domenica 27 dicembre 2020

A proposito di una raccolta di poesie di Massimiliano Pradarelli

 

Lo chiamo Pradarello, non Pradarelli, chissà se se ne è mai accorto. In italiano la tendenza dominante dei cognomi è in -ini, -ni, -i; ovvia l'origine toscana. In Piemonte domina la o, ad esempio Ferrero, ed è Ferrari, con la i in Emilia Romagna ecc.

Pradarello è il cognome giusto, è anche l'dentificativo giusto. Si chiama Massimiliano. Nome non diffusissimo ma, immaginiamo un giorno di festa e la piazza di una cittadina … se grido Massimilianoooooo! Ho la certezza che non si girerà una sola persona. Ricordo quando a Napoli gridai fra la folla Gennaroooo! Si girarono un centinaio di persone. La presero sul ridere ed iniziarono a chiamare altri nomi. Rocco risultò essere il secondo, un santo che a Napoli ebbe un destino strano come in fondo si può dire di quel popolo, sicuramente geniale (basti pensare ad Eduardo e Totò e … alla pizza) ma anche irriverente in modo quasi comico anche col sacro. Tanti anni fa, poiché il Vesuvio non sembrava più un pericolo mentre la peste anzi, le pesti, imperversavano e il buon Gennaro era ideale contro le eruzioni, lo destituirono e ne gettarono la statua in mare. Non sto scherzando … è la storia che ogni tanto sa avere umorismo. Misero al suo posto san Rocco, protettore degli appestati e in effetti, per quell'aspetto le cose andarono meglio, che san Gennaro pensava solo a o' Vesuvio. Ma poi il vulcano si svegliò, girarono con san Rocco ma lui alla montagna assassina non dedicò mai attenzioni e così … finì in mare pure san Rocco, cercarono di recuperare la statua dell'altro santo che non si fece trovare, ne prepararono una nuova che fecero girare nei luoghi in cui la lava minacciava da vicino le case e … miracolo, la pietra incandescente si fermò. Quindi … secondo me, una religiosità un tanto al chilo. Quel che ho raccontato sembra una digressione, si potrebbe pensare che intendessi farvi sorridere, ma ricordate … e proseguiamo nelle meditazioni.

. Quindi da anni lo chiamo Pradarello, e ora che l'ho reso unico (solo lui si girerà a quel richiamo e non membri della sua famiglia o omonimi o parenti), vi dico che mi ha donato un libretto.

Titolo, “Ecco, improvvisamente le lacrime”. Valutiamo il titolo ...

Analisi non razionale (assurdo in termini per gli intellettuali, ma sensato per chi mastica e vive nei simboli): Ecco. Ecco qui … per esteso. Il qui e ora reso anche nel linguaggio popolare. “Ecco fatto!” = fatto ora.

Poi segue la parola “Improvvisamente” … Di nuovo il fattore tempo. Deduco che qualcosa accade, con una certa dose d'imprevisto per chi osserva la scena (immagino il Pradarello che quelle parole le pensa mentre qualcosa gli sta accadendo). Dunque, il qui e ora concreto, seguito da una precisazione che ci informa che il qui e ora è saturato da un evento imprevedibile … e l'evento consiste in “piccole lacrime”. Piccole, per lacrime, è raro per non dire rarissimo, mi da l'idea di un dolore che la dignità vuol contenere … ma non ce la fa, oppure? Non so ... tengo presente che ho scritto queste righe, compresa la descrizione che segue della copertina, prima di aver aperto il libretto.

La copertina mostra una foto in bianco e nero, un paesaggio innevato con alberi. Ma … e l'inverno rappresentato non è un rafforzativo di un certo modo inconscio, ma collettivo di percepire il tempo? Certo. Quando nevica il tempo rallenta. Quando ha nevicato il tempo si ferma, il paesaggio si fa immobile. L'inverno se rappresentato con paesaggi senza umani e oltre il resto con alberi scheletriti che hanno perso le foglie, rappresenta il tempo immobile … e il tempo immobile è l'assenza di tempo.

