martedì 3 maggio 2011

autori che mi piacciono

Libri che mi piacciono

Questa “zona” si chiama così e non “autori che mi piacciono”, perché ritengo che nessun artista abbia fatto solo capolavori. Se mi piace per esempio “Cent'anni di solitudine” questo non deve voler dire che amo tutta l'opera di Marquez.

Quel che nasce in me quando un autore produce un buon libro, è la consapevolezza che merita rispetto e che, appena potrò, leggerò quel che ha fatto di nuovo.

Ci sono invece autori che per vari motivi, escludo dalle mie letture perché, secondo i miei parametri sono superficiali o fanno i mestieranti o si atteggiano o sono raccomandati (mai dimenticare che questo è un male tipicamente italiano, e nemmeno gli italiani se ne rendono più conto. Vi porto un esempio. Se su un'isola sono tutti ciechi, questa per loro sarà la normalità. Se questi ciechi entrano in contatto con realtà esterne alla loro isoletta, ecco che scoprono che a loro manca qualcosa ma, si badi bene, non basta scoprire per capire, ce lo dimostra Colombo che dopo quattro viaggi non aveva ancora capito di aver scoperto qualcosa di nuovo.... e penso che sia facile immaginare un cieco che comprende di essere senza la vista ma non sa cosa essa sia non avendola mai provata. Per l'Italia è la medesima situazione. La raccomandazione è onnipresente ed è di varia natura: politica, religiosa, di casta e parentale son le più diffuse. Il male è enorme perché accade che nei ruoli importanti si trovino non i migliori ma....i raccomandati. Il risultato è: la mediocrità come massimo livello producibile, la fuga e l'annichilimento dei cervelli, l'esser percepiti come ridicoli all'estero. Io non sono nato in Italia. Ho viaggiato, e mi è capitato spesso di sentire ironie in proposito. Quel che accade all'estero? (penso che mi si porrebbe questa domanda quindi rispondo, perché chi è partecipe di un male, pensa sempre che se è condiviso sia leggero, trascurabile). Ricordo a Oxford un'amica docente che raccontava come italiani in carriera si presentassero ostentando come medaglie le conoscenze che li “proteggevano”. Era da farsi compatire e non lo capivano. Vi sono poi delle conseguenze tristi e che non vengono rivelate. Roberto Longhi, in Italia era noto come eccelso storico dell'arte, all'estero come “barone” terribile e spesso non veniva invitato a convegni internazionali Longhi si mangiava le unghie dal nervoso, ma in Italia non s'è mai risaputo. Qui brilla tutt'ora e io me la rido quando leggo per esempio nel suo saggio su Cimabue, la descrizione di quel Cristo che secondo lui sembrava uno “squalo che tirava gli ultimi”. E penso a Federico Zeri che non ebbe il massimo alla tesi perché era troppo bravo, campava a Roma facendo la guida turistica e dovette scappare negli Stati Uniti per veder riconosciuto il suo valore. Ognuno di voi in proposito avrà certamente tante storielle da raccontare...e nel campo della letteratura ci si salva da questa epidemia? no. Non posso parlare. Mi scotennerebbero domani... e il puzzo di raccomandazione si sente da lontano).

Come? Semplice. Una volta letto un libro, se è una schifezza, ci si domanda come ha potuto esser stampato. Di solito non si approfondisce perché disponiamo di gesti liberatori che ci soddisfano, gettare il libro nel bidone, regalarlo ad un nemico per far perdere un po' di tempo anche lui, non comprarne più nessuno di quell'autore e, se la carta non è troppo liscia, in bagno, per le emergenze può sempre esser meglio che niente... (anche se un amico mi ha detto che l'inchiostro potrebbe creare dei problemi). Sono azioni che non danneggiano nessuno, nemmeno, purtroppo, l'autore, ma ci fanno star così bene e quindi è un peccato rinunciare!

La domanda “come hanno potuto stamparlo”, si esaurirà così in quel gesto liberatorio e ci sfuggiranno informazioni che i mass media e le amicizie spesso ci offrono e che, se avvicinate, rivelano risposte interessanti.

