venerdì 4 febbraio 2022

ABENDGLOCKEN

Ho pubblicato questo brano senza offrire al lettore una guida. È accaduto perché dopo la scrittura, che è avvenuta di getto, di solito sono esausto. Come ho avuto occasione di spiegare altrove, quel che scrivo (in ambito letterario) non è pensato. Sgorga e basta. É come se per me esistessero ancora le Muse oppure, per chi non mi stima, si potrebbe pensare che mi capiti quel che accadeva agli antichi (fino all'Iliade che risulta essere l'ultima) e che è così ben descritto ne "Il crollo della mente bicamerale" di Jaynes. 

Nel caso di questo scritto, che secondo me non può essere definito diversamente poiché è un po' poesia ma non lo è,  un po' è prosa ma sa di poesia ... , nel caso di questo scritto dunque, è accaduto che la solitudine cercata e prolungata, in una stanza disadorna (un letto per via dei miei problemi alla schiena, Lolita che è il cane e alcuni libri) mi ha portato ad una sensazione di rallentamento del tempo non mio (quello dell'orologio) fino ad una immobilità totale di esso ... e dal tempo immobile così raggiunto nel quale ero immerso mi sentii alleggerito ... ed ecco che le pulsazioni del cuore che per via dell'annullamento del tempo esterno, divennero udibili ... le ascoltai commosso ... ecco il mio orologio pensai, che accelera o rallenta a seconda di quanta emozione spendo. E m'ingegnai di rallentarlo, fino a spegnerlo che non è morire, ma fermare, fermarsi veramente. L'ho fatto altre volte e non ho più timore... ed ecco che una voce si fece sentire, non localizzabile, incorporea per un attimo. Nel frattempo nella mia anima ora veramente ricettiva e immobile poiché le emozioni si erano non pulsavano più, nella mia anima che mia non è ma è un frammento di un tutto positivo, la mia anima dunque,  sentii "Hotel Supramonte" di de André e il tempo divenne "... un signore distratto, un bambino che dorme ... poi come una preghiera sorse il canto Abendglocken nella versione di Rebroff che è la mia preferita (youtube: Ivan Rebroff 3:37 minuti)Abendglocken). Ad esso seguì dopo un silenzio meraviglioso, Casta Diva cantata dalla Callas (youtube: Maria Callas sings "Casta Diva"(Bellini: Norma act 1. Recorded live at the Palace Garnier on the 18th of December 1958. Minuti 7:13). Se il brano di Rebroff mi estraniò dal mondo (il greco, l'orfico entusiasmo = uscire da sé stessi perché possa il dio entrarvi), quello della Callas, esattamente quello del 18 dicembre del '58, mi purificò per la sofferenza che vi colgo. Guardatela. Era all'apice della carriera esteriore, la dea, una delle dee, la più raffinata senz'altro della sua epoca, ma... aveva lasciato il marito per quell'Onassis che di elevato aveva solo il conto in banca e il nome ... sapeva di aver perso nell'unica battaglia terrena in cui vincere, o almeno non perdere, aveva un senso. Guardatela, elegantissima (di Dior forse l'abito),  diamanti grossi come noci che sfavillano, lo sguardo del teatro, lo sguardo del mondo per mezzo della neonata televisione  ... eppure sconfitta ... sola ... e canta Casta Diva col cuore in mano. Io ci vedo questo e mi strugge sempre poiché di solito soffro più della sconfitta degli altri che non delle mie ... le altrettanto irrimediabili mie ... 

La inconsapevole sacerdotessa Maria Callas, una volta che Ivan Rebroff spazzò via le emozioni del presente, la Callas dicevo, sbriciolò i sedimenti del passato. Ora ... arrivarono Roberto Murolo e Mia Martini che cantano insieme (Roberto Murolo & Mia Martini CU'MME' (remastering) wra videomovie minuti 4:25). Roberto Murolo, anziano, sereno, che trasmette la tranquillità di una vita spesa bene e dice parole che invitano ad andare oltre e poi lei Mia, che si sapeva che stava male dentro ... e urla quasi "come si fa a dar tormento all'anima che vuol volare" e lo dice in napoletano, in dialetto, in una lingua popolare che sa di cugini, parenti, vicini di casa, di odor di basilico ... e questa canzone portò via quel che Maria Callas aveva scalfito. Ora Tarkovskij apparve, seduto sull'ultimo letto a Parigi, col passerotto in mano che spontaneamente lo aveva cercato, quel Tarkovskij per me espressione di perfezione col suo Cinema/Poesia. Mi bastò il suo sguardo mentre dalla mano il passerotto/anima, vola via ... ed ecco che delle emozioni, anche delle passate, non rimase più nulla. In quel vuoto completo dell'io apparve un uomo magro, una visione in bianco e nero ... ed era Kafka alla Galleria Golz che legge invitato, "Ne la colonia penale" che considero uno dei suoi irraggiungibili capolavori. E poi lui, Kafka, svanì e apparve quella voce che mi parlò. Quando ebbe terminato, quasi gridando, provai una sensazione fisica, come di farfalla posata, la medesima che forse un paio di lettori ricorderanno, del primo bacio, della prima infatuazione descritta in un racconto. Quella sensazione provata vuol dire che stavo tornando, regredendo, alla fisicità. Gradualmente stavo tornando al mio tempo interiore gestito dal cuore, e in quel frangente non ancora carnale,  per quanto ormai imperfetto, chiesi "chi sei", prima che mi dissolvessi, frantumassi, nelle asperità monotone del tempo estetiore. Pensavo fosse Kafka a parlarmi e per un attimo lui apparve, ma poi si trasformò in Rebroff, in de André, nella Callas in Murolo poi in Mia poi in Tarkovskij e infine colsi un viso multiplo che tutti li contienva in un unica visione inesplicabile. Eccomi qui pensai, ecco il volto di Dio, influenzato da Swedenborg, che conobbi ragazzino da una poesia di Borges. Per questo mistico svedese non esistono l'inferno o il Cielo (Paradiso) ma la contemplazione del volto di Dio che è sofferenza per i reprobi e serenità per i salvati ... ed in quella immagine, somma di umani eccezionali, ognuno un frammento consapevole del Tutto,  in quella somma .... ho intuito per un attimo,  il volto premiante di Dio. 

