martedì 11 ottobre 2011

Il cartellone pubblicitario bugiardo

Ieri, martedì sei ottobre 2011, passando davanti ad una libreria, ho notato un cartellone pubblicitario rigido che era evidentemente destinato, insieme ad altri suoi simili, all'immonda immondizia. Ho chiesto alla commessa se potevo prenderlo. Mi ha detto che per lei era indifferente, quindi me lo sono portato a casa. Eccolo.

Veniamo alla descrizione dell'oggetto. Sono rappresentati dieci libri sistemati a piramide. Se si osserva bene, si nota che la disposizione è accuratamente tridimensionale. Primeggia nella fila più bassa, “Suite francese” sia per il colore che appunto, per la posizione. È, anche se di poco, il volume più avanzato. Non si tratta comunque del volume più accessibile al fruitore di questo cartellone che ho avuto occasione di vedere spesso in vetrine e all'interno di librerie. La posizione assegnatagli negli ambienti e nelle vetrine era di solito quasi a terra o con qualcosina che lo “elevasse” di una manciata di decimetri, quindi i più immediatamente visibili risultano essere i libri in cima alla piramide ovvero Umberto Eco e “Acciaio”. Si nota anche, che solo i primi cinque libri, quelli alla base, hanno uno spessore che effettivamente si coglie, particolarmente tramite i due volumi più esterni e anche dalle ombre. Gli altri sono riproduzioni bidimensionali sistemati comunque tridimensionalmente nella piramide. Un'operazione quindi che dal punto di vista della percezione visiva è stato studiato nei minimi dettagli e se si è agito così è perché, deduci, quei dettagli si ritiene rivestissero una certa importanza nel compito di accalappiare sguardi. Forse si cercava una sistemazione che rendesse ogni libro non secondo a nessuno? Un tentativo di democrazia letteraria in un settore, quello appunto della letteratura, nel quale si sa che convive materiale puramente commerciale, elevato come una pietra, e capolavori assoluti? Questa politica che trovo assurda ha un “padre”. In Mondadori lo chiamano “il professore”. Disquisirò più avanti su un aspetto della sulla sua “filosofia”.

Se il cartellone è stato buttato via deduco che l'operazione commerciale che esso incarnava, è terminata.

Leggiamo le parole che in esso si rivolgono al passante dalla porzione in alto e centrale con caratteri oro:

                                

Una virgola e due punti. Quasi un pontificare. Ma chi ha detto queste parole? Nessuna firma.

A destra, in una specie di tappo da bibita color oro e parole bianche che ci dicono che si tratta di “libri di qualità a partire da 12 euro”.



Travolgenti, indimenticabili, qualità......parole grosse che per me avrebbero....hanno un senso.
E non so chi me le dice.
In fondo. Proprio in fondo, dove nelle lettere troviamo la firma di chi ci scrive e che di solito abbiamo comunque già riconosciuto dalla calligrafia (e non me ne frega niente di internet. Una lettera è un'entità personalissima. Possiamo renderla frigida per comodità di tempo e di velocità di consegna, ma io non temo il tempo e sta a noi decidere quanto raffreddare una comunicazione che potrebbe rappresentare anche un qualcosa di delicato, di interiore...), troviamo i nomi di quattro case editrici : nell'ordine adelphi, bompiani, marsilio, rizzoli. (minuscolo voluto).



Se son loro gli autori di questa comunicazione mi vengono già i brividi e nel mio pessimismo ottimista, e con poca poesia, mentalmente mi son detto “siamo nella merda”. Ammetto anche che il mio diavoletto interiore, assai giocoso e irriverente ha risposto, col suo ottimismo rocambolesco e fine a se stesso....”speriamo ce ne sia per tutti....”
è si, il diavoletto scherza. Io purtroppo ci trovo poco da ridere.