Ho deciso di non far nomi e di non parlar male. Troppo facile e non porta a nulla di buono. Mi limiterò a parlar bene di chi invece stimo e di quelli di cui non parlo, si potranno pensare due cose: o non li ho letti, oppure non mi piacciono, ma non dirò nulla (spero di farcela....non è facile)

Stimo opere dei seguenti autori italiani:

Ennio Flaiano, Alberto Savinio, Vitaliano Brancati, Tonino Guerra, Elsa Morante, Mario Rigoni Stern, Emanuel Carnevali, Pirandello, Dante, Sebastiano Vassalli, Paola Capriolo; Giovannino Guareschi, Annibale Ninchi, Deledda, Sciascia, Pavese, Casanova, Dino Buzzati, Primo Levi,

Per ora mi vengono in mente questi. Aggiornerò la lista appena me ne verrà in mente qualcun altro o leggerò qualche libro degno secondo me di essere ricordato.

È triste notare che solo tre sono vivi e si tratta di: Tonino Guerra, Sebastiano Vassalli e Paola Capriolo.

Il fatto che i viventi siano veramente pochi non è secondo me colpa di una mia eccessiva severità (quella la esercito su me stesso), ma dei meccanismi che portano alla pubblicazione e alla notorietà. Cose che ho già spiegato e quindi non ripeto.

Un esempio solo può servire a render ancor più chiara la situazione. Se si fa qualche partitella di calcio giocando benissimo, sicuramente qualcuno ti vede (nonostante che anche in questo sport le raccomandazioni facciano miracoli, alla fin fine un brocco è un brocco e nemmeno il proprio padre lo spingerà in prima squadra se ci deve poi rimettere la faccia). Se scrivi bene, potrebbe non vederti nessuno per tanto, troppo tempo e poi arriva il momento che ti nasce un figlio, che devi pur campare ecc. e si perde un talento. Per fare il giornalista serve saper scrivere? No. E poi, che domanda mi faccio! I giornalisti e la letteratura non son della medesima razza. Ce lo vogliono far credere perché usano ambedue la parola... Non ho il minimo dubbio.

Per fare lo scrittore serve saper scrivere? In teoria si, in pratica invece, se solo tre autori mi son piaciuti e si vedono pubblicate carrettate di nuovi titoli ogni mese, vuol dire che si tratta di un aspetto ininfluente! Terribile, non trovate? Un po' come dire che si può vincere un gran premio senza automobile....

E dove finiscono i talenti! A far gli sceneggiatori, i giornalisti, i portaborse dei politici (scrivere discorsi) e roba simile. Usano la parola, si riciclano.

Di Paola Capriolo stimo sopra tutti: “Una luce nerissima”. Seguono “Un uomo di carattere”, “La grande Eulalia”.

Di Sebastiano Vassalli stimo sopra tutti: “Un infinito numero”. Seguono ma distanti anni luce, “Chimera” e “Marco e Mattio”.

Di Tonino Guerra stimo quasi tutto. Considero capolavori: “Il Miele”, “Il polverone”, “Il viaggio”,
“Tempo di viaggio”, ma tutto il resto merita comunque la nostra attenzione.

Si noterà nel mio elenco l'assenza di autori celebri. Dubbio: non mi piacciono o non li ho letti? Non lo dico.

Autori stranieri:

Kafka, Bulgakov, Coetzee, Marquez, Borges, Proust, Musil, Rilke, Flaubert, Nemirovsky, Balzac, Goethe, Cervantes, Shakespeare, mc Ewan, Andric, Meyrink, Neruda, Mishima, Tolstoj, Dostoevsky, Bellow, Sholem Aleichem, Isaac e Joshua Singer, Durrenmatt, Saint Exupery, Canetti, Yourcenar, Virginia Woolf, Kipling, Dickens, Josef Conrad, Henry James, Oscar Wilde, Ezra Pound,, Tanizaki, Kawabata, Omero, Esiodo, Virgilio, Thomas Mann, Stanislaw Lem, Anatole France, Dylan Thomas, Nikolai Leskov, Graham Greene, Simenon, Karl Sternheim, Flann O'Brien, Buchner, Jaime De Angulo, Joseph Roth, Philip Roth, Francis Scott Fitzgerald, Laxness, Axel Munthe, Aristofane, Herman Melville, Thomas Mann, Sofocle, Apuleio, Eschilo, Erodoto, Euripide, Ovidio, Seneca, Gogol, Strindberg, Andrej e Arsenj Tarkovsky, Mandel'stam, Nabokov, Anna Frank, Ludvig Holberg, Ricardo Guiraldes, Alfred Polgar, Nell Kimball, Rolnikaite,

Ce ne sono altri, non li ricordo tutti. Aggiornerò quando mi tornano in mente.

