martedì 7 giugno 2011

perchè leggere?

Perché leggere. Non è così semplice trovare una motivazione a questa domanda.

La lettura ha aspetti che al primo impatto sembrano assai negativi. Per esempio non è un'attività socializzante. Attualmente lo si fa mentalmente e in solitudine. Non è stato sempre così. Avete presente i sigari Montecristo? Il nome è dovuto al fatto che le sigaraie cubane, mentre arrotolavano le foglie di tabacco sull'interno coscia, amavano farsi leggere qualcosa e il libro preferito era “Il conte di Montecristo”. Non è solo quello il problema. Anticamente si leggeva muovendo le labbra, a volte sussurrando il testo, e comunque, spesso le letture erano di gruppo. Non tutti sapevano leggere e quindi questa era una soluzione ovvia. Nei refettori dei conventi, durante il pasto, un religioso a turno leggeva qualche passo da un testo sacro o edificante. Ora che tutti sanno leggere, il suo aspetto collettivo è sparito quasi completamente. Si rende necessario quindi un dono: saper stare con se stessi. Sembra facile, ma quanta gente conosciamo che, una volta rincasata dal lavoro, frigge dalla voglia di fare e non pensa ad altro che a relazionarsi? Si ha una paura terribile di star da soli. La solitudine fa girare la mente e i pensieri possono fare paura. Allora si accendono o la tivù o la radio o il computer e si crede di entrare in contatto col mondo. I primi due oggetti ci chiedono di essere passivi. La partecipazione è ottenuta col coinvolgimento emotivo di notizie o film e con i quiz, ma di fatto siamo soli, davanti ad un idolo che ci impedisce di stare con noi stessi. Internet è invece più potente ma anche più ambiguo. Ci si può relazionare, ma non c'è completezza poiché la presenza fisica è assente. La web cam ci può far vedere l'interlocutore, ma la relazionalità vera, completa in tutte le sue sfumature può avvenire solo con la presenza fisica, condividendo i medesimi spazi, odori, suoni e leggendo la gestualità completa del corpo dell'altro. I siti di incontri e le chat, basate sulla scrittura sono ancor più finti. La tentazione di proporsi non per quel che si crede di essere (e che comunque è sempre diverso da quel che gli altri percepiscono), ma per quel che si vorrebbe....falsifica anche involontariamente il contatto.



Si può leggere un buon libro, ascoltare un brano di musica “vera”, osservare con attenzione un buon quadro o un film, solo se si trova piacere nel pensiero e pensare, è duro da ammettere ma è purtroppo vero, non è un'attività necessaria per vivere. Si può benissimo arrivare a sera, per anni, limitandosi a reagire superficialmente a degli stimoli. Mettiamo in chiaro una cosa: salire su un autobus sapendo distinguere qual'è l'entrata e saper obliterare un biglietto, per esempio, è un livello talmente basso di uso della materia grigia che lo considero facente parte del livello zero. Una volta che sappiamo muoverci nel mondo, la nostra vita non dovrebbe esaurirsi in quel muoversi che non approderà mai ad un senso. Sia Flaiano (in “Una e una notte”) che Musil (ne “L'uomo senza qualità”), descrivono in modi diversi questa situazione. Ricordo di Musil l'immagine di queste persone che girano per Wienna dopo essersi accuratamente preparate e sembra, dal passo, dallo sguardo, che abbiano tanto da fare, mentre invece tutta la loro energia si scarica in quel moto senza una direzione. Spaventoso ma vero.



Leggere e non solo, presuppone la scoperta del pensiero e questa scoperta ci rivela prima di tutto a noi stessi. Perché? Perché comprendiamo che il nostro agire deve avere un senso, deve disperatamente averlo, altrimenti la vita, la nostra vita, si ridurrà a quel punto zero che consiste nel ripetitivo sapersi muovere nella società e soddisfare i sensi.



Il libro, quello vero, è quindi portatore di un dono. Esperienze che potremo vivere vengono mentalmente vissute e comprese dal un punto di vista di un altro, di un estraneo che ci rivela le crisi, i paradossi di certe situazioni, le sfumature dei dolori e delle gioie, il fascino di un odore ecc.



Vi porto un esempio che probabilmente vi sarà difficile approvare ma, non dimenticate mai, per favore, che quel che scrivo qui è mio, altamente soggettivo e quindi spesso non condivisibile. Che noia se fossimo tutti uguali anche nel pensiero!