Il cartellone ha i bordi in alto e in basso color oro e i libri effigiati, anche.
Più lo osservo e più mi rendo conto che si tratta di un prodotto altamente meditato. Il problema sta nel comprendere il fine di quel pensiero, perché si sa che non basta pensare. Se fosse un atto che avviene così, a briglia sciolta, non avrebbe senso. Pensare è e dovrebbe essere un diamante che si posa su uno strato di diamanti che galleggiano in un'acqua di diamanti. A meno che non si tratti di un bambino e allora si potrebbe pensare ad elaborare il piano di appoggio per un'infinità di pietre preziose...ma secondo me questo cartellone non lo ha fatto un bambino, ma un essere che desidero tentare di comprendere....

Ogni libro fotografato ha una specie di timbro , quasi sempre bianco con una grande V in mezzo. Sul bordo leggo vintage.  Subito sotto alla piramide di libri trovo questa scritta:


e mi domando di quale tempo si stia parlando. Di quello che stagiona formaggi e prosciutti? Non credo. O forse di quello che offre una patina di fascino alle cose come racconta la Yourcenar nel suo saggio intitolato “Il tempo grande scultore?” no. Non è possibile e vi spiego perché.
Partiamo dalla parola vintage e osserviamola, ma senza vocabolario, mi raccomando! Esso serve per le parole che veramente non conosciamo. Questa ci appartiene e si deve fare uno sforzo mentale in noi per delimitarla! Ebbene: secondo me ci viene da una moda innescata ….dalla moda. Vintage è prima di tutto, nella percezione comune, un vocabolo che rappresenta un abito o qualcosa che ha a che fare col vestiario. La moda è finita, l'oggetto si fa immediatamente demodè, basta una stagione... ma poi risorge dopo qualche anno. Torna ad essere di nuovo bello? Più bello? Più interessante? Io penso che il vintage altro non sia che una vendetta del consumatore che il mercato ha tentato di controllare, di fare sua. Comperare una cosa nuova, comperare sempre cose nuove, equivale a soddisfare una pulsione e basta. Il consumatore più attento, quello che almeno una volta al mese medita da solo, chiuso in casa, anche se con la paura di essere assalito da pensieri come la morte, la vecchiaia, la suocera eccetera..., quel consumatore un po' più sveglio del nulla, decide che potrebbe essere bello fare una specie di caccia al tesoro. Cercare l'oggetto da più dignità non all'oggetto in sé,  ma a chi ha deciso di farlo suo con una modalità meno impulsiva e semplice di un vedo, mi piace, pago. Quello lo san far tutti.... e l'essere umano di bassa lega ama distinguersi dai suoi simili attuando strategie solo superficialmente diverse, ma di fatto incapaci di scalfire un senso degno di essere ricordato.

Io da sempre cerco cose, usate. Lo faccio per un altro motivo e non ultimo perché costano meno. Penso che nessuno, nemmeno chi è benestante, ami buttar via i soldi e quindi quando cerco un libro mi rivolgo prima, anche se non certo solo per quello, ai mercatini. Ci si sente non più saggi, ma meno stupidi, meno burattini del sistema quando comperi, come mi capita spesso, al prezzo di un caffè un libro che trovi in libreria, nei medesimi giorni al prezzo di una mangiata di pizza con birra ....

ma non ne faccio una questione del piacere di cercare. Se c'è un mio problema personale del quale sono consapevole, è quello che chiamo “la mia sindrome del tempo buttato via”. La tivù l'ho eliminata da quindici anni ma non mi basta. Tutto deve accadere nel minor tempo possibile per lasciare spazio al pensiero, alla lettura e roba simile. Roba che mi da l'illusione di crescere non solo di peso.... Ebbene. Causa questa mia “malformazione” e forse non solo...  so di risultare abbastanza insopportabile.

