondo me è la condizione migliore. Se l'idea è la tua ecco che la possibilità che si perda qualche granello di sensibilità è più difficile. Meno gente ci lavora e più il percorso fra idea e realizzazione finale si fa semplice, lineare, senza ostacoli! E Tornatore, per i tre film che intendo trattare … ha fatto proprio così: “Baaria”, “La migliore offerta” e “La corrispondenza”.

Penso che si debba molto a all'intervento di Elvira e Antonio Sellerio e ora cerco di spiegare perché. Se con “Baaria” leggere la sceneggiatura vera e propria con questa lingua difficile ma interessante, è stato piacevole, “La migliore offerta” e “La corrispondenza” son stati un momento per me, in veste di lettore, veramente magnifico e profondo e i Sellerio secondo me per primi, prima ancora di Tornatore stesso, avevano capito che Tornatore non è solo un regista.

LA MIGLIORE OFFERTA



Film uscito nel 2016. Il volumetto edito Sellerio che posseggo è datato 2013.
Anche la prefazione è del regista e leggendola scopriamo che “ … l'impulso che non mi spiegavo, e per certi versi continuo a non spiegarmi, di fissare la trama in una chiave vagamente letteraria.” Questo impulso apparteneva anche a Tarkovsky, che considero il più poetico dei registi. La Garzanti pubblicò anni fa il libro "Andrej Rublev". lo scoprii per caso in una mia sortita in un negozietto di libri di seconda mano. Già qualcosa sapevo di questo regista. Il padre di nome Arsenij era un poeta di valore. Mi disse qualcuno che li conobbe entrambi che il figlio, Andrey, per non poter essere paragonato al padre, per rispetto a lui, si diede al cinema. Era però poeta dento anche lui e così scriveva prima di ogni film. ... e scoprii che il libro, ""Andrey Rublev" valeva molto più del fil che è comunque di valore. Altre esperienze mi hanno fatto pensare. Spesso i registi prendono appunti, spessissimo disegnano o fotografano; hanno quasi sempre, in poche parole, una espressione individuale, quotidiana, "che sta in tasca", che rappresenta il punto di partenza della loro idea. Questo tesoro della mia esperienza mi fece dire, dentro di me che se Tornatore inizia scrivendo allora quel che scrive dovrebbe contenere l'idea ad uno stadio più puro, più vicina alla fonte originaria della sua creazione.

Quel soggettone, come preferisco chiamarlo, non era comunque nato per scopi editoriali. Al massimo poteva essere considerato una delle tappe di lavoro che si sono succedute dall'ideazione alla realizzazione del film, esattamente la prima tappa concreta  …. non un racconto vero e proprio , ma la testimonianza di una delle tante strategie che un cineasta s'inventa per rendere il proprio cammino più agile, più rispondente al proprio intuito? Il testo impuro nel suo stile, se vogliamo, un po' racconto, un po' sceneggiatura, senza essere né l'uno né l'altra.”

Sorrido di queste parole, che non vogliono essere fintamente umili. C'è il suo senso della realtà, la sua sensazione che la situazione sia così come l'ha descritta, ma per il fruitore, che sia una persona come me con ambizioni letterarie o un semplice lettore, si ha la sensazione del capolavoro. Spendo la parolona ... capolavoro ... e secondo  me ci sta tutta perché quello scritto rappresenta l'esatto momento nel quale l'idea prende forma, e nessun vincolo di regole estetiche lo ha ancora ingabbiato.

Se Tornatore non pensava che questo libretto fosse un capolavoro è perché impegna tutto sè stesso nei film. Ma forse proprio per questo, a causa di questa enorme tensione creativa, una certa leggerezza, che non è sempre contraria alla creatività, si è insinuata nello stile di questo libretto, leggerezza, che potrei definire anche semplicità, che rende il tutto più cristallino, più accessibile a tutti, più universale. La ricerca estetica si concentra in Tornatore nell'agire registico, nella scrittura, in questa scrittura, non aveva motivo di farlo perché non presupponeva "l'altro", il fruitore, il mondo. Scritto per sé, solo a sé medesimo doveva rendere conto. La mancanza di un successivo ingabbiamento nelle regole dell'estetica riduce al minimo l'interferenza  meno senso profondo rivelandolo in modo più ... puro.

Ecco alcuni esempi celebri di parziale e spesso totale inconsapevolezza del proprio talento ...
Un certo Petrarca pensava di passare alla storia per il poema Africa e non per certe poesiole che considerava un gioco dell'alta società e il destino gli ha tirato un bello scherzetto ... chi di voi sapeva anche solo dell'esistenza di "Africa"?, Conan Doyle era certo che sarebbe stato ricordato in quanto storico, e nelle elite come spiritista e invece Sherlock Holmes si impadronì di lui … son molti i casi, ma hanno in sé un dato comune. La minor attenzione alle regole di una certa espressione artistica perché si pensa che altrio sia il valore. Accade così che in quello scritto più libero, più irresponsabile, si innovi inconsapevolmente.

Ebbene, Tornatore sa scrivere, e molto bene! Ma è accaduta una cosa strana e liberatoria. Ha pubblicato quello scritto nel quale ha “messo” in forma di racconto per se stesso, il materiale che intendeva far maturare per un film. strano che sia accaduto, non trovate? serve per farlo accadere una terza persona che ha letto o almeno sbirciato oppure uno speculatore che pensa "E' Tornatore, anche se è robaccia con la sua firma una piccola tiratura qualcosa ci guadagno ..." e penso che sia accaduta la prima situazione poiché i Sellerio hanno sempre fatto il possibile per coniugare bilanci e qualità. 

Tornatore quindi, incurante di pressioni per quanto riguarda la forma, ha agito con la libertà del fanciullo, che inconsapevole delle regole stilistiche di un'epoca, le scardina proprio perché la sua libertà è pura invenzione. Per chi ha dubbi sul fatto che un fanciullo possa innovare per questa via, che si guardi i ritratti, di Lola, del padre e della madre fatti da Picasso rispettivamente a dodici quattordici e quindici anni! Vada a rivedersi quel che fece un Michelangelo adolescente! E se ci sono le condizioni, spesso per età, o fortuite come nel caso di questo scritto di Tornatore legate al ruolo secondario che ha "sentito" per lo scritto in funzione di un lavoro artistico che considera la sua meta, alla quasi azzerata pressione mediatica che ha supposto agire sul testo, ecco che la libertà espressiva, frutto di irresponsabilità, nel senso che non devi e vuoi rendere conto che a te stesso e alla tua sensibilità, ecco che una coerenza nuova e che funziona, può apparire. L'influenza della scrittura per il cinema è evidente nello stile ma, se se ne ignora la fonte e l'aspetto tecnico, roba da intellettuali che di solito per mestiere masticano le idee altrui, e possibilmente quelle di artisti e scrittori sensibili …, se se ne ignora la fonte, ovvero non si sa che è di un regista, non si sa nulla, e ci si lascia andare alla lettura, ecco che si ammira una scrittura semplice, diretta, che agendo solo in funzione del senso e non della struttura, riesce ad essere una freccia dritta verso il cuore.