E ora il collegamento cruciale … sotto il titolo in neretto, schivo ma ovviamente leggibile, il sottotitolo: “Lectio divina tra quotidianità e poesia”. Appare il divino … e questo, già lo so, allontanerà il lettore superficiale. Il senso del sacro, l'essere credenti, non è di moda. La filosofia per esempio, si è fatta laica contro la volontà generale che non lo è. Del novecento per esempio, certi filosofi non appaiono nei libri di testo … o sei laico, o fuori … non esisti. E sfido i prof di storia dell'arte a comprendere Kandinskij, che non stimo, senza conoscere Rudolf Steiner. Sfido Il surrealismo (quello finto di Breton e non quello vero di Savinio) a muoversi nella sua irrealtà intellettuale dimenticando Gurdjeff , Ouspenskij ecc, e le sedute spiritiche e le fattucchiere. Si son nutriti di sacro! Sacro spesso un tanto al chilo, è vero, come quelle persone che buttarono san Gennaro a mare perché l'utilitarismo selezionava nella loro mente anche … i santi. Ma che ci sia una spinta verso il laicismo da parte di pochi laici, negando l'evidenza del sacro che le gente vive, spesso suo malgrado, ecco … questo non si può, non si deve dire. Ricordo Tonino Guerra che dalla cimetta di Pennabilli diceva di sentire in certe giornate solitarie d'inverno dal suo giardino, Dio che tossiva … ed era un comunista, che per vergogna del comunismo militante si definì comunista zen, Un paradosso in fondo, perché il comunista è un materialista (Dio non esiste), e la filosofia zen, gira intorno a un non detto che è il senso del sacro che è una sensazione che capita di provare anche a chi non si è mai posto, sulla divinità, domande chiare. Io stesso, travolto dalla vita, per anni mi rivolsi a Dio solo come all'ultima possibilità prima della sconfitta ma … un giorno, dopo aver letto passi eccezionali da libri che amo, passeggiando col cane, mi sedetti in riva ad una palude e … improvvisamente mi resi conto, fu un attimo, che tutto aveva un senso, che tutto era sintonia e che a noi sfugge perché camminiamo nei secondi, in un succedersi scabro di attimi. Cos'era quella sensazione? Era la divinità che si annuncia? Era il suo preludio? Quel che so è che quella sintonia col tutto, col vento, col fenicottero stupendo (anche se vestito di un inelegante abito rosa), col battito del mio cuore e di quello del mio cane e del pianeta e di tutto … in quell'attimo, quella sintonia mi ha tranquillizzato. Non si pensa la divinità, la si intuisce … e poi vi è il miracolo. Mi diverto a chiederne una definizione. Sospendete un attimo la lettura e provateci per favore. Fatto? Ecco la mia versione: un fatto al quale la scienza non sa dare risposta … ma non mi fermo qui. Spesso in un futuro prossimo o distante, la scienza ha poi spiegato. Il miracolo ha una caratteristica in più … non è comunicabile. Ti accade qualcosa di strabiliante? Ecco … è solo tuo. Se lo racconti non verrai creduto. Tutto qui … e negare che accade è banale come gettare san Gennaro.


Dunque. Apro il libro, lo leggo tutto di sera, con calma e con una matita in mano.


La prima, forse la più bella, ci spiega qualcosa del titolo.


Ecco, improvvisamente

piccole lacrime

nel tuo volto bianco e delicato

Mia dolcezza

perché piangi?

Non sai che il Signore

nostro l'Altissimo

ne chiederà conto?


Torniamo a noi. Ho rispettato tutto, le maiuscole e la forma grafica.

Se ci fermiamo qui abbiamo un dubbio: o un bambino o una donna. Le righe successive, semplici e chiare, ci dicono che è una bambina.

Consiglio di rileggere togliendo la penultima riga, Quel “nostro l'Altissimo”. Si “sente” così qualcosa di immediato, di semplice, che profuma di casa, di vita quotidiana. Quel “non sai che il Signore ne chiederà conto?” lo si ricorda nelle nonne e non solo, spesso appariva nelle risposte per far comprendere che la responsabilità di una frase o di un gesto non era solo nei confronti dei presenti o di chi subiva l'azione, ma sopratutto … nei confronti del Signore. Questo è un dato di archeologia recente che si ritrova nel linguaggio. Mio padre in Tirolo, nel primo dopoguerra (aveva cinque anni nel '45) si svegliava tutti i giorni alle cinque. Alle cinque e mezza con la famiglia era in chiesa; breve funzione, poi a casa, colazione e poi nella vita. Le Case Sante ne erano il fulcro. Costruite dai paesani (piccolo era il borgo che se andavi un po' veloce in auto nemmeno lo notavi), consistevano nella chiesa, la scuola, la casa del prete e il cimitero. Non erano del comune, ma dei paesani che dedicarono delle domeniche pomeriggio per costruirle. E la vita quotidiana iniziava col sacro. Il mezzodì lo decideva il prete con le campane e non con l'orologio … il tempo era di Dio e non del mercante. Se il parroco si era fermato a far due chiacchiere in osteria (di un mio parente … solo tre cognomi si intrecciavano nel borgo), ecco che il mezzodì era alle dodici e dieci. Tutti a casa, preghiera paterna sul pane con un pensiero, ancora nel '45 anche per il buon padre Franz Josef) e via a nutrirsi. E poi chi al lavoro e chi ai giochi e quando il prete suonava per il vespro ecco che la comunità tutta si riuniva nella Casa Santa nota a noi come chiesa. Si pregava, ed era un atto collettivo. Si passava poi insieme a salutare i morti che, sistemati in terra sul retro, ben separati dal resto da un muro di pietre ben costruito, sembravano di fatto in una barca di pietra che contenesse chiesa e cimitero e che in un giorno del giudizio imprecisato, si sarebbe staccata per volare in cielo.