Si pensi che a tavola sono forse peggio di Federico secondo di Prussia. Di lui si racconta che arrivava e i commensali, che potevano sedersi per gerarchia solo dopo di lui, iniziavano il desinare. Ma il re dopo pochi minuti aveva militarmente terminato e quando si alzava, tutti, sempre per ossequio alla gerarchia, dovevano fare la stessa cosa e considerare terminato il pasto. Si alzavano ovviamente con la fame e risolvevano rimpinzandosi di solito prima e, coloro che di quel rito nulla sapevano e vi partecipavano per la prima volta, sicuramente dopo. La gente conosce di solito questo gustoso aneddoto, come sa che alla sua morte l'orologio della sua camera da letto, si fermò con lui e così lo troviamo tuttora nella reggia, con quell'orario tremendo che ha eternato una fine. Preferisco ricordare invece, che mentre suonava il flauto in un duetto con Carl Pilipp Emanuel Bach, quando il valletto avvisò che Johann Sebastian era appena giunto a Sans Suoci da Eisenach, quando questo accadde, il re illuminista, il soldato a tavola, l'effeminato litigioso con Voltaire, scese umilmente le scale e rese omaggio a quel grande che indirettamente, tramite il figlio Carl Philipp, sentiva un po' suo. Era quindi in grado di riconoscere un vero artista nel senso più profondo del termine e questo  trasforma per me, tutto il resto che si racconta di lui, polvere.
Federico di Prussia poteva far quasi quello che voleva, dico quasi perché a nessuno è concessa questa totalità se non come illusione.

Io devo scendere a patti con la vita come tutti. In questo periodo forse ho più tempo di qualsiasi essere umano, ma a scapito di non pochi sacrifici e rinunce, volontarie o meno. Sta di fatto che ho tempo ma ancora non mi basta, e restringo tutto intorno a me, anche con nervosismo. Ma ecco che a sera, l'illusione di essere cresciuto almeno un po', mi riempie di soddisfazione e come l'amore, domani si ricomincia e quella sazietà va riconquistata minuziosamente. A cosa porta? Certamente non mi serve per credermi più grande nel rapporto con gli altri; il fatto stesso che mi interesso di argomenti che affascinano una esiguissima minoranza credo che possa bastare per non vederci un narcisismo esasperato. Non lo so perché sono così. Cerco nelle parole e non solo. Desidero intorno a me la bellezza. Non quella esteriore, semplicemente, che dura un attimo, nutre i sensi poi si fa insipida. Esiste -e questa è la mia illusione?- una bellezza più vasta, completa, nutriente. Sono al punto che nemmeno più la morte mi fa paura.......se vi sembro matto sappiate sto bene così e per favore, non disturbatevi a curarmi.....


Devo fare una precisazione: in questo scritto, non mi limiterò, come ho in fondo l'ambizione di fare sempre, a mettere l'esito del mio discutibilissimo pensiero. Aggiungerò, così come sgorga, anche il percorso che la mia mente ha fatto, mente spesso da me guidata e in altri momenti libera di pensar quel che vuole. È importante quanto l'esito, conoscere come un pensiero si srotoli nella sua ossea tana....

Torniamo a noi. Questi libri dovrebbero essere travolgenti, indimenticabili, di qualità. Così ci dice il cartellone.
Sarà vero? Accetto la sfida. Li leggerò tutti. Alcuni li conosco già e posso sbilanciarmi anche subito, ma preferisco agire diversamente. Leggerò e rileggerò. È importante. Nel tempo le nostre idee crescono e si evolvono costrette da influenze consce e inconsce. Ricordo per esempio che, ripensando al racconto “Arabia” di Joyce ( da “Gente di Dublino”), mi accorsi, con una rilettura, che avevo sedimentato un finale diverso. Quello del racconto non mi piaceva proprio. Negli anni quello che avrei preferito, aveva preso il posto di quello di Joyce senza degnarsi di avvertirmi... succede.

Riprendiamo da prima della parentesi su Federico secondo....causa di questa mia “malformazione” che contribuisce a rendermi insopportabile, trovare il libro che m'interessa deve accadere in modo economico e veloce. Prima vengono quindi i mercatini e le biblioteche e poi, solo in un secondo tempo mi affido alle librerie. Queste mi si offrono in modo un po' vistoso e intendo valutare il senso della loro guida.