SEMPLICITA' ... quella vera, in arte, non è affatto semplice. In essa si cela una segreta complessità ...

Ammetto che preferisco il libro al film e che l'ho riletto varie volte. Nel film la ricercatezza per produrre le immagini spegne un talento, lo rende minuzioso, ma riduce l'attenzione sulla qualità dell'idea; mi spiego … ove serve un senso estetico, il lettore, accettando ovviamente i paletti del testo, ci mette del suo. Se mi si dice una sedia Impero anche se non conosco quello stile me lo immagino; riempio quindi un vuoto che può influenzare per un centesimo l'influenza sul messaggio profondo. Nel film la sensibilità di Tornatore diventa uno strato fra quel che vuol dire e quel che arriva, ed è ovvio. Ogni espressione artistica ha i suoi limiti e mi spiego con un esempio.
Di recente, ascoltando un concerto in una antica chiesa, mi si concentrò lo sguardo sull'opera dell'altar maggiore (Ero a Mongiovino, piccolo delizioso, antico borgo in cima ad una collina in Umbria). Una Assunzione della Vergine. Sotto, nel dipinto, la tomba piena di fiori; di fianco ad essa gli apostoli in estasi, in alto Lei, Maria, che se ne va in cielo. Meditando durante le parentesi fragorose degli applausi, ho capito che nella realtà la tomba non doveva essere piena di fiori. C'era “l'odore di santità”! Mi spiego. La tomba di una persona comune o puzza o è inodore. Quella di un santo la si riconosce immediatamente perché … profuma, era una delle regole che veniva data a chi doveva verificare, dico sul serio. Questo si pensava anticamente. Ora … provate voi a rappresentare pittoricamente un profumo! Ed ecco allora che si misero i fiori per intendere non essi ma l'odore di santità. Ecco ... in Tornatore accade piùo meno la medesima faccenda. I fiori al posto del loro profumo per sottintendere quest'ultimo in una tecnica srtistica che è.... inodore. Una ricerca estetica bella, di valore ma che potrebbe rischiare di sopraffare i contenuti, ed ecco che lo spettatore torna ricordando la scena finale del ristorante pieno di orologi a Praha oppure la sala con tutti i ritratti ... e il contenuto si è perso in questa sensazione certo valida, ma che non era quella che il regista intendeva trasmettere.
Il senso estetico attualmente ....  o si tratta di una sequenza frigida di nozioni acquisite dalla cultura alta e non pensate, ma più che altro tratto distintivo per definirsi persone elitarie, oppure, per mezzo un viaggio solitario, nella vastità di bellezza a disposizione da vari continenti e varie epoche, ci si auto-educa individualmente ad essere, ma si diventa originali fino all'estremo, e questo sta accadendo a Tornatore. 

Digressione forse interessante ma non necessaria ...

Per l'opposto, un esempio è la Gioconda di Leonardo. Tutti, quasi tutti e io fra quelli perché non amo fingere, una volta che l'abbiamo vista dal vero abbiamo detto a noi stessi o a pochi intimi ...”tutto qui?” e se questo dubbio è stato ben accolto si è trovato il coraggio di dire che Leonardo ha fatto di meglio e che al Louvre c'è “molta roba” che mi ha affascinato di più. Ma allora … perché la Gioconda è considerata così tanto? Pensate ora alle varie religioni. Quasi invisibili protestantesimo ed ebraismo a livello mondiale. Perché? Perché l'attuale sistema mediatico ha bisogno di un personaggio di riferimento. I cattolici hanno il Papa che ne è capo spirituale e questo rende attualmente più visibile questa religione. L'ebraismo italiano ha deciso di fare riferimento al Rabbino capo di Roma, le altre religioni sono uno spezzatino ingestibile. Per correttezza dovresti intervistare varie persone e alla fine il giornalista non ne sente nessuna e … spesso inventa o rammenda, senza preparazione, delle posizioni che non sussistono. Ebbene, per le varie espressioni dell'umano agire, in questo sistema massmediatico che parla di tutto ma in modo succinto (il tempo è denaro …), anche l'arte deve avere riferimenti immediati, semplici e condivisi. Il fatto che siano sensati non è strettamente necessario … e la Gioconda si è guadagnata lo scettro poiché fu rubata da un imbianchino italiano nel 1911 e fu un evento giornalistico di portata internazionale. Il quadro fu trovato ma il giornalismo, che aveva cavalcato l'onda emotiva per mesi, non “mollò” la presa sull'opera e le conseguenze le subiamo ancora oggi (e per molti inconsapevolmente) sulla dinamica di una imposizione che tocca la sfera del gusto, ma vi è stata trapiantata con la forza perché … la Gioconda non piace quasi a nessuno, ma si sussurra, non lo si dice forte per non essere considerati asini da una elite intellettuale che sembra rompere i vetri tutti i giorni e a tutte le ore, ma che di fatto è conformista e ama riconoscersi in chi ripete a pappagallo i concetti che ha acquisito, poiché solo così hanno un senso che non richiede sforzi. Se quello che ho imparato, memorizzato, quasi senza pensare, nozione pura … lo devo pure rimeditare, dubitare, rimettere in gioco … ecco che non ho più certezze. Meglio una base di finto marmo da spacciare per vera, che doverla costruire con lo scalpello e lucidarla di fino con la paglia come faceva il Buonarroti! Una finzione collettiva è meno impegnativa della ricerca del vero valore artistico ...

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Tornatore nel suo film non poteva evitare questa stratificazione/collisione fra il suo senso estetico, assai ricercato, e quello del fruitore. Non essendoci una base “vera” e condivisibile in questa epoca, diventa facile che l'estetica che si propone soddisfi parzialmente e diventi una lente deformante fra il senso che si propone e quel che si percepisce oppure un significato già in grado di riempire una mente.
Nel libro, i 279 ritratti di donna li posso, tranne qualcuno direttamente citato, immaginare. Nel film li vedo. Nel libro i 279 ritratti si fanno simbolo di una sindrome assai tragica e poetica. Nella realtà la sala blindata con i quadri è troppo vera per diventare simbolo.