I miei preferiti in assoluto sono comunque, Kafka sopra tutti, poi Proust, Bulgakov, Nemirovsky, Rilke, e Saint Exupery.

Come ho già detto, non si devono considerare automaticamente tutte le opere di ognuno di loro, come mie preferite e nemmeno le loro più celebri.

Se è vero che amo quasi tutto dell'opera di Kafka, è vero anche che alcune di queste non mi sento ancora in grado di comprenderle quindi non le amo, ma le osservo con attenzione di anno in anno, poiché, penso e spero, di esser cresciuto nel frattempo e di poter cogliere qualcosa in più.

Accade poi che per certi autori non mi senta particolarmente attratto dalla loro opera più nota, quella che quando si dice il nome, immediatamente sappiamo dire il titolo. Il caso più evidente è, in quell'elenco, Saint Exupery. Non ho nulla da dire di sgradevole su quella favola, anzi, è proprio carina, ma altri due suoi libri sono dei tali capolavori che fermarsi alla favolina mi sembra un po' come pensare di essere sazi con due olive e un prosecchino. Mi riferisco a “Terra degli uomini” e Philip Roth. Forse è viva la Rolnikaite, di lei so ben poco se non che il suo libro intitolato“Devo raccontare” è notevole

Gli autori che ho nominato non sono in ordine di gradimento. Li ho elencati così come sono apparsi nella memoria. Ritengo, poi, che sia insensato fare delle classifiche con il migliore, il secondo il terzo eccetera. Questa mania colpisce la nostra epoca e la imputo ad un condizionamento dovuto allo sport che con le classifiche si esprime e non sempre, anzi, quasi mai, con correttezza. Mi spiego: negli sport di gruppo spesso non vince il migliore... si dia la colpa agli arbitri, o a quello che volete, ma so che il senso di ingiustizia spesso è presente e, da non più appassionato di calcio, ora che riesco a vederlo senza farmi coinvolgere, devo dire che accadono delle robine da galera e non certo di rado...

Negli sport singoli, uno arriva indiscutibilmente primo. Chi ha praticato sa comunque che anche qui l'ingiustizia si cela, ma spesso non giunge al pubblico. La situazione è la seguente: si seleziona qualcuno per una gara. Son scelti i migliori? spesso no. Quindi chi vince non è mai il migliore della sua specialità, ma il migliore fra i presenti. Conosco qualche caso e forse anche voi, se ci pensate un attimo... sta di fatto comunque, che negli sport detti individuali, si ha una classifica, e cosi accade anche per gli sport di gruppo. Ecco che questo modo di agire che è abbastanza sensato in quel contesto, entra negli altri, e si hanno gare di latino, di matematica, di libri venduti, di premi letterari. Tutto insomma diventa gara. Ma cosa ci vuole a comprendere che chi vince una gara di matematica è certamente fra i migliori ma probabilmente non il migliore, e che se ha vinto in quella specifica situazione è perché ha avuto un pizzichino di ..(non si può dire, vada per fortuna)
e si è trovato nella situazione emotiva e fisiologica giusta? Mettiamo che fosse presente un novello Einstein reduce da una fagiolata temporalesca la sera prima con gli amici...