Il termine vintage dicevamo, dalla moda si è poi allargato a quel settore dell'antiquariato che con un neologismo ormai vecchio, conosciamo come “modernariato”. Questo nome racchiude sensazioni ambigue. Quando andate a fiere ad esso dedicate, trovate oggetti che avevate in casa e che eravate certi fossero insignificanti e incapaci di andar molto oltre la loro funzione nell'economia domestica. Si pone quindi il dubbio: mi prendono in giro o devo rivedere le mie categorie in proposito? Ed ecco che chi razzola nel mondo con due neuroni presi a prestito da tivù e giornali, si fa grande, tanto per cambiare, di un nulla. Mi è capitato di trovare oggetti che avrebbero dovuto essere a tiratura limitata. Di fatto tutti lo sono o lo diventeranno e un oggetto fuori produzione lo è ovviamente....
Mi è capitato di comprendere che un oggetto si fa dignitoso e attraente solo perché si sa chi l'ha disegnato.... bah!

Quindi secondo il cartellone quei libri sono vintage! Ma i libri dovrebbero contenere pensiero....dovrebbero essere letti.....
deduco che il pensiero così, subisce il destino di scarpe vecchie, vecchie poltrone e simili. Non ci sto. Penso che abbiano preso un vocabolo con un'area di significati ben definita in noi e lo abbiano tirato, deformato, sconvolto.

Male che vada, il vocabolo vintage, con tutti i suoi problemi come l'essere ormai un po' troppo modaiolo, non mi dispiaceva. Ma qui, su questo cartellone, cosa fa? Dove vuole portarci?
Ho la sensazione che i pubblicitari che hanno organizzato l'operazione abbiano pensato così:

“prendiamo un vocabolo che fa pensare al consumatore che comperando uno di questi libri egli sia proiettato nell'aura modaiola “sinistrata” (la destra non sente gli odori... Io sono completamente fuori dalla politica, non mi interessa, ma è risaputo che uno di destra confonderebbe una sacher con un escremento accontentandosi dall'affinità di colore, proprio perché gli odori non li sente.... e la forma non sa cos'è. Lo dimostrano dal modo di fare, dalle parole che scaraventano nel mondo solo per fare rumore....) con lieve puzza sotto il naso, tipico del termine vintage”.

L'esito, per essere coerenti, dovrebbe essere il seguente: il libro lo si porterà per strada come le scarpe o la borsa vintage. Quindi il risultato che si propone non è nel piacere della lettura, ma nello sfoggiare la nostra scelta di puzzoni un po' di sinistra ma non troppo perché come si fa ad avere un segretario di partito che assomiglia a Gargamella (il cattivo dei puffi), la Rosy Bindi che pensa ma è brutta quando una donna dovrebbe esser bella e poi si sa che le si perdona tutto? (eccetera eccetera eccetera, perché ho come l'impressione che attualmente essere di sinistra equivalga a srotolare pensieri di questo livello.....).

L'idea dei pubblicitari era quindi per un consumatore che ostenti la sua scelta e che col marchio vintage, ben leggibile dai suoi compari, vuol dimostrare che non si è lasciato andare solo ad un impulso ma ci hai pensato almeno un attimo?

Eh si, mi sa tanto che va così e quindi il libro va portato in giro, noncurantemente mostrato e non necessariamente letto come siamo soliti fare con le cose griffate. Oggetto quindi da mostrare per dare idea agli altri di essere in.....in cosa? in una operazione commerciale che ci tratta come dei deficienti. Ma la lettura di un libro non presupponeva l'intimità con se stessi?