Dunque: l'amore. La natura ci insegna il sesso. Non abbiamo bisogno di maestri. In noi si sveglia qualcosa che ci rende attraenti ad un partner e viceversa. Ma, e l'amore? Quello secondo me s'impara. Attualmente un bambino o anche un adolescente non ha vita facile per comprendere questo sentimento. I genitori spesso son separati o mentalmente calati in una giornata concepita come sopravvivenza al lavoro, ai conti, ad un sacco di impegni. Si hanno quindi padri e madri che collaborano e ben pochi affetti diventano visibili poiché richiedono tempo. Il bambino non ha solo bisogno di riceverlo direttamente l'affetto. Deve anche vedere altri che se lo scambiano e comprendere che quello fra i genitori (o chi per loro) è di natura diversa dal quello che da loro riceve, basato su un magnetismo che non è necessario spiegare. Anche Emilio Fede forse, è in grado di distinguere il senso fra il bacio dato al figlio e quello dato al partner. Vedete, non sempre la trasformazione di un fatto in parole corrisponde al renderlo sensato. In un racconto d'amore non si fa necessariamente dire ti amo al protagonista, ma si crea una situazione che fa cantare il sentimento fra le righe, così come nella vita, un gesto, uno sguardo, una carezza parlano da soli e no hanno bisogno di sottotitoli. Anzi, ne hanno invece bisogno, se e quando si è cresciuti in un ambiente che rivela la sensualità e non la dimensione affettiva di un sentimento diverso da quello genitoriale o parentale.



Non ci credete? Ricordo una ragazza arrabbiatissima con se stessa. Le chiedo cosa le è accaduto e mi risponde candidamente che non sopporta il suo ragazzo. Le dico che se questo è il problema non le resta che “mollarlo”. E invece no!, mi fa sapere. Non è possibile. Quando è con lui vorrebbe stare con la sua compagnia e lo odia per questo e quando sta con la compagnia sente la mancanza di lui.

Le dico che forse si tratta di amore. E poi, non lo può incontrare con il suo gruppo? Mi fa presente che non è possibile. Sente l'esigenza di vederlo da sola, di stare con lui, ma poi, dopo un'oretta lo manderebbe a quel paese perché vorrebbe vivere di più, fare di più, non “fossilizzarsi” con una persona sola.

Il fatto è vero. Questa ragazza stava scoprendo da sola l'amore che è ovviamente un sentimento esclusivo, che si riversa su un solo essere ma, essendo stata abituata dall'esperienza, alla vita di gruppo, affrontava completamente disarmata qualcosa di grandioso e l'attività contemporanea di vivere e comprendere, senza disporre di tracce guida, la disorientava e innervosiva.



Quante volte, meditare su quanto ci è accaduto, ce lo rivela in tutta la sua grandezza e spesso anche nella sua abiezione! L'aver letto ci porta davanti alle nuove esperienze che ci capiterà in sorte di vivere, mai completamente sguarniti. E' vero che non si ripeterà mai la medesima situazione, ma qualcosa di simile senz'altro. Vi sarà forse capitato per esempio, durante una passeggiata, di ritrovarvi con lo sguardo attirato da una siepe di biancospini in fiore e... se avete letto Proust, essendo già consapevoli di quanto un profumo sia in grado di recuperare nella mente un ricordo che sembrava perso, annuserete con attenzione sapendo appunto che state creando un ricordo che in futuro, quando meno ve l'aspettate, forse quando siete irrimediabilmente tristi, riapparirà in tutto il suo splendore in vostro aiuto. E' ben possibile che non vi capiti in più, come al narratore, di vedere per la prima volta la piccola Gilberte, che catturerà i suoi pensieri e il suo cuore qualche tempo dopo, mentre compie un gestaccio nei suoi confronti, verso quello sconosciuto che la osserva sorpreso ed estasiato ma, sicuramente, grazie a quella lettura, s se vi capiterà qualcosa di simile, saprete che qualcosa di grazioso potete attendervelo sempre e, nel non farvi cogliere impreparati potreste esprimere quel briciolo di esperienza che la lettura vi ha dato, ed evitare che la vostra futura Gilberte, al primo incontro, vi punisca per uno sguardo, infastidito forse del vostro che gli potrebbe esser parso invadente anche se innocente.



E quanti sono gli esempi che vi posso portare! Leggere ha questi doni. Potreste aver letto di un addio affascinate fatto alla stazione e disporre così della possibilità di rendere almeno non imbranato un vostro addio in occasione di un lungo viaggio che vi separa da qualcuno che desiderate non vi dimentichi appena il treno sarà diventato uno dei tanti indistinti puntini che compongono la densissima linea dell'orizzonte.