Un altro particolare. Virgil Oldman compie 63 anni nella prima pagina dello scritto e viene presentato immediatamente come un uomo che crede negli “imponderabili del vivere quotidiano”. Credere in segni, in qualcosa che sfugge e sembra far parte di un destino che un'entità superiore ci confeziona, è presente in Tornatore, rende bene a parole, ma sfuma troppo nel film.
La mania del protagonista di usare sempre i guanti nello scritto è resa in modo eccellente poiché, l'intuizione immediata che si tratta di una mania, di una esigenza di preservare la propria purezza in un mondo corrotto, viene colta. Tornatore però non si limita a descriverla. Rende anche esplicito questo senso. Così facendo, costringe il lettore a comprendere che quella non è la chiave del testo, non si risolve tutto nell'esigenza di salvaguardare la purezza, e allora la ricerca di senso si fa o intellettuale oppure ci si lascia trasportare dagli eventi del film .... e a questo punto di fruitori ancora in grado di comprendere la pienezza del senso son rimasti pochini. Non che ci interessi la quantità ...ovviamente, ma in "La corrispondenza" per esempio questo sostrato estetico non esiste ed è sostituito dalla capacità quasi di veggente del protagonista maschile e dal mistero dell'arte di lei (stunt girl). La seconda versione, lasciarsi trasportare, è quella che accade, poiché la vita di Oldman è originale e incuriosisce così come quella della controparte femminile, ma la vita di un essere altamente intellettuale trasmette freddo. La scrittura è densa ma semplice e scorre bene e … la trama vira improvvisamente al capitolo XXV su un totale di XXX (su 76 pagine spesso non piene perché ci sono inizio o fine di trenta capitoli che lasciano spazi bianchi a josa, lo si ha a pagina 67, quindi a ridosso della fine, quando abbiamo la sensazione del lieto fine) assestando un colpo allo stomaco della mente che lascia interdetti.

C'è ovviamente della tecnica a questo punto. Il thriller è così;  esiste poi il triglier ... Ho coniato una mia definizione per definire un certo tipo di film o libri gialli; chiamo ironicamente “triglier” quei triller nei quali la banalità e gli effettacci son l'unica presenza certa.
Il triglier non lo rivedi. Una volta che hai scoperto il colpevole e quello non c'è più mistero.
I thriller invece li rivedi … perché c'è dell'altro. I gialli di Simenon per esempio, si leggono e rileggono (idem con la versione cinematografica) perché descrivono prima di tutto un mondo. In essi il colpevole, o la colpa, o il fascino della dinamica dell'inchiesta, sono solo un aspetto.
Il film di Tornatore, poiché è un thriller, lo si rivede volentieri. In esso affascinano i caratteri dei due protagonisti, e anche la figura secondaria di Robert Larkin, il trentenne che piace alle donne e ha mani d'oro come riparatore universale.
Su questo discorso, quello del rivedere un film o rileggere un libro, devo essere chiaro e rigoroso. Chi legge anche un breve racconto una sola volta, non lo conosce. Ne ha una illusione che è appoggiata dalla nostra epoca che santifica il consumo. Se vedi un film al cine e come me, se lo trovi interessante compri il dvd per rivederlo varie volte, sei un consumatore atipico e da sopprimere. Tu Pensi! Devi essere invece compulsivo. Vedi il film, ti emozioni o ridi o ti spaventi e deve finire li. Domani un altro film, un altro spavento o arrapamento o risata che sia, e via dicendo fino alla morte che ti coglie di sorpresa e senza anima perché non sapendo di averla, non ti ci sei dedicato e si è seccata.
Rileggere o rivedere quel che ci sembra non solo coerente e ben congegnato (piaceri si, ma della mente) ma anche capace di nutrire la sensibilità … l'unica acqua per quel seme che altrimenti non fiorirà in noi ….

Veniamo alla trama. Virgil Oldman compie 63 anni. Sembra sia vergine (non in senso zodiacale), o almeno così si mormora. Sul lavoro, fa il banditore d'aste, è considerato un fenomeno. Gioca anche sporco poiché un amico (amico? Forse un'abitudine utile ai suoi scopi) pittore senza talento, si finge cliente fra i clienti e acquisisce per Virgil le opere che lo interessano, e son ritratti di donne che ha valutato un'inezia oppure dotate di expertise consapevolmente errati. Ma cosa compera? Ritratti donne che, a causa una caratteristica tecnica, ovunque sei nella stanza, senti su di te lo sguardo. Tutti i quadri Virgil li tiene in una stanza blindata nella quale c'è anche una poltrona e spesso, quando ha tempo, si siede e “sente” tutti quegli sguardi su di sé. La sua mania di mantenersi puro e incontaminato dal contatto con gli altri, non si ferma ai guanti che tiene, tratto sgradevole anche secondo il bon ton, anche quando stringe la mano. Li toglie solo per toccare le opere. (I guanti una volta si vendevano minimo a mezze dozzine, sia per uomini che per donne; si poteva salutare senza un pari casta o superiore solo se era concesso e rappresentava un forte legame di amicizia o di parentela, ma mai un inferiore, ovvero graduatoria di purezza da salvaguardare.
La percezione era tale che una donna dell'elite senza guanti era considerata volgare quasi quanto vedere oggi una donna che in un Caffè in centro chiede una consumazione in topless (non sto scherzando). I guanti erano tratto distintivo. Il popolo non li portava ma una donna del popolo che era sempre senza guanti, non era disdicevole poiché … non era una donna, ma al massimo una femmina e anche questo di rado. Non si dimentichi mai che al Concilio di Trento la discussione se la donna aveva un'anima durò se non ricordo male, ben cinque giorni!

Ma oltre il guanto c'è di più. La mania delle posate e di tutti gli accessori del desinare, mania che ho anch'io ma in altra forma... E Virgil eccelle anche in questo. In ogni città nella quale lo porta il lavoro, ha un ristorante che ha accettato, su compenso, la sua mania. Ultimamente sta diffondendosi per esempio per quel che riguarda gli alberghi. Spesso ho sentito deplorare la sgradevolezza di dormire su materassi che han visto passare di tutto. E la norma, che sembra puramente igienica, è anche legata ad un io più profondo che sembra essere più vulnerabile di notte e nella ingestione di cibi e bevande. Lo dimostra il fatto che a molti clienti non basta sapere che il materasso sia stato igienizzato nemmeno con una bomba atomica. Non si tratta semplicemente di batteri e simili ….

Questo bisogno di purezza diventa globale per esempio nelle norme Kasher dell'ebreo osservante. In esse ogni aspetto della vita è regolamentato e gli eccessi li vediamo in Israele dove gli ortodossi estremi girano la città (Gerusalemme) passando dai tetti che hanno opportunamente collegati, per non essere costretti a girare fra esseri impuri.