E ora un particolare interessante da considerare. Ma questi “testi consigliati” da quanto tempo sono pubblicati?  Che forse si intendesse vintage in questo senso? Ed ecco che scopriamo che “il cimitero di Praga” è non recente ma recentissimo, forse la prima edizione è addirittura di quest'anno o del precedente....
La mia edizione di “Suite francese” mi comunica di essere uscita per la prima volta in Francia nel 2004 e in Italia nel 2005.... Simenon mi fa sapere di essere stato stampato in Francia nel 1946 e in Italia nel maggio del 1998.... apro il libro di Carofiglio e scopro che la prima edizione è del 2010....
cerco su internet e scopro che il libro di Larsson è, come prima edizione, del 2007, quello della Gilbert anche e quello di de Carlo, del 2010.

Mi son fermato. Penso che non abbia senso verificare la prima edizione di tutti quei testi. Quale regola deduciamo? regola degli editori firmatari del cartellone, ovviamente..... nessuna. Si tratta semplicemente, con ogni evidenza di un calderone insensato con regole interne che si rifaranno certamente solo al marketing per il quale si fa presto a dimostrare la necessità di presupporre un utente clinicamente stupido... e per ottenere un effetto immediato del tipo mangio e domani farò la cacca, perché più in la di questo ragionamento non riescono ad andare. La scelta del testo di Simenon, lo spiegherò meglio fra poco, dimostra addirittura come l'ignoranza possa servire a darsi la zappa sui piedi, sui loro piedi fatti solo di denaro.

Ringrazio le quattro case editrici per la stima data al lettore e mi sento offeso poiché anch'io lo sono.

Ma veniamo ora ai libri.

E so già per certo che la selezione attuata dagli editori, sarà data dal caso, che la competenza intellettuale costa troppo in termini di tempo e le rotelle si usurano...

Il primo pugno al cuore me lo da, come ho accennato, la scelta del testo di Simenon: “Tre camere a Manhattan”.

Premetto che non so se questi libri siano giacenze indorate ai bordi e poi timbrate con la V di vintage. Tendo a pensare diversamente. Devono essere libri che han raggiunto il termine ultimo della loro parabola editorial-commerciale. Da domani, saranno soli e dall'oblio li salverà solo la loro effettiva qualità.
E quando saranno lasciati soli, cosa resterà? Non ho dubbi su Irène Némirovsky che con tutta la sua opera e non solo col qui pubblicizzato “Suite francese”, tocca livelli eccellenti e spesso eccezionali.

ma......

ed è un ma triste....

un amico, causa questa operazione commerciale, ha scelto, quest'estate, esattamente in agosto, “Tre camere a Manhattan” di Simenon. Quando l'ho incontrato mi ha detto che non gli è piaciuto, lo ha trovato noioso. Quel romanzo lo avevo letto anch'io, già da tempo e gli ho risposto che in un certo senso aveva ragione. Se è vero che il prolificissimo genietto di Liegi non ha mai sbagliato un colpo, non si può pretendere che tutta la sua opera fatta da centinaia di testi sia costellata di capolavori sempre elevatissimi. Ogni tanto capita il testo che non vale un nove in una scala di voti dall'uno al dieci, e anche se a quel livello ci eravamo abbandonati, mai ci si deve far prendere dall'abitudine, in niente, nemmeno nel sesso....! ebbene, “Tre camere a Manhattan” è forse uno dei testi più faticosi di Simenon. Si ricordi che la mia è un'opinione, ma l'opinione di un essere che ha letto e riletto i primi due tomi dell'opera completa per un totale di ventuno romanzi più molta altra roba. Penso di aver letto un decimo della sua produzione e questo vuol dire che ho passato comodamente i trenta volumi. Serve poi una precisazione. Simenon diceva che i libri per campare li batteva a macchina, direttamente, mentre i libri seri, quelli veri, dove metteva tutto se stesso, li scriveva con la penna. Io ho letto prevalentemente quelli scritti a mano, diciamo prodotti artigianalmente, e dei gialli di Maigret che spesso son talmente belli da non meritare di esser stati scritti con la macchina per scrivere ma con una stilografica di platino, come per esempio “Maigret e il barbone” ne ho letti almeno una ventina. 