Il punto è questo. In arte, in letteratura per esempio, non si ha se non in casi rarissimi un migliore. Di solito ci troviamo davanti ad un gruppo di menti che meritano la nostra attenzione. Solo col senno di poi possiamo dire che Dante è il numero uno in assoluto della poesia, e infatti nella sua epoca lo han trattato con ben poco rispetto... e non solo lui, ma anche per esempio Shakespeare, è indubbiamente un fenomeno tale da essere in grado di rendere umile anche lo spaccone più allenato, ma sono eccezioni. Picasso è un'eccezione, Schubert, Beethoven ( con Mozart ho una lite in corso) e altri sono nella categoria dei fenomeni intoccabili, e io ci metto anche Kafka, Yourcenar, la Woolf, Bulgakov, Flaiano e mi fermo perché poi si scopre che le eccezioni sono un po' troppe per poter essere definite tali. Ma, nell'arco di, mettiamo, un millennio, ci sta che ce ne siano una decina e anche di più! E pure che siano aumentate negli ultimi secoli, poiché la popolazione è cresciuta e la cultura è più alla portata, e, se le si sgocciolano queste eccezioni, nei secoli, ecco che ad ognuno di questi, toccherà qualche goccia appena. Ecco l'eccezione. Oggi scrivono, mettiamo una cifra a caso, duecentomila persone? Dieci son fenomeni? Non mi sembra molto. Il punto è che nel mio elenco provvisorio di autori stranieri che stimo, i vivi di nuovo scarseggiano. Mi sembra che ci siano Coetzee e Philip Roth. Riguardo e mi accorgo che ci sono anche Marquez, che comunque sta poco bene e non ne vuole più sapere di scrivere, e Mc Ewan.

Solo quattro. E' una tragedia? si. Lo sarebbe in senso totale se non esistessero più le opere degli eterni (dire morti o defunti in questo caso mi sembra scorretto)!. È comunque pochino se si pensa in quanti siamo a pensare mangiare e andare di corpo su questa briciola di pianeta.

Una precisazione: ci son due modi belli di scrivere. Scrivere e raccontare. Alcuni come Marquez eccellono in entrambi, altri come Canetti, secondo me, sanno solo raccontare, e io personalmente preferisco lo Scrivere con la esse maiuscola. Scrivere è inventare qualcosa che rappresenta la vita, raccontare è pescare nel ricordo. Possiamo essere infinitamente saggi, ma nel ricordo c'è la nostra esperienza, mentre nello Scrivere dovrebbe esserci il risultato di questa. Se io sono cappuccetto rosso, posso raccontare quel che mi è accaduto e non capire a fondo tutto, però l'ho raccontato così bene! Se io, in quanto cappuccetto rosso, dopo aver vissuto la mia esperienza col lupo cattivo, cerco di capire cosa mi è accaduto e lo rappresento in un'idea, secondo me si ottiene un prodotto che non pone l'esperienza a soggetto, ma a strumento di qualcosa di più alto. Chi recriminasse all'esempio facendomi notare che forse cappuccetto rosso è non è un raccontare ma qualcosa di più, gli farò presente che questa storia antica è il risultato di residui stratificati. Infatti vi accadono cosucce più che improbabili. Quando incontro draghi, fate, gnomi, mi fido di loro e li seguo, ma come faccio a fidarmi di una bambina così stupita da confondere la nonna con un lupo cattivo che si è messo una cuffietta? La metto sul ridere, ma ci si pensi. Si tratta di una rimanenza in brandelli di una storia, forse di un rito, di una iniziazione. Il problema è forse, che dopo Freud, siamo circondati da frotte di fenomeni che vedono coincidenze, onanismi, Clitennestre ed Edipi anche nei budini.

La questione per me è la seguente. Raccontare è un po' come accendere il registratore della memoria. È vero che non si racconta mai la verità vera (che in un certo senso non esiste e ad essa si può solo tendere) ma una nostra versione che spesso ci giustifica, ci salva o, se siamo autolesionisti (come spesso fece Celan), ci condanna. È vero anche che, se l'esperienza la elaboriamo in noi cercando di capire cosa crediamo di aver compreso della vita e, quel che abbiamo compreso lo introduciamo in modo ovviamente non razionale in un contesto inventato o anche reale ma non nostro, è vero che, secondo me, così nascono, anzi possono nascere i capolavori. Nessuno crede che Dante sia veramente andato all'Inferno e dintorni. Sappiamo benissimo che l'inferno è il luogo nel quale si materializza una parte della sua visione del mondo e la visione del mondo l'ha tratta dall'esperienza! Flaubert in “Madame Bovary”, inventa solo parzialmente. Alla base dovrebbe esserci un fatto vero. Egli lo scelse non certo a caso. Trovò una “scatola-evento”, dotata di significati precisi, e ad essa sovrappose con abilità stupenda, la sua visione del mondo. Per chi scrive, il reale è solo una delle tante fonti possibili per descrivere quel che abbiamo dentro. Un esempio è Lem, Cito il suo romanzo Solaris (caso più unico che raro. Stupendo sia il film che il libro. Trovo che sia accaduto solo un'altra volta con Luchino Visconti e la sua “La morte a Venezia” di Thomas Mann”). Si tratta di una ingegnosa situazione che affascina per la sua originalità quanto per la profondità. In questo libro, nulla vi è di reale, ma l'insieme rappresenta una visione del mondo di una profondità indiscutibile.