Virgil non si relaziona con le donne? Non è esatto. Ogni ritratto è una donna e lo è nella forma che lui è in grado di sopportare. La forma purificata dell'arte. Ricordiamoci quel che disse Wilde dei cieli di Turner … la natura li offre a caso, Turner sceglie i migliori e li rende eterni oppure li inventa. Così l'artista con i ritratti femminili, seleziona in base al presunto ideale di un'epoca e al personale. In più i quadri scelti da Virgil devono avere uno sguardo, lui deve “sentire” quello sguardo su di sé, e così ottiene una relazione ideale e pura. C'è quindi appagamento ed equilibrio nella sua esistenza e Tornatore ha inventato una figura autosufficiente sul piano erotico, per quanto in modo malato. Una figura che è in sé un gioiello, un vero capolavoro. Ed è proprio a causa si questa completezza, di questa l'autosufficienza che questo personaggio diviene rigido, inutilizzabile. Era inattaccabile, monolitico … ma poi la realtà ha proposto a tornatore un caso di agorafobia, ed ecco che questo personaggio in questo caso femminile, chiuso in sé stesso ma autosufficiente in modo che sentiva e sento più precario, ha attirato l'altro. Sentiva il loro creatore, che insieme potevano agire, che anche l'equilibrio perfetto di Virgil poteva essere scardinato. Ricordo una simile inattaccabilità in un quesito che Tonino Guerra si pose per anni. Aveva scritto una situazione in due righe e mi chiedeva come poterla evolvere perché lui non ci riusciva. Ecco il fatto detto con parole mie: un uomo scopre che la moglie lo tradisce, da quel giorno apparecchia la tavola per tre. Semplicissimo e tremendo. Dopo essermi ben bene spremuto feci presente a Tonino, che se lei accettava la situazione forse si poteva inventare, ma sarebbe stata un'agonia. Sembrava comunque una situazione psicologicamente troppo forte e che avrebbe portato certamente alla rottura. Un fatto accaduto si situa nel ricordo e questo pian piano può annebbiarsi e sparire. Spesso la tragedia di esseri sensibilissimi è proprio in questo assottigliarsi del ricordo che sembra offendere per esempio la persona amata. Nel caso ideato da Tonino, la memoria non riesce mai a diluirsi. Rimane presente con la medesima intensità e secondo me non può andare oltre ad una forma di rottura. Capisco quindi il fatto che prima la figura di Virgil, che affinò per anni, e poi quella di Claire che prese da uno spunto reale, nella loro circolarità esistenziale quasi perfetta, no si prestavano a divenire storia poiché essa ha senso se vi è cambiamento. Veniamo ora alla natura, al senso profondo dello spiraglio che rese collegabili i due personaggi e potremo cogliere la chiave di lettura di Tornatore. Preciso prima che è proprio nell'imperfezione del testo nel suo insieme, nel fatto quindi che ci sia una crepa poi rattoppata in un senso che piace ai produttori, che si può risalire con discreta disinvoltura alla chiave di volta di questo regista. Ricordiamoci anche di un aspetto importante del lavorio interiore di ogni artista. L'opera vera la si scrive per sé stessi, per fare i conti con una incrinatura che non ci rende semplice esistere. Chi è felice vive, chi la felicità la sente sporcata da qualcosa, ecco che con essa deve fare i conti. L'artista quindi è il primo lettore di sé medesimo. L'opera contiene qualcosa di sé che l'io inconscio, che io considero universale, sacro, gli sta comunicando. L'opera è quindi momento di lezione, nel quale aumenta la consapevolezza. Si arriva poi fino al capolavoro puro nel quale l'artista ha compreso e con lucidità esprime la sua visone, la sua versione della felicità o il suo fallimento. Di recente ho ri-letto per esempio “Alonso e i visionari” della Ortese. In questo libro, una vita di intensa sensibilità approda ad un senso completo e catartico, ad una via, una possibilità di esistere riscattata dalle negatività in questo caso del suo novecento.
Inoltriamoci ora nella interpretazione del film ...

Quel che sappiamo dalla lettura è che Virgil è così perché … “... un bambino che perde i genitori, un orfanotrofio sporchissimo. Quella roba lì. La sola nota interessante era che le suore punivano il bambino costringendolo a lavorare dal restauratore che aveva bottega in un'ala dell'orfanotrofio.”
La nostra mente, troppo razionale, ha sempre bisogno di rispondere ai perché, solo così l'altro ha la possibilità di essere accettato e tollerato anche se mostra comportamenti limite. Il caso dell'orfanotrofio poi, apre possibilità enormi di negativo. Si prenda come caso estremo quello del mostro di Rostov. Se non lo si conosce si può leggere su internet. La partenza fu in una di quelle strutture, il disastro della sua psiche estremo. Noi sappiamo di essere la somma del nostro passato; certi eventi vissuti producono danni irreversibili, e si ha il trauma, altri ci trasformano in esseri particolari, strani, maniacali. Se il trauma non è curabile, chi ne soffre può solamente essere educato a lanciare segnali per poter essere salvato quando la crisi porta a soluzioni estreme come la violenza contro se stessi o gli altri, fino a forme efferate di suicidio e omicidio. Se invece non si è varcata la soglia irreversibile del trauma, ecco che, se la sorte aiuta, e se nella persona in questione esiste comunque una volontà positiva, ecco che la vita può comunque fiorire, ma solo attraverso vie contorte. Virgil ama la femminilità ma, a causa delle prime figure femminili che ha “assaggiato”, le mitiche suore verso le quali ho anch'io il dente avvelenato per qualche brutto ricordo, ha scisso la corporeità dall'ideale. In un certo senso Virgil è “pieno” di donne, ne ha ben 279, che hanno lo sguardo concentrato su di lui. Il suo equilibrio, anche se malato, lo ha raggiunto.
Claire Ibbetson, ha ventotto anni, da quindici vive chiusa in quella casa e non ne è mai uscita. I genitori sono morti da poco e per le sue esigenze provvede un guardiano tuttofare che anche pulisce e fa la spesa. Il contatto con Virgil è avvenuto perché intende vendere arredi e quadri. Di lei sappiamo che la sua agorafobia si manifestò a Parigi, mentre con i genitori era sotto la torre Eiffel, in un piazzale gremito di turisti. Così fu la prima grande crisi. Solo una città, Praga, le ha dato un senso di felicità e ci si muoveva senza problemi anche nella piazza principale gremita di gente. In questo frangente in modo non calcolato, Tornatore ha usato due simboli che noi “beviamo” interiorizziamo e comprendiamo senza che essi passino per il setaccio della razionalità. Pensate un attimo, in modo secco e rapido, alle immagini che vi vengono in mente pensando a Parigi. Scrivete proprio su un foglio un insieme di nomi che secondo voi la caratterizzano, se poi lo fate con amici, potrete cogliere come alcuni di esi son denominatori comuni condivisi. Parigi è moda, eleganza, profumi, mondanità chic solo per iniziare, che poi la realtà non sia così poco cambia. È un poco come per le notizie che i media ci rifilano. Esse, anche se son finte, sono la nostra realtà …
Ora pensiamo altrettanto rapidamente alle immagini, alle suggestioni che ci offre Praga … se poi si tiene conto che Tornatore è colto, ecco che Praga magica (grazie Ripellino...), mistero, Golem, Rodolfo II e Kafka, tutti aspetti che sfuggono alla nostra lettura razionale per aprirsi ad un oltre intrigante, ecco che cogliamo quel che si è ottenuto con la scelta di quelle due capitali. In quella Praga magica, l'incantesimo chiamato agorafobia è sospeso. Amo gli aspetti irrazionali poiché semplicemente hanno un livello di senso più vasto e profondo … e secondo me Tornatore deve far leva su questo spiraglio delle sue vie inconsce, che in “la corrispondenza” si fanno più esplicite … quindi non c'è di fatto bisogno di dirglielo perché è proprio in quella direzione che si sta inoltrando … cosa “combina Praga? Elimina “l'antico turbamento” (che bel modo per togliere l'abito medico-razionale al vocabolo agorafobia e alle tristezze che son pura malattia). Altro passaggio interessante, nel raccontare come stava in nel ristorante praghese “La notte e il giorno” scopriamo una definizione tipica delle persone che escono da un tunnel scuro: “... Era stata proprio felice, in pace con se stessa. Questa definizione di felicità non è quella delle persone che hanno avuto una vita normale. Bisogna averla persa la pace, per considerarla la felicità nell'attimo anche breve che la assapori. Queste sottigliezze di natura psicologica, poste al confine fra razionale ed inconscio, sono la caratteristica, la chiave, del Tornatore di questo film si situi su un confine che valicherà con lenta progressione.
Abbiamo due malati, chiamiamoli così. Virgil, che è frutto di una dinamica che la scienza spiega completamente, l'altra che invece alla scienza sfugge. Come spiegare la tranquillità praghese? Impossibile ad un medico. Penso che non avrete dubbi in proposito. Ecco quello che accade, il non razionale, Claire, per il nostro io profondo, sfocia nel sacro. E' il sacro quindi, e non l'erotismo, che toglie Virgil dalla sua esistenza che è un meccanismo circolare perfetto nella sua autosufficienza.
Veniamo ora ad un parallelo antico che il regista ha pescato in sé stesso, e che ci fa “sentire” la antichità e l'importanza della situazione. Si pensi all' “Ippolito” di Euripide, una tragedia. Trama; Ippolito è devoto alla dea Diana. Questo significa che è casto e il suo amore per la dea mai arriva alla carnalità. Nella Grecia antica, tutti gli dei dovevano essere rispettati, altrimenti diventavano terribili. Non si trattava di un gioco letterario. Ogni divinità rappresentava un aspetto dell'esistenza. L'educazione religiosa quindi portava, se rispettata, alla pienezza dell'esistenza vissuta. Ippolito, col suo comportamento, ha offeso Afrodite e da questa base si innesca la trama. Ci sono temi che sono eterni e ogni epoca con i suoi artisti dà loro una forma. In Tornatore, l'esigenza della pienezza esistenziale diviene archetipo nella figura del protagonista maschile di Baaria. La sua esistenza è come deve essere e le varie fasi, l'infanzia, il periodo dell'amore, poi della paternità e il primo segnale di morte, son resi benissimo e li spiegherò più avanti. Virgil e Claire, per motivi non dipendenti dalla loro volontà, non hanno accesso alla pienezza dell'esistenza, ed essa si realizza nel film poiché la parte irrazionale di lei, che come ho dichiarato prima, rappresenta l'ingresso del sacro, è in grado di scardinare il sistema l'equilibrio patologicamente autosufficiente di lui che come Ippolito non agisce nella sfera di Afrodite.