Immagino non solo quel mio amico, ma altri lettori, che in estate hanno ragranellato un po' di tempo e desiderando “qualcosa di buono non solo a tavola....” si fidano dei consigli di quel cartello pubblicitario, leggono quel libro e su Simenon ci mettono definitivamente una croce sopra. Questo meccanismo severissimo non accade perché si boccia il libro in sé. So che va diversamente almeno  per questo caso. L'equazione che seleziona positivamente è fatta anche di tempo. Ne hanno degli spiccioli e vogliono spenderlo bene. Accade che quel libro, come può essere per la Recherche o per “Gita al faro” della Woolf, non sia sufficientemente “immediato” per quelle condizioni. Serve altro.

Guardo di nuovo il cartellone e per un attimo vivo quelle copertine fotografate come le carte di un solitario che vidi giocare e che non conosco. Sotto ogni carta ce n'erano delle altre. Così è qui. Dietro al nome Simenon, dietro a quella copia visibile, ci sono tutte le altre ben impilate e se la prima è piaciuta si intaccheranno anche alcune delle altre.

E per la Némirovsky? quasi la medesima storia. “Suite Francese” è probabilmente il suo capolavoro e non ho il minimo dubbio quando decido di collocarla fra i grandi di sempre come Tolstoj Fitzgerald, Melville eccetera. Ma non era forse meglio “Il calore del sangue?” oppure “Jezabel?” il coefficiente di leggibilità sarebbe stato superiore e il prodotto, per motivi diversi dalla facilità di lettura, avrebbe rivelato eccellenze, particolarmente per il pubblico femminile che, a quanto pare, legge molto più dei maschietti,  innescando un rimeditarsi su valori a dir poco fondamentali. Gli editori potevano così far approdare i lettori a “Suite francese” per mezzo di un crescendo meraviglioso....

Immaginate di essere gettati nell'acqua fredda improvvisamente. C'è da rimanerne sconvolti. Non si muore necessariamente ma si sta maluccio e non si è certo contenti. Il pensiero è freddo. Più si fa puro e si innalza, più è freddo e fa paura..... non è forse meglio accompagnare il lettore facendogli bagnare prima i piedi per abituarlo gradualmente alle altezze e al clima rarefatto?

Di “Suite francese” ricordo per esempio una scena che risulta sconvolgente e che non è di immediata comprensione. C'è un pretino giovane che con i bambini di un orfanotrofio scappa da Parigi durante la seconda guerra mondiale, e si inoltra nella campagna con l'intenzione di raggiungere una meta precisa. Non vi dico come finirà. È forte. Potente, e per me è vero nella maniera più assoluta il significato di quel che accade. È un simbolo denso, rapidissimo come una frustata, a me, all'umanità, nelle sue radici più profonde....non aggiungo altro, se vi spiegassi il senso della scena la lettura perderebbe d'effetto perché vi verrebbe da plasmarla intorno alle mie parole. Penso che un lettore non a tempo pieno come sono attualmente o con un part-time abbastanza costante, riceva la frustata, se la tenga e non la comprenda. Accade così che un passo colossale si trasformi, in una mente impreparata, in relazione al procedimento più comune che si trova intorno quotidianamente e quindi in un'azione che ha semplicemente lo stupore di un attimo come tanti gialli o triglier (da triglia, giustamente...) che ci si è abituati a sorbire volontariamente o anche come il fumo passivo perché dove ti giri, se c'è uno schermo e hai già fortuna che non ti mostri la de Filippi, ma un film, quasi sempre è roba di azione, che graffia la superficie, l'emotività, e poi svanisce, si fa nulla, e di quel nulla è fatto il lettore comune.