 Ed ora lo scritto...

Ebbro di silenzio, da giorni rinchiuso da me stesso in una stanza, sapevo di dover attendere e resistevo e poi, quando il tempo per me non era più nulla e la fame e la sete si erano spente nutrendosi di sé stesse ... ecco che nella penombra un'ombra si muove.

Anche il respiro ho lasciato e nulla mi sfugge, sensibile ormai come gli dei.
L'enigma che ho dentro ecco ...
si scioglie in parole non dette che partono da quel punto inesistente posto fra cuore e mente che è il sofferto premio di pochissimi. Ecco cosa disse:
"Tu ricordi lo so, con stupore, quel che accadde quella sera d'inverno alla galleria Goltz a Monaco. Fu l'ultima volta che degli umani insieme, quel piccolo gruppo d'inconsapevoli eletti, uscirono da da sé stessi e si colmarono di stupore immenso. Accadde che un uomo magro che fra gli antenati, da parte di madre, aveva per guida un santo chassid, accadde che quell'uomo magro vestito di scuro, nascosto nell'ombra, con un filo di voce lesse parole che aveva scritto, parole indicibili ... come le note sensibili di Chopin appena udibili, perché dalle dita non note ma l'anima era uscita. Così l'uomo nella penombra, lui stesso li sconvolse ... fu l'ultimo ricordalo! Come Orfeo col gruppo d'inconsapevoli iniziati ... resi sacri da quella che pensavano fosse solo una pubblica lettura letteraria"... 

Io ascoltavo la non voce che da nessun luogo riempiva la stanza chiusa da me stesso dall'interno. Capivo ... e capivo anche che quella mente, fattasi voce inesistente ... era in me, e fino in fondo mi conosceva.

"Ascolta e non pensarmi!" disse,
"tu hai provato qualcosa di simile ma in estrema solitudine, e così gli altri non potranno mai capire. Prima con de André poi con Rebroff e Callas, ... e un'ultima volta in canto prima di chiuderti qui dentro, con una inno alla vita cantato da un vecchio felice e da una donna sofferente che la vita se la tolse per uccidere quel che la offendeva nella mente ... poi infine ... al culmine, ecco immagini di Tarkovskij e il passerò ultimo. Eri commosso e ti sei chiuso qui per capire. A Monaco invece svennero, lasciarono la sala, pochi resistettero. Le parole sussurrate dall'uomo in penombra furon sconvolgenti ...  parole che al massimo oggi sarebbero considerate sconvenienti. Ora ascolta ... tu solo che hai saputo creare il grande silenzio che permette di sentire tutto e di sentirmi ... ebbene ascolta!

Senza arte, senza poesia
la vita è un dono da buttare via ...
Senza il dubbio di Dio
non può esistere un briciolo di io
... e con la perfetta razionalità
si resta sempre senza umanità.

Cantalo ti prego, che il tuo tempo ha fame e sete e ha dimenticato il sentimento.
Cantalo tu a chi pensa di guarire accumulando!!!"

Le ultime parole le disse quasi urlando ... poi più nulla. E nemmeno il nulla ormai c'era. Qualcosa mi sfiorò la guancia come farfalla posata. Un attimo e se n'era andata. In quell'attimo di un tempo senza tempo, dopo il tocco leggero ... ecco che tornai alla carne e sangue che son io e chiesi timoroso ... "sei tu?" Fuori dalla stanza sentii cantare ... "comme se fa' a da' turmento all'anema che vo' vulà..." , ma quella voce non piangeva più quelle parole. Le cantava ora e sorrideva.
Ora, che il presente sempre mi raggiunge ... dicevo ora ... apro la porta ... è sera sul mondo ... sono tentato di richiuderla e dire che mi arrendo ... ma ora so e non devo essere egoista.
"Ma" ... ripeto ... "sei tu?" ...
La voce risponde un sì di marmo.
Il Virgilio che fu di Dante guida, il mio Virgilio ... Kafka ... in un lampo di buio mi si mostra, arcangelo infinito ... ma si trasforma ed è Andrej e poi Maria e Ivan e Fabrizio e poi Roberto e infine Mia. Tutto è accaduto in quell'ombroso batter d'ala di quella inesplicabile falena.
Questo attimo eterno che ho vissuto ora lo scrivo qui in questo quaderno e mentre esco volontariamente dal mio eremo per me per noi... Rebroff canta.

(Scritto oggi fra le 12 e le 13)

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