L'irruzione dell'irrazionale in Tornatore non è presente solo nel sacro che sta alla base della condizione di Claire, che in quanto sacro è quindi una mània e non una malattia. La presenza di esseri che la società considera matti, la si trova in Baaria in quel personaggio che prima grida sempre “dollari!” poi venderà penne, insieme alla signora col figlio non troppo normale, che in cambio (tipico comportamento divino) ha ricevuto la capacità di vedere frammenti spesso insignificanti di futuro. In questo la sicilianità di Baaria si collega alla grecità che essa contiene. Per chi dubita è sufficiente leggere le prime pagine de “Il tramonto degli oracoli” di Plutarco di Cheronea. Troviamo l'irrazionale che si fa evidente come messaggio oltre la vita anche in “La corrispondenza”, e mi riferisco al comportamento anomalo del cane come alla foglia che insistentemente, come una mano, batte sul vetro della finestra, tenuta sospesa dal vento. Si ricordi che l'irruzione del sacro è affidata più che mai alla nostra epoca, a quel che scardina il razionale (detto anche scientifico), e la nostra epoca sta agendo con forza in questa interpretazione. Se per il laico puro, ciò che non si spiega si spiegherà, per chi ha il sacro dentro di sé, ogni dato che l'intelligenza non spiega, potrebbe essere una finestra, una porta stretta verso il sacro. Esso poi risulta ostico se lo si affronta con la razionalità poiché non è nel modo più assoluto il suo linguaggio. Per questo il sacro risulta irraggiungibile nella nostra epoca.

Prima ho detto che nel film ad un certo punto trovo una crepa che verrà rattoppata in un'ottica che piace ai produttori e or ami spiego. È quel finale sorprendente che piace al cineasta poiché la sorpresa che ribalta tutti i sensi accuratamente ricamati, tecnicamente funziona, ma di fatto, solo per un aspetto mantiene un filo antico, legato ad un'idea profonda tuttora viva nella cultura dell'India. Se Claire con l'aiuto di complici ha ha agito solo per arricchirsi con le opere di Virgil, allora la sua malattia che risulta finta, è stata da noi male interpretata? No, Semplicemente cambia senso in corso d'opera. Da realtà che Tornatore ha conosciuto nella vita, vira a finzione Direi di no, poiché nella mente del regista, quel personaggio, estratto da uno vero, è veramente così. La finzione di Claire è a sorpresa che il cinema spesso richiede e che al regsita serve perché ha la sensazione che altri finali che ha meditato, non soddisfino. Ma qual'è il soggetto ricevente secondo l'ottica del produttore, e che quindi il regista deve in qualche modo accontentare fino a quando egli non diventa pure il produttore di stesso? È il pubblico medio. Un pubblico spesso intelligente, spesso emotivo, ma raramente sensibile. Se soddisfi solo la sensibilità avrai forse un migliaio di spettatori … e la tua carriera di regista con un flop simile finisce perché nessuno ti cercherà più. La sorpresa quindi, il thriller finale, che per quanto sia un corpo estraneo al simbolo che riecheggia in positivo la tragedia di Ippolito, non lo trasforma in un triglier, va accettata e  nel contempo ignorata, e questa ovviamente è la mia personalissima opinione. Il film rimane secondo me valido perché le chiavi sono nei caratteri dei personaggi esattamente come in Simenon la qualità non è nell'aspetto poliziesco del commissario Maigret, ma nelle personalità, nei mondi che ci rivela, nella concezione di giustizia dello stato e giustizia naturale che definisce sottilmente.

Che il film sia di qualità ce lo dimostra una collaborazione eccellente.
Penso da anni che quando Ennio Morricone decide di lavorare con un regista, questo vuol dire prima di tutto che il film sarà almeno interessante. Si faccia caso che s tutte tre le pellicole che sto meditando, lui ha collaborato e secondo me ad un livello attualmente ineguagliabile. Penso che ognuno di noi abbia eletto delle guide. Io in letteratura mi son fidato per anni di Borges per esempio. Le scelte di un artista ci attirano di più di quelle di un intellettuale, se parliamo di arte, e penso che sia una equazione ovvia. L'artista tenta il simbolo lasciandosi andare, osservando quel che sgorga in sé stesso, e solo successivamente lo irrigidisce in una struttura.
Trovo quindi “La migliore offerta” di Tornatore, un film notevole che non è perfetto ma perfettibile come l'esistenza di un essere umano.
Un gradino più vicino a quella perfezione che ho citato, e che di fatto è irraggiungibile come il limite tendente ad infinito in matematica, lo ha percorso con “La corrispondenza”.