Pongo un dilemma quasi scemo nella sua essenza a coloro che hanno progettato quel cartellone pubblicitario: un autore pubblica tramite voi, un libro. Mettiamo che, anni fa ne abbia fatto qualcuno decente. Ipotizziamo anche che quello presentato in questa pubblicità, sia invece scadente o proprio banalissimo. Se si può immaginare questa situazione allora mi sembra chiaro che vi state dando la zappa sui piedi. Chi assaggia quella roba, cambierà ristorante.... cioè scrittore. Ed ecco  un parallelo invitante. Forse l'avrete già capito perché se avete letto fino a questo punto almeno di pazienza ne avete in abbondanza ed essa è un ingrediente fondamentale del pensiero che si nutre fondamentalmente di tempo. Ebbene: vado al ristorante. Vengo consigliato e mi fido. Sono lievemente schifato e la giustificazione del ristoratore sarà: “due anni fa era squisito! Lo dicevano tutti”. Voi vi accontentereste di una risposta così? io no, e mi sentirei  nel giusto se tentassi di non pagare... e con i libri come si fa? È come col cinema. Prima si paga e poi se sei stato fregato sono affari tuoi.

Secondo me, tutti quei mercati che si basano sul pagamento anticipato del prodotto, che si tratti di un automobile o di un libro, si fondano sul concetto che se il cliente è soddisfatto, ritornerà. E come la mettiamo qui che il libro di De Carlo è men che nulla? E Carofiglio, sicuramente ben leggibile ma talmente leggerino che alla fine anche il libro ti vola via dalle mani e rimani con un nulla totale e sconfortante?

Devo dire che, nello schifo totale della mentalità di questa operazione, la Adelphi ne esce a testa alta in confronto ai colleghi. Male che vada ha offerto in pasto agli sconti due autori di indiscutibile valore. Poteva ovviamente ragionare un po' di più, calarsi nei panni del lettore, ma appunto male che vada, cadono in piedi. Goffi ma in piedi. E gli altri? Stendo un velo pietoso e passo ad altre chiamiamole sfumature: per esempio le frasettine che si possono leggere sulle copertine fotografate nel cartellone e che dovrebbero farci sapere che qualcuno che se ne intende ha apprezzato quel determinato testo. Veniamo ad una a caso: per Elizabeth Gilbert e il suo “mangia prega ama”, abbiamo:



Chi l'ha detta? -l'Espresso- un settimanale? Ma mi prendete in giro? Che senso ha? Si parla poi di autenticità che arriva dopo il:
travolgenti, indimenticabili e qualità, sciorinati nel cartellone in caratteri oro. Ecco un quarto vocabolo,
a u t e n t i c i t à, che si sgonfia. L'ho cadenzato lettera per lettera per assaporarlo. Parole che erano piene di significato, e ora banalizzate, usate male..... ma anche noi ne usciamo banalizzati. A quale vocabolo ci affideremo ora per definire quel che quella parola ferita e ormai inutilizzabile, voleva dire?

Mi ricordo di un cronista di una partita di calcio che definì con la parola dramma un infortunio ad un calciatore. Ma se quello è un dramma, quei fatti colossali che prima definivo così come potrò chiamarli!

Mi deve rimanere il silenzio e il cadavere di una lingua svuotata?

Veniamo alla scritta che accompagna il libro di Stieg Larsson:



È pure scritto in modo subdolo. Per leggere -caso editoriale- devi “cavarti gli occhi”. Si tratta di un colore scuro su un colore scuro. Rimane così, come messaggio supplementare immediatamente percepibile, solo – il più clamoroso degli ultimi anni-. Bello! Si deve ben considerare poco il lettore se si pensa che gli basti sapere che c'è qualcosa di clamoroso ma non si sa cosa..... e poi, clamoroso in che senso? Degli incassi, della tiratura. Per loro, per gli editori è l'unico modo possibile per essere un – caso clamoroso-.... e mi piacerebbe sapere cosa avrebbe scritto l'autore se gli fosse stata data questa opportunità.... avrebbe probabilmente sottolineato dell'altro. Solo un autore consapevole di essere una nullità ci farà sapere che ha venduto una marea di copie.....
e la copertina poi, chi l'ha scelta? L'autore o uno che ha ragionato solo su come accalappiare gli occhi? E di lato leggo  - Marsilio giallosvezia-. È un giallo. Bene. Far categorie, far scatole, stanze, stie, attirerà i polli.....ma, e i lettori?
E quella frase che ci dice che si tratta di un “caso” chi l'ha detta? Io immagino che non ci sia la firma perché essa sarebbe semplicemente il fatturato del libro, la cifra degli incassi al momento dell'avvio di questa -operazione vintage- e si sa che non sta bene parlare di soldi.... è così volgare!