Accadeva settant'anni fa … accadeva ieri. Lo ricordo anch'io negli anni ottanta del novecento questo modo di vivere, che sopravviveva ancora e non solo nei vecchi. La mattina in chiesa ci si contava, ci si rinfrancava nello scoprire che si era tutti presenti, vivi. Ricordo anche la vecchia misteriosa alla quale i paesani si rivolgevano per i loro malanni, e solo se lei non riusciva, si andava diffidenti dal medico … correvano gli anni ottanta … quarant'anni fa, un ieri che anche le parole di quella poesia ancora portano in sé …


non sai che il Signore ne chiederà conto?”


ma … c'è qualcosa che interrompe questo reperto e intende completarlo …


Non sai che il Signore

nostro l'Altissimo

ne chiederà conto?


Quell'aggiunta, quel “nostro, l'Altissimo” ci pone davanti ad una certezza assoluta. Per l'autore, non esiste il dubbio di Dio. Tutto si basa su questa certezza.

Curiosa è l'ambiguità che ne segue. Dio ne chiederà conto per punire o per lenire? Ne chiederà conto al padre o alla bambina?

Questa calcolata ambiguità ci mostra la divinità come misteriosa, spesso incompresa nel suo agire. Nelle poesie che seguono, ci son descrizioni della vita che è divisa in due luoghi netti: la famiglia come un rifugio esente dal male perché il padre terreno, il poeta, consigliato dal Padre celeste, veglia, e il mondo esterno luogo in cui si scatena la battaglia e … per i fatti sgradevoli che vi accadono, rende incomprensibili i piani della divinità. Tracce del dio ebraico, intransigente, che si mescolano col cristianesimo fatto di perdono.

Il finale di una poesia a pagina 49, ce lo conferma …


Chiunque il male

avrà fatto

gettato nel fuoco

divorato (almeno per un minuto...)


E tutti

sicuramente

salvati


Nel fuoco almeno per un minuto mi fa sorridere. Una divinità non risponderà mai al male con il male. Se qualcuno, dal nulla ha creato sofferenza, punire come fanno gli uomini (e celano questo loro assurdo dicendo che agiscono secondo giustizia), genera altro male, altra sofferenza. Ma il Pradarello è umano, dimostra di sapere che non è in grado di reggere a certe malefatte semplicemente col perdono. Una passatina sul fuoco, rosolarli un attimo … qualcosa di romagnolo, di simpatico come questo popolo e questa lingua, che brilla d'ignoranza ma ha un discreto cuore … e infatti, dopo aver messo i cattivelli nell'angolo dietro alla lavagna con le ginocchia sul mais … ma per un solo minuto, ecco che tutti torneranno al loro posto, perché appunto un Dio grande, un Dio vero, è perdono.


Il bello di queste poesie è che spesso l'inizio è laico e talmente semplice … da stupire, ma si ricordi quel che disse Jorge Luis Borges … “la poesia semplice, di una semplicità che cela una segreta complessità …

e infatti …


Vorrei cercare

sempre

di non farmi influenzare dalla massa

spegnere la tv e …”


e poi un'azione, una meditazione, un tentativo di mantenersi integri nonostante i fatti e le bugie evidenti del mondo esterno.


Un altra osservazione e poi il silenzio, perché mai si deve rivelare troppo di un'opera …


I bambini ... si coglie che per l'autore essere diventato padre è stato un evento travolgente.


Vita

che torna alla vita

senza tempo

nell'universo.

Forza nella debolezza.”


Invertendo il “polvere sei e polvere tornerai”, sconfiggendo la morte ...ecco spiegato quel che si riceve con la paternità … in due parole. La debolezza dell'essere umano, e la sua forza di durare non in paese, o sulla terra, ma nell'universo, termine che ha la capacità di farci sentire infinitesimi, assurdi, insensati, fragili.


Vedete … attualmente una coppia raramente pensa a procreare. L'amore è visto come una compensazione, un donare reciproco fra due persone. Una volta, e per alcuni ancora oggi, nella cultura occidentale, così avanzata, così estrema, spesso così semplicemente e irrimediabilmente consumista ed economista (bilanci bilanci e bilanci, al punto che ti cureranno solo se …) nella cultura occidentale dicevo, se ci si amava, l'apice era il figlio. Ora è l'orgasmo … non commento, ma ci si pensi....


E per il resto la parola al lettore …