LA CORRISPONDENZA



Se il testo de “La migliore offerta” pubblicato da Sellerio, contiene un chiamiamolo scritto tecnico che serviva per fissare brevemente le idee chiave di qualcosa che doveva diventare un film, e questo spiega la sua spontaneità e bellezza, “La corrispondenza” è invece un romanzo nato dopo il film. Di solito prefazioni e postfazioni le tengo per ultime. Nulla deve influenzare la mia lettura, e così procedendo, avevo “sentito” che l'inizio era ragionato, calcolato, costruito. Sensazione che non mi ha seguito per il resto della lettura e questo vuol dire secondo me che Tornatore è riuscito a lasciarsi andare e a rivivere l'avventura che aveva già concluso in forma cinematografica.
Premetto che il regista è un uomo, nel senso che è di sesso maschile, dato fondamentale per poter cogliere certi significati. Pochissime opere vanno oltre la divisione maschio/femmina, accedendo a quel livello nel quale si parla universalmente dell'essere umano.... La considerazione può sembrare ovvia, ma non lo è assolutamente. La visione del mondo, del senso della vita del maschio, è diversa da quella della donna, livello al quale, l'artista che riceve in dono molto tempo anche in vecchiaia, come per esempio Borges con l'elogio dell'ombra, livello al quale, dicevo, l'artista di solito accede, e raramente, alla fine del suo percorso esistenziale . Questo aspetto diverrà particolarmente evidente in “Baaria”. Quel che voglio dire è che il modo di agire di Ed Phoerum è profondamente maschile, e la sua idea di mascolinità, che si esprime con l'agire protettivo, è in parte debitrice alla sua origine. Non lo dico in tono dispregiativo. Si comprenderà successivamente.
Avevo prodotto uno schemino per i due protagonisti: cerco maldestramente di riprodurlo:

Prof ed Phoerum                                                                       Amy Ryan

acrobazie della mente                                                               acrobazie del corporeità

mente                                                   PIU'                              corporeità

                                         uguale... un essere completo.
Temi:

Angoscia, lotta con la morte                                                   morte come senso di colpa
per eternare il suo essere causa: reiterare come

protettivo dalla morte                                                                               autopunizione                                                                                                 sperimentando l'attimo soglia
                                                                                        fra vita e morte rivivendo gli
                                                                                        ultimi momenti del padre.


Svisceriamo il primo aspetto. Essere protettivi.
Rappresenta la versione più gentile della potenza maschile e ha la caratteristica di essere una protezione sia globale, sia psichica che fisica (la donna tende, per tradizione e forse anche per indole, a proteggere il corpo, a risolvere i problemi della corporeità; ne abbiamo un esempio nel fatto che in tutte le culture, la gestione del corpo, dalla nascita fino al controllo delle funzioni fondamentali, e la fine, ovvero vecchiaia sommata alla ritualità legata al corpo del defunto, sono monopolio della femminilità). Essa, l'Indole protettiva, può esprimersi in varie forme, non ultima quella distruttiva (vedere "casa di Bambola di Ibsen"). La forza nella sua espressione più alta, anche se parte dal suo uso con intento protettivo, può diventare violenza, lo sappiamo. Essa diviene protezione discutibile quando agisce in base ad uno schema morale non necessariamente dotato di senso. Nel caso di Tornatore esso trae la sua concreta vitalità non alla logica o dalla morale, ma dalla tradizione. Si pensi a tanti, troppi film nei quali la donna ama non l'uomo per quel che è, ma per la potenza che esprime, ed essa, quando va bene, è per un quarto forza mentale (intelligenza), e per tre quarti forza fisica o potere sociale (esempio "Pretty woman". Clint Eastwood ha abilmente smascherato uno dei tanti diffettucci della nostra epoca con il suo ispettore Callaghan. Il cartellone di uno dei film su quel personaggio, mostra il buono e il cattivo che se le danno di santa ragione. La scritta che leggiamo dice: “il buono è quello col distintivo”. Chiaro il messaggio. Il cattivo usa la violenza. Il buono usa la violenza per ristabilire l'ordine. Suona strano, non trovate? Ma il buono non dovrebbe usare la bontà? … e la violenza solo quando la situazione si fa intollerabile e può essere vista come ultima spiaggia o legittima difesa? E Infatti Tornatore la pensa così e l'istanza protettiva diviene violenta solo una volta, per reazione ad un sopruso subito dal padre (Baaria). Peppino, il protagonista di “Baaria”, e guarda un po', si chiama proprio come il regista...., userà le mani solo quando il padre verrà malmenato dal riccone spietato del paese. Peppino, come Ed Phoerum, esprime la sua forza generale e protettiva col pensiero, e oltre il resto con un aspetto particolare del pensiero, la fiducia nonostante tutto, ad un ideale, che in questo caso (in Baaria intendo) è il comunismo. Ed, è il massimo della mente occidentale, una versione di Einstein, una sua conseguenza. Un astrofisico, docente, così abile nel ragionare che spesso sembra che preveda il futuro. Ad Amy, lui sembra quasi dotato di poteri magici. Esempio per chiarire. Quando i nativi americani videro la nave di Cortes, pensarono che fosse una divinità. Dove col razionale non ci arriviamo, o sospendiamo la risposta oppure … entriamo nel sacro. In “La corrispondenza” il sacro non esiste oppure, tenta di non esistere. Amy, allieva di Ed, non pensa che lui sia un mago o un dio. 
E' consapevole che lui è il prodotto più avanzato della capacità intellettuale, ma questa capacità si riveste di sacro per lei. Due esseri profondamente razionali si affrontano su ciò che disgrega l'io, o sembra disgregarlo, ovvero la morte. Mi spiego meglio. Per l'io dell'intellettuale sorto dall'illuminismo ed evoluto secondo me in un mostro fino ai giorni nostri, la morte è lo scacco, la sconfitta, una realtà che annienta l'io.
Ambedue i protagonisti, per vie diverse, devono affrontare la morte.
Amy guidava e una fatalità della quale mi sembra evidente non avesse colpa, e così la percepisce lo spettatore, aa nette di fronte alla morte. Il padre che era di fianco a lei. Si noti la sottigliezza che secondo me è inconscia in Tornatore. Amy ha causato ma in una situazione senza colpa quel decesso. Il problema non è quindi da "vedere" nel senso di colpa, liberiamoci per un attimo di questo schema utile nel vivere comunitario e basta. È l'incontro, la scoperta della morte, che la trasforma in quel che è. Una stunt-girl che costantemente della morte assaggia il limite senza mai ovviamente valicarlo. In lei lotta il bisogno del padre che è oltre quel limite, ma non un bisogno del padre affettivo, ma di rivederlo su quel confine che annullerebbe l'evento irrazionale che è il morire rendendolo tollerabile. Il problema della morte è che può essere al massimo accettata, ma razionalmente sfugge.
Ed è il positivista estremo. Possiede la conoscenza più vasta in senso spaziale e temporale. Un astrofisico studia il tempo dalla nascita della materia fino ad oggi, e studia lo spazio che sembra a volte pieno di limiti e a volte illimitato. Questo principe degli astrofisici lo vedo così. Conosce la nascita della materia, o suppone di conoscerla, ed è certo, sicuro che sia la realtà. La materia da inerte diviene biologicamente viva e l'essere umano rappresenta l'estremo di una evoluzione che dal big-bang ci consegna una sensazione di progresso continuo. Ma, se la materia si organizza in modi sempre più complessi e notevoli, l'io individuale soccombe. L'io non è materia. È in essa, ma lo percepiamo come indipendente dalla materia. Ebbene. Lo studioso dell'immortalità della materia si ritrova a fare i conti con la presunta mortalità dell'io immateriale.
Uno degli aspetti commoventi del film, e secondo me di una delicatezza surreale e … e non ho parole … è che Ed non si strugge, non è angosciato dalla sua morte, ma dal fatto che lei, Amy, non potrà più proteggerla.
L'intelligenza è egocentrica. Ho bisogno di esistere per poter continuare a godere del piacere di esistere. E' per questo che l'epoca che stiamo vivendo sta diventando sempre più individualista e … mostruosa. L'altruismo invece si nutre dell'amore, ha bisogno di amore. Non sto dicendo niente di nuovo. Il protagonista maschile del film, Ed Phoerum, è un essere irreale oppure rarissimo. Un intelligente che da la precedenza in modo estremo all'affetto. Fateci caso che per noi il dramma di un cancro è sentito come individuale. Chi se lo ritrova in corpo farà i conti con il suo annientamento. Siamo fatti così ormai. Ed invece fa i conti con i fatto che la persona che ama sarà indifesa nel mondo, un mondo nel quale lui la sta guidando dandole tutte quelle sicurezze che riducono il male e la sofferenza ad una ipotesi remota e poco credibile. Domandona. Perché Tornatore è riuscito a concepire un personaggio simile? Lui non è Ed. Tornatore è sensibile. Ha gli affetti al primo posto e la razionalità non ha perso il ruolo di strumento. Affetto uguale scopo, fine dell'esistenza; intelligenza uguale strumento, strategia per vivere pienamente l'affetto o la realizzazione materiale.