E poi, con l'eredità di un buon libro accadrà che un gesto colto, lo si porterà a casa, lo si mediterà, ci si girerà intorno, e ci si svelerà infine forse, un senso che l'immediatezza della presenza, del dialogo, della folla, può aver diluito.



Facciamo l'esempio con un telegiornale. Ecco la prima notizia che ci scuote emotivamente. È terminata ma già appare la seconda e poi la terza ecc. Abbiamo subito una serie di emozioni senza mai avere avuto il tempo per approfondirle. Anche la vita è così. Viviamo fatti che sono concatenati e spesso ci sfugge parte del significato che potrebbe essere diretto proprio a noi. Leggere la grande letteratura, leggere veramente, sul serio, porta fermarsi e pensare su quel che accade e cercare di dargli un senso. L'emozione che in noi nasce diviene parola o gesto o sguardo. Il pensiero svela qualcosa di quell'emozione che ci rende più vincenti, che rende più possibile avvicinarci a quanto desideriamo, oppure defilarsi prima di farsi troppo male, se siamo in grado di comprendere.



Per me l'arte suprema è la musica. La grande musica, quella senza parole. Ma essa non dialoga con noi. Il suono passa dall'orecchio all'anima senza sfiorare i pensieri e dall'anima, un'emozione sottilissima ritorna, sveglia i sensi, può inumidire gli occhi, e ci fa scoprire di quale sensibilità si potrebbe essere capaci se solo ci si allenasse un poco. Quel che la musica “tira fuori” dall'anima, dopo esserci passata dentro, è il meglio di noi, è la capacità di creare e sentire infinite armonie di cui spesso non ci si credeva capaci.



La lettura è un gradino più sotto e vi spiego perché. La sensazione deve sempre essere trasformata in linguaggio non solo da chi la emana, come per esempio il compositore o il poeta, ma anche da chi la riceve e in questa “trasformazione” si perde un po' della splendore originario. Puro è quel che è nell'anima e che per me è la somma di cuore e pensiero. Quando questa curiosa somma esce da noi crea uno stato d'animo che, per poterlo comunicare, deve essere per forza trasformato in qualcosa di percepibile ai sensi.

Si può semplificare così: come reazione ad un evento, nasce nell'anima un qualcosa che ci emoziona. Questo oggetto astratto, impalpabile, per essere comunicato deve essere reso concreto. Chi lo riceve, tramite i sensi, deve scioglierlo nuovamente in astrazione, in luce, percepibile dall'anima.

Ma....vi rendete conto quanto si può perdere di quello stato inizialmente provato, con tutti questi passaggi? Vedo lei per esempio, e tutto quel che provo esce in uno sguardo e in un gesto o in parole dette o scritte. Lei coglierà quel che ho dentro in modo così chiaro e nitido come io l'ho vissuto, quel sentire interno che non era ancora visibile fuori di me? Quella purezza totale del messaggio che vogliamo trasmettere ce l'ha solo la musica, e raramente, e questo perché appunto entra in noi senza che la censura del pensiero tolga o apporti alcunché.

Immaginate ora che quel che provo sia paragonabile ad un carico che deve percorrere un sentiero tortuoso. Trasformo la sensazione dell'anima in una materia fatta di gesti, sguardi che è percepibile ai sensi (e le parole anche, son materia che rivela ai sensi un messaggio), la carico sul carro e lo spingo fuori dalla finestra del mio corpo, nel mondo. Il carro passa attraverso in sensi di un altro, bussa all'anima ed essa si incarica di trasformare quella “roba” nell'oro del suo linguaggio.

E voi pensate che in tutto quel viaggiare e trasformarsi non si perda un poco di carico? E se l'altro è pure impreparato a rivivere quell'oro, come la ragazza che odiava il suo partner quando era con lui e lo desiderava quando era col gruppo? E se il nostro codice dell'anima è dotato di una sensibilità innata o allenata più che nel ricevente? Si pensa che i gesti innamorati per esempio, siano scemi solo per chi non ama, ma anche chi non è consapevole che certe sensibilità esistano e comunque ama, potrebbe trovar ridicole certe attenzioni....



Ed ecco il mistero dell'arte. Parola che merita ora di essere ridefinita.

Arte è tutto quel che facciamo e carichiamo di un pensiero che nutre contemporaneamente anima e mente, sentimento e intelligenza, di un'esperienza che abbiamo rivestito di senso che ci si è rivelato.