Esiste poi una categoria di autori che trovo interessanti ma non riesco a mettere fra i miei preferiti.

Cito i due che per il momento mi vengono in mente.
Spephen King e Saviano.

Mi raccomando, non si cerchino similitudini fra di loro. Entrambi hanno scritto qualcosa di notevole, ma per motivi che ora espongo, non li “sento” completi.

Saviano.
“Gomorra è un capolavoro. Saviano non è uno scrittore.
Mi spiego. È un giornalista. Me lo immagino ragazzo, che gira per Napoli e dintorni, scopre quel che scopre e ne rimane sconvolto. Lo racconta nel suo libro reportage e diventa, giustamente un caso letterario. Giustamente perché gli italiani, per quanto fossero consapevoli delle schifezze che stavano accadendo, non avevano colto l'effettiva profondità del baratro. “Gomorra” è per me qualcosa di sconvolgente come lo fu il “libro nero” di Grossmann (racconta di cosa fecero i nazisti in Russia contro gli ebrei)1. Ce l'ho in casa. So perfettamente dove si trova in libreria e raramente riesco ad aprirlo. Quel primo capitolo fu un pugno non solo allo stomaco, ma anche al cuore. Saviano è ora il rappresentante più accreditato e stimato (spero) di un certo senso di giustizia che cova negli italiani che secondo me stanno perdendo la pazienza (spero).
Ma, ed è un grande ma, non è uno scrittore e non sa nemmeno scrivere. Questo non ha fatto male al libro perché in modo involontario ha potuto immettervi due cosucce eccezionali: La sua rabbia, che è la rabbia pura e bella della giovinezza, e dei fatti talmente sconvolgenti che non avevano bisogno di altro che di essere raccontati.
Faccio un esempio. Steinbeck in un racconto che non ricordo più in che libro si trova, ci mostra una signora di un paese americano che abita in una casa sperduta lungo una via. Passa un fabbro arrotino itinerante e lei lo ferma per fargli riparare degli oggetti. Comprendiamo subito che per lei è prima di tutto e finalmente un contatto umano, che lei lo tiene a pranzo e gli parla per desiderio di sentirsi viva e lui invece semplicemente passa e fa riparazioni senza sentirsi solo perché il suo tipo di vita gli da un sacco di contatti. Quando il tipo parte, la signora, contenta più del dialogo che delle riparazioni che comunque sono perfette, gli regala una pianta in un vaso di terracotta. Mi sembra di basilico ma potrei sbagliare. Lei ritroverà successivamente il vaso rotto sulla via. Per me è stato un pugno al cuore. Questa idea è delicata e solo il saper scrivere la renderà affascinate, indimenticabile, almeno per me. Si noti che non ricordo più da quale raccolta di racconti provenga e nemmeno la precisione è presente, ma il nocciolo del piccolo grande dramma c'è tutto e dopo anni posso ripeterlo. Aggiungo anche che oggigiorno scommetto che un pennaiolo, se si impossessasse di questo gioiello, vi introdurrebbe il sesso. Immagino il fabbro che dopo qualche doppio carpiato e posizioni da contorsionista e prestazioni fiabesche, riparando male, incassa e se ne va con la pianta, nonostante le poche forze rimaste, e riesce comunque a gettarla e, ovviamente il significato profondo va a farsi benedire. Lasciamo perdere l'avaro presente e torniamo a Saviano.
Secondo me lui non sarebbe capace di inventare storie del genere, storie che una volta lette diventano indimenticabili. Saviano non ha inventato niente e non doveva inventare. Se lo avesse fatto ora sarebbe un volgarissimo falsario e un fenomeno commerciale bieco. Ho letto anche il secondo libro. Non va. Il capitolo che riguarda Messi è addirittura degno di chiacchiere da bar, ne ha il tono e la banalità. Non so se riuscirà più a indignarsi. C'è anche il rischio che si ripeta. Diceva Gattuso, simpaticissimo e sincerissimo calciatore che, se non avesse saputo dare due calci ad un pallone, sarebbe finito in fabbrica (mi sembra che avesse detto a fare il fornaio, non ricordo più esattamente). Lo stesso vale per Saviano. Egli si è ritrovato in un ruolo e in quello solo, eccelle. Spero che lo senta suo perché è importante e necessario, ma la letteratura è un'altra cosa. Né migliore né peggiore, semplicemente diversa. E Saviano, sapendo fare solo quello e, insisto, lo fa bene, deve continuare con onestà, sincerità e vera indignazione.
Vincerà il Nobel per la letteratura. Non per merito suo ma per colpa di Stoccolma che ormai cerca solo persone che rischiano in campo sociale. Pamouk, turco, bandiera dell'eccidio armeno è uno dei tanti esempi. La sua letteratura è intelligente ma... l'intelligenza deve venire dopo l'intuizione. Senza di essa non c'è vita. L'idea sgorga e l'intelligenza la ordina rispettando quel sentore di irrazionale, di selvatico che la mente ha quando agisce a nostra insaputa. Non è l'unico caso. Esiste un'eccezione notevole. Coetzee. Nobel sudafricano. Secondo me “Vergogna” è un gioiello e “diario di un anno difficile” ci si avvicina. È bandiera di qualcosa che sventola sui giornali che leggo si, ma con disattenzione. Quei due libri, letti in se stessi, senza tanti atteggiamenti ed etichette, meritano il Nobel nel senso che aveva questo premio una volta, quando lo vincevano gli Hemingway, France, Pirandello, Deledda....