Esempio estremo. Le variazioni Goldberg di J.S. Bach. Esse sono un gioco intellettuale e come tale vengono godute e apprezzate da chi sa leggere uno spartito. Gli altri, condizionati prima di tutto dal fatto che Bach gode dell'attributo del genio, rispettano e tendono, com'è d'uso in esseri non solo intelligenti ma o emotivi o sensibili, a interpretare con la chiave sentimentale. Emozione = reazione che può sfociare in lacrime riso o angoscia, poiché dai cinque sensi va direttamente alle viscere senza passare per il cervello o il cuore, oppure lo farà, ma in un secondo tempo. Sensibilità = reazione spesso non plateale, che corrisponde a far entrare un evento sempre dai cinque sensi, ma nel diluirlo poi in tutto l'io. Quando mente cuore e viscere insieme si scuotono, ecco la grande reazione di un vero essere umano. Bach è un gioco intelligente. Per mezzo delle Goldberg l'intelligente totalizzante, colui che ha scambiato il mezzo col fine, gongola, e chi non è in grado di “vedere” i giochetti intelligenti, chiede alle viscere di dare segni di vita per non fare la figura del fesso. Mi raccomando! Non si pensi che per me Bach sia da buttare, ma non faccio come quei modaioli che quando si affezionano ad una griffe, di essa accettano tutto devotamente, anche se è impresentabile! L'aria sulla quarta corda per esempio è un capolavoro che in certi momenti della mia vita sento addirittura necessario, e più ancora la Messa in si minore, ma il Bach solo intelligente, che gioca e si fa bastare l'intelligenza mi fa venire freddo, un tipo di freddo che le maglie di lana anche grosse un dito non rimediano, perché parte da dentro. 

Torniamo al film … Ed Phoerum non rappresenta Tornatore. Lui, il regista, è intelligente, non ho dubbi, ma per lui il mezzo non si confonde con lo strumento. L'intelligenza sempre più grande come attributo della potenza maschile che si proietta nella protezione di chi si ama. Questo è l'ideale maschile di Tornatore, e questa definizione, che sento anche mia, ha reso il film di difficile comprensione per la massa. Pensiamoci. A scuola ti insegnano nozioni, e come applicare l'intelligenza ovunque. E la sensibilità? C'è, ma è rivolta solo a se stessi ... e di rado.
Perché Tornatore ha in sé questa concezione dell'amore e dell'intelligenza come mezzo? 



Perché è di Baaria! Essere siciliani, e comunque del sud Italia presuppone che esista si l'individuo, ma all'interno di una comunità. Niente comunità niente individuo. 