Per questo un libro di storia o di fisica lo sentiamo freddo, non ci basterà mai. Vogliamo comprendere per esempio la Rivoluzione francese? Non basterà certo leggere il capitolo corrispondente di un testo di storia e nemmeno ingozzarsi di monografie enormi. È la somma di qualcos'altro che ci consegnerà quell'evento nella sua portata reale e umana. Si leggano in questo caso un libro storico, il diario di Claude Martin (pubblicato in Italia da Mario Mazzucchelli per Longanesi) e “Gli dei hanno sete” di Anatole France. Sommando un testo storico, un diario che racconta le reazioni emotive e soggettive del momento e un romanzo di valore sull'argomento ecco che si formerà in noi una visione, non più sensata, ma più umana di quel periodo.



Diversamente possono accadere fatti incresciosi, comprensioni parziali e anche peggio...

Ricordo che anni fa fui invitato ad una conferenza di Vovelle, considerato un grande studioso della rivoluzione francese. Non amo queste cose ma vi fui in un certo costretto da alcuni docenti perché sembra nessuno avesse tempo per andare a sentirlo. Alla fine della prolusione, presenti quattro gatti, vengo invitato nascostamente da un prof a fare una domanda poiché nessuno ne aveva l'intenzione nonostante Volelle l'avesse sollecitato. Chiedo allora se non pensa che la lettura di un testo come “Gli dei hanno sete” di France, possa essere utile per comprendere quell'epoca. Mi risponde, taglientissimo, che lui quella robetta la leggeva a quattordici anni. Ho reagito facendogli presente che France è robetta per i francesi ma non per il mondo e che questo scrittore, figlio di un antiquario specializzato sulla rivoluzione, era documentatissimo e dotato di una penna abile a sufficienza per trasmetterci la sensazione generale di quell'angoscioso evento epocale che i francesi e in particolare i parigini vissero col cuore in gola e ben poco convinti di essere nel giusto. L'ho poi massacrato facendogli presente che non sopporto le persone che hanno compartimenti stagni in tutti i loro pensieri e che lui come storico pretendeva che, agendo esclusivamente con la mentalità dello storico appunto, tutta la comprensione di un'epoca fosse rivelata a sufficienza. Alla fine venne per stringermi la mano e dirmi che mi scaldavo troppo, che ero troppo giovane forse per poter essere in grado di affrontare con lucidità e scientificità la storia e non solo. Gli diedi chiaro e tondo dell'imbecille facendogli notare che la sua prolusione era stata sopportata per dovere e che se non ci avessero costretti non sarebbe venuto nessuno. Lui con quel linguaggio supponente e convinto di avere la verità in tasca, era ridotto ad avere un solo pubblico di docenti, gente della medesima “cosca” e non certo dei veri interessati..... e forse fu la prima volta che qualcuno glielo disse in faccia.



Vedete? Il frutto del pensiero ha un sapore che potrebbe bastarci ma si deve ammettere che è acerbo, incompleto. Se per comprendere una formula di fisica o la sequenza degli avvenimenti di un evento storico, può bastare, per comprendere la vita, va un po' strettino. Che ne dite di valutare l'undici settembre solo come numero di vittime e di palazzi crollati? Col tempo sarà così, e quell'aura immensa che vi ha travolto, composto di paure, deduzioni, immagini di un futuro improvvisamente infragilito, sarà dimenticato. Un po' come dire che il corpo che vidi sul tavolo di marmo dell'obitorio era mio padre. E cosa ci vuole a capire che quel simulacro senza pensiero sguardo e parola non era nemmeno un nulla di lui!



Ed ecco la letteratura, che trasforma in parole la sensazione nata nell'anima, somma di cuore e pensiero. Essa si fonde in un'entità nuova completamente diversa dalle due parti dalla quale ha avuto origine, come un chimica più elementi se uniti danno qualcosa di nuovo.



È così per l'arte. Capita che un quadro rappresenti per noi la visione perfetta di un ideale. Capita anche che una persona ritratta da un essere sensibile, cioè un grande artista, riveli il suo carattere, il suo mondo, e noi sappiamo quanto sia difficile affidare a un viso tutto questo.



Spero di aver aver trasmesso, anche se con ciscischiamenti salti e tante, troppe parole, il “perché secondo me è importante leggere”. È uno sguardo sull'esperienza della vita e sul suo senso che ci viene lasciato in eredità da menti eccelse, da esseri umani che han saputo cesellare di fino il significato della quotidianità e anche delle nostre più grandi paure che rimangono, come la morte, insondabili, ma che guidati da loro che ci terranno per mano fra le pagine dei loro testi, ci saranno almeno più familiari.