E il testo di Umberto Eco? Ha una copertina di una trivialità da bettola. Un uomo controluce con mantello e cilindro che scende delle scale scure e sbrecciate. Sembra venirci incontro? È lui il mistero? Ma che paura che ho! E poi il titolo! “I misteri di Praga”. Originalissimo come dire che i politici son ladri e che …. e che noia!

Ed Eco secondo me non c'entra nella presentazione, nel senso di scelta della copertina e forse nemmeno del titolo, di questo libro. Possiamo solo dedurre che essendo pubblicato da poco, non  deve aver venduto e lo hanno infilato qui, su questo cartellone, per vedere di allungare l'agonia. E questo non vuol certo dire che il libro sia brutto. Abbiamo ben capito che questi cialtroni di editori non è che se ne freghino della qualità.... la situazione è molto più aberrante! La qualità nemmeno sanno cos'è? E quando gliene parli,  e lo dimostrerò con la relazione di una conferenza dibattito alla quale ho partecipato un anno fa a Roma, nemmeno sanno che esiste. Cadono dalle nuvole. Quando spieghi che anni fa chi scriveva non si rivolgeva certo ad un editore, ecco che ti guardano sorpresi. Vivono in un tempo compresso fatto solo di presente e di bilanci e spesso dicono robacce che non stanno ne in cielo ne in terra. Vi porto un esempio. Mi dissero di un personaggio della Mondadori chiamato “il professore”, sembra perché laureato in filosofia. Aggiunsero che “Ha in mano circa l'ottanta per cento” dell'editoria italiana. Ho digitato nome e cognome su internet e ho trovato un'intervista nella quale asseriva che il libro non è classista. È evidente che immagina un pubblico unico potenzialmente ricevente di qualsiasi prodotto editoriale. Ma torniamo a meditare su quella frase: “il libro non è classista”. Quanto è cretina da uno a dieci? Almeno tredici e vi spiego perché sbanca.... quando il libro sceglierà il suo lettore allora forse si potrà discutere del fatto che sia classista o socialista o juventino o chissà cos'altro! Ma come pene (cerchiamo di essere fini anche nell'insulto....) fa un oggetto a scegliere! Ma nemmeno il peggior Emilio Fede razzola così in basso!!!! e pensate un po' al meccanismo iperselettivo della sua mente. Di quel coso che dirige l'ottanta per cento dell'editoria italiana  e non ricordo davvero più il nome. Rimosso, cancellato, distrutto. E chi glielo spiega che e non sempre, solo le menti eccelse non son classiste? Gli esseri umani lo sono quasi sempre!!! ma un libro! Un oggetto che non sceglie ma è scelto....

Dopo aver meditato e contemporaneamente scritto queste cose, devo dire che non me la sento più di attuare il progetto di leggere i dieci libri del cartellone ecc. Sicuramente quello di Eco lo spolperò. Di lui ho sempre letto tutto della narrativa, a volte con un  po' di fatica, lo ammetto, ma sempre con soddisfazione...ma... e con gli altri titoli come mi comporterò dopo aver smascherato quel cartello? Come al solito lascerò fare al caso e al tempo. Sono la loro preda, il loro trastullo e non mi illudo di essere protagonista di qualcosa, nemmeno della mia vita....

Voi invece? Sceglierete da quel cartellone? Allora solo se avrete fortuna, e solo in grazia sua, leggerete qualcosa che vi farà bene, che vi farà pensare......


                                                                      amen.

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