Stephen King.
Porto come esempio un suo scritto. “Il cimitero degli animali”.
La trama è grosso modo la seguente. In un bosco c'è un cimitero per gli animali. Se li seppellisci li, essi ritorneranno, ma non saranno più come prima. Avrai delle specie di zombie. In poche parole il tuo gatto ha il corpo del tuo gatto ma in effetti, nel senso più profondo del definirsi vivo, non è più lui. Accade che muore mi sembra, una donna. Il marito non resiste al dolore. La porta nel cimitero degli animali. Ritorna uno zombie.
Mi fermo qui. Non serve altro. Un poco come con “La metamorfosi” di Kafka, bastano le prime righe per poter comprendere molto, oserei dire quasi tutto. In questo caso si tratta di qualche pagina.
Qual'é l'idea che sta dietro a questo inizio di King? Si tratta della grande sconfitta americana e per esteso dell'uomo tecnologico. Se pensate a Mary Shelley e al suo “Frankenstein” (che sembra sia stato scritto a tre mani col marito e Byron se non ricordo male, gente che con la penna d'oca faceva cose stupende...), troverete la versione positiva di quel che King ha descritto. L'uomo domina la tecnica con la scienza. L'elettricità sconfigge il grande nemico, la morte, che prima del dottor Frankenstein era stata risolta (non tutti sono d'accordo...) solo da Dio. Cosa capita al personaggio di King? Non accetta la sconfitta della morte, la grande sconfitta. La morte, questa signora con la falce che imperversa nonostante i miracoli della scienza. Dove ritroviamo una versione simile di questa idea? Ne “il silenzio degli innocenti”. Il libro è di Harris, ma anche aver visto il film è sufficiente per seguire quel che sto dicendo. Un uomo è più di un uomo. Perché non dirlo? È un dio. Mangia gli umani. È una mente incontestabilmente superiore, talmente superiore che comprendono che solo lui potrà risolvere il caso di un serial killer maniacale che ha rapito la figlia di un senatore. Il senatore rappresenta l'umano potente che può, all'occorrenza, sovvertire le regole. Sembra che lo faccia per una causa giusta, ma di fatto salva la figlia e lascia libero un personaggio che di casini ne farà e non pochi. La prima scena nella quale quello scricciolo di specialista, piccola, fragile e anche forte, incontrerà l'uomo superiore come un dio la ricordate? In una sala enorme una gabbia. Guardie in abbondanza. Il dio cannibale sta ascoltando Bach, le variazioni Goldberg, la musica di Dio, la sua. Il dialogo che si svolgerà nella cella, attraverso quel vetro grosso due dita, è notevole. Noi sappiamo che lui risolverà, perché? Perché abbiamo la sensazione della sua onnipotenza. Risolverà il caso e se ne andrà. E come un Dio greco farà quello che vuole, imprendibile e al di là del bene e del male.