Esempio tremendo ed estremo tratto dal “Libro nero”di Vasilij Grossman. Villaggio ebreo dell'Ukraina, anno 1943. un vecchio è andato nel bosco per fare legna. Torna e il villaggio è disabitato. Ascolta attentamente e sente lontano, un crepitio. Lo raggiunge e vede tutta la SUA gente che è in fila davanti ad una fossa e i nazisti che stanno ammazzando. Cosa fa il vecchio?!? ... si toglie il cappello (così lo immagino da anni anni e anni) e si mette in fila. Quanti di noi riconoscerebbero come elevato il senso di quel gesto? Ormai quasi nessuno. Se non c'è più la mia comunità, non ho più senso … pensate ora all'uomo attuale che per lavoro viene sradicato. Gli rimane se stesso e un senso di angoscia che fa capolino ogni volta che l'io a sé medesimo non basta … e capita spesso. A me sembra, così a pelle, che Tornatore viva invece questa dimensione secondo un'altra categoria. In Baaria gli egoisti che sfruttano e maltrattano la comunità, sono i ricchi, che di fatto ricchi sono per il fatto di sfruttarla e non amarla quella comunità. È così anche  in un mio solito discorso che spesso ripeto alla gente. Non posso essere felice anche se per esempio vinco al superenalotto, mi considerano un fenomeno dove più mi piace e la bella del secolo sbava per me se …. se nel frattempo la comunità nella quale vivo non mi ama ma mi invidia, se chi sta male non lo vedo. Ma esiste qualcosa di più osceno di un essere coperto di oro e diamanti che passa davanti ad una persona che chiede l'elemosina e ne è infastidito? Posso capire il disagio di questo attuale 2016, nel quale spuntano mani elemosinanti ovunque, ma ricordate che se accade è perché intelligenza ed egoismo hanno deformato l'uomo fino a farne un mostro!
Ed Phoerum, si concentra su chi ama e sul fatto che la lascerà sola. Per questo crea una situazione drammatica e stupenda e con lettere pacchetti messaggini, e mail, e video, continua ad essere presente nella sua vita anche quando lui non c'è più.
E qualcosa di induista, antico come l'uomo alla fine accade. Lei, Amy, ha uno spasimante gentile e paziente, ma nemmeno lo vede e alla fine del film lei gli dice che si rivedranno, gli ridarà i suoi numeri, ma lei si gira, si incammina e Tornatore inquadra il cielo notturno e stellato, nel quale lei ha ormai ottenuto la sua completezza rivelandosi fedele ormai eternamente ad Ed (ecco la chiave segreta ....guadagnare l'eterna e totale fedeltà di chi si ama...). Dice una grande religione che l'amore è la sensazione che la divinità vive costantemente, eternamente. E Ed alla fine ce l'ha fatta. Terminati i video e i trucchetti, lei entra in possesso tramite l'irrazionale, che come al solito anche in Tornatore come in Fellini (coi matti che gli insegnò Tobino) ha l'aspetto di chi è stato rifiutato dalla razionalità, ovvero il matto, entra in possesso della memoria di una videocamera . In essa ci sono intentativi di Ed di fare quei video. Prova e sta male, riprova e si interrompe. Per me, coinvolto completamente è stato il momento delle viscere, ammetto di esservi commosso come mi capitò solo con “Nostalghia” o davanti al corpo di mio padre dilaniato dalla malattia che sembrava esser stato masticato da un campo di concentramento. Lei piange. Il corpo è annientato, finito, terminato, lo vede da quelle prove video, e anche i suoi trucchetti non reggono più, ma lei ha amato, non è più sola, non è mai più sola. Lei ha ancora il corpo, ma non importa. E l'amore introduce Tornatore nella sensazione d'eternità, l'unica che ha trovato e che secondo me lo porterà lontano.

Le espressioni artistiche possono fare cose notevoli anche senza amore. Prima ho citato “Nostalghia”, secondo me il capolavoro assoluto del cinema. In esso è un individuo che che cerca la spiritualità. L'amore, come per Amy nel film, non è la meta, ma la prima sensazione di armonia col tutto che porta lontano; non diversamente dalla Beatrice dantesca che si fa guida verso l'Assoluto. Prima o poi, chiunque abbia amato, ma non solo e non necessariamente in modo carnale, deve fare dei conti da solo, e per mezzo di quell'esperienza che non è della mente e non è solo dello spirito, poiché si fa all'amore col cuore col corpo, con tutti se stessi, si potrebbe arrivare ad una simbiosi che non intendo spiegare non perché me la tiro, ma perché (non si può dire ma “ma perché” ma mi piace!) non esistono le parole ... e gli artisti più fini esistono proprio per dare immagine, parola, forma a questo inesprimibile.

Ne “La corrispondenza” esiste poi una paginetta che mi riguarda da vicino. Sia Tornatore che umilmente io, siamo approdati ad una conclusione che fa dire ad Prof Ed Phoerum: “Per quanto ne so, al momento della nascita ogni essere umano possiede la virtù dell'immortalità. Tu dirai -ma poi muoiono- Sì, perché nel corso della loro esistenza commettono un errore fatale, che gli fa perdere la dote della vita eterna, Già ti sento chiedermelo: quale errore? … Questo non lo sappiamo, ma è grazie a quell'errore che gli uomini diventano creature mortali.”
Anche secondo me la situazione è quella, con la differenza che io dico che non è causa l'errore che descrive Tornatore, che si perde l'immortalità. Per me essa, l'Immortalità, è accessibile se si comprende che per attuarla si deve rifiutare l'altalena di gioia e sofferenza, quindi l'amore nelle sue varie forme come guida che supera questo aspetto. Ognuno di noi sa che amare per un essere mortale, sarà eterno finché dura, ma ce ne freghiamo di questo aspetto banalizzante della realtà e il risultato è che si preferisce una goccia di amore del corpo, un suo attimo calcolabile, all'eternità col corpo, che presuppone anche un esilio, poiché se il corpo non lo lasci non ti ricongiungerai mai col tutto. Spesso nei miei scritti appare, anche recentemente nel racconto al titolo “Masako”.
Tornatore qui, in "La corrispondenza" secondo me fa parlare Ed con la commozione che spesso vive l'artista mentre crea e le parole son le seguenti: “Il mio errore l'ho capito. Nessuno ci riesce, io si. Il mio errore è stato non averti incontrata prima.” 
Ma … non è un errore! Se una persona non la incontri che colpa hai! A questo punto si potrebbe pensare che il caso, la sorte, decide della nostra immortalità? Nooooo. Non è così! Non ci sono errori. L'unico possibile, l'esistenza più brutta che riesco ad immaginare, consiste nell'aver desiderato amare rinunciando quindi all'eternità del corpo (che poi deve essere di una noja mortale!), nell'aver amato l'amore e non averlo mai incontrato. Aver incontrato solo simulacri. Ecco l'inferno, e attualmente, un una dimensione così forsennatamente individualista, è facilissimo che accada. Attualmente spesso, troppo spesso, viene chiamato amore, la soddisfazione reciproca di due egoismi...
Comprendo comunque quel che Tornatore voleva dire ...Ed Poerum con quella sua grande capacità razionale che lo portava a sembrare un veggente, avrebbe dovuto arrivare al punto da essere in grado di comprendere chi amare .... ma non è riuscito in questo e quindi ha perso .... ma ha perso? no .... perché sappiamo dall'ultima scena che Ed sarà amato per sempre!

Ora dovrei parlare di Baaria … ma ho l'impressione di aver detto tutto. No … manca un particolare. In Baaria, l'amore è una tappa fondamentale per la definizione, secondo Tornatore, del ruolo reciproco e sociale della donna e dell'uomo. A lei la gestione della famiglia, a lui quella degli ideali. I figli sono in comune e rappresentano la sintonia che dimostra così anche la continuità carnale. Penso sia realmente così. In una coppia se si è troppo uguali come si fa a dividersi compiti? Tornatore ama friggere cuocere al forno e condire ideali, e se non glielo lasci fare diventa l'albatro di Baudelaire sbeffeggiato dai marinai. Immaginate una donna con bambini intorno e che tiene un filo al termine del quale, ben oltre le nuvole sta Tornatore, legato ad una caviglia da un filo di affetto. Lei ogni tanto lo tira giù e fanno un figlio, si amano e poi lui riparte. Nel film il viaggio era il capoluogo, la capitale e le manifestazioni ... gli ideali, ma poi tornava, ammaccato o felice ma chi ama torna sempre. Essendo così anch'io chiederei ad una donna anche un'altra dote (poveretta....!): regolare il filo, e se mi avvicino troppo al sole delle idee pure che annullano l'io. Ciao