E poi, leggere è pensare. Il libro, in generale, che si tratti di una guida per viaggi, un ricettario, un testo scientifico o antropologico o storico, è comunque e sempre pensiero e ci farà solo bene



….ma letteratura ci mette una variabile in più e anche questa può venirci utile.



Ci vuole allenamento. Questo si dimentica sempre. Col fatto che da piccoli ci insegnano a leggere pensiamo che non serva altro che “saper leggere” per impossessarsi del contenuto di un libro e tanta letteratura da strapazzo ci dà l'illusione che sia veramente così. Ma se ci si sforza di cercare la letteratura vera, quella senza tempo e che non ha bisogno dell'aggettivo “nuovo” per accalappiare, ma di quel termine “bello” che, insondabile e unico, è in grado di definire l'indefinibile come la bellezza di una donna se concepita non solo come un equilibrio esteriore di forme, si, se ci si sforza di nutrirci di quello, qualcosa cambierà in noi e sarà in meglio.



La grande letteratura ci sorprenderà ogni volta che ci metteremo nelle condizioni giuste per fruirla.



...e leggere richiede concentrazione perché, per chi non è allenato a pensare ma solo a percepire sensorialmente e a saper fare quel minimo che ci permette di muoverci nel nostro mondo, per chi non è allenato dicevo, farlo si rivelerà faticoso. Quando invece si è affrontato un rodaggio con opere inizialmente non troppo impegnative, si approderà senza sforzo alla comprensione di letture che precedentemente ci avevano spaventato. È come per gli alpinisti che vogliono conquistare l'Everest. Essi sanno che non possono arrivare alla meta per esempio in elicottero senza soccombere all'aria troppo rarefatta. Si prepareranno quindi per affrontare una salita che preparerà i polmoni gradualmente.



Leggere per esempio Proust sarà terribile così, senza un po' di allenamento. Ricordo che tempo fa, in un ristorante di Milano, amici artisti parlarono malissimo della Recherche definendola asfittica e illeggibile. Rimediai il primo volume della Mondadori tradotto da Giovanni Raboni e lessi ad alta voce il famoso “passo dell'infuso di tiglio”. Qualche pagina che scivolò via con un piacere e un coinvolgimento che li sorprese. Si trattava di avere pazienza, di cogliere il ritmo di quell'autore e riprodurlo. In certi casi è più difficile.

Kafka per esempio. In molti suoi brani accadono fatti che sembrano non semplicemente assurdi ma incoerenti, e questo ci fa perdere il filo. Quei suoi testi però, sono l'apice della cultura umana. Non dobbiamo dimenticarlo mai, farci coraggio e inoltrarci fra quelle parole e il ritmo, (che in Proust era legato al respiro. Essendo nel respiro malato, questo per la scrittura si era fatto mentale e per noi è diventato talmente lungo da farci rimanere senza fiato anche nella lettura mentale. Avete mai fatto caso che le frasi di ogni autore non superano mai la lunghezza della sua capacità polmonare a meno che non costruisca troppo giocandosi quindi la spontaneità che, anche per questa caratteristica, si coglie?) che ci sfuggirà perché distratti dall'argomento, ci farà pensare solo al senso. Questo smetterà un po' alla volta di sembrare incoerente, dandoci prima una sensazione dalla quale cercheremo di cogliere un frutto d'oro, angosciante ma vero, che, se morderemo, ci affiderà all'idea quasi pura .



In tantissimi testi di altri autori, di solito prima comprendiamo e poi reagiamo. Coi migliori questo avviene contemporaneamente, ma in Kafka....in Kafka passeranno anche anni prima che lo stato d'animo che ci ha trasmesso e del quale non ci liberiamo più, ovvero quel frutto che sentiamo d'oro ma che non osiamo ancora mordere con l'anima, riveli qualche particella di sé. E da quell'abisso rivelato non torneremo più..... Se vi accade come a me, con lo stupore di quel che egli riuscì a fare con le parole, e ricchi di una consapevolezza immensa che non rende immortali e forse non aiuterà a vivere la quotidianità, vi sarà più semplice affrontare le assurdità dell'esistenza, perché sentirete una regola profonda, una legge, che in un alto sentire, finalmente condiviso con la sua opera, si fa vita.







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