Questa è un'altra versione della sconfitta americana. Un ritorno a dio. Non discutiamo sul suo senso di giustizia. Altri dei son stati ingiusti. Giove ne ha fatte di tutti i colori e il dio degli ebrei non è stato proprio gentile con Giobbe (ma ci pensate? Dio scommette con il Male che Giobbe non lo tradirà nemmeno se gli toglierà tutto, salute, figli, mogli, amici, ricchezza, salute.. ma non poteva sfidarlo a lancio di fulmini o a bocce? Le divinità cattive e adorate abbondano...). L'uomo dio di Harris è un essere che come un vero dio sfugge alla comprensione dell'uomo. Risolverà l'irrisolvibile e verrà chiamato quando la capacità umana si ferma. Ma, per quale motivo la cultura americana ha sentito l'esigenza in Harris di creare quel personaggio. Semplice. Perché quel che ha non le basta. La tecnologia, la scienza, le automobili grosse come camion, non hanno portato la felicità. E in cosa consiste la felicità? In quel che Hannibal ha, il potere assoluto sulla vita e la morte degli altri. Chi vede un personaggio del genere, lo percepisce come invulnerabile. Se scappa e chi lo prende più. Se comprerà una bottiglia di chianti, sai che entro sera mangerà qualcuno e sai anche che questo qualcuno non ci scappa alla padella. È come con dio. Lui decide di vita e di morte e la volontà della vittima ignara è spenta, non conta, è troppo inferiore per poter anche solo concepire la possibilità di difendersi. Per tutta la visione del film vi siete ricordati almeno per una frazione di secondo del fatto che Hannibal è un mortale? No. Non vi ha nemmeno sfiorato l'idea. Siamo poi nientepopodimeno che negli Stati Uniti. Li a farti arrosto su una sedia elettrica o comunque a giustiziarti non ci mettono troppo. Ma lo scrittore lo ha salvato. Non tutti gli stati hanno la pena di morte quindi gli umani in questo caso, per scelta di Harris, non possono ucciderlo e lui, se non lo tieni ben bene ingabbiato si pappa chi gli pare. E insisto, del fatto che è soggetto a vecchiaia e morte non ci pensiamo minimamente. Harris ci offre l'essere umano più vicino alla nostra concezione di dio. Fa morire gli altri, ma lui non muore. Dio appunto. Perché Harris crea questo personaggio? Perché ne ha bisogno. Ha bisogno di Dio. Il dio delle varie sacre scritture sparse in giro per il mondo non basta più ad uomini che nella roulette della vita hanno come fish dei neutrini e pretendono di concepire formule ultime, conclusive, onnicomprensive nelle quali la caduta dei capelli del signor Smith e l'esplosione di una supernova sono ugualmente considerate, previste. I neutrini però per ora si immaginano e non si lasciano prendere e c'è già chi pensa a qualcosa che è dato da altre scomposizioni, e la formula onnicomprensiva non arriva, è li dietro l'angolo, per chi vuole crederlo, la si vede là in fondo come un miraggio, ma...

Ed ecco l'ultimo stadio: L'uomo di King. La razionalità si sfalda. Il nemico è li che ci fa soffrire e son cadute tutte le illusioni. La morte uccide ancora. La scienza, Frankenstein ne è la prova, non è arrivata in fondo, dove voleva arrivare, e gli Stati Uniti, che più ci hanno creduto, pagano il prezzo più alto che consiste in angosce, visioni, paure.

Ora. Perché King non è per me fra i grandi? Perché lui quelle cose le sente, le vive, ma non le ha comprese. Avete presente quelle persone che scrivono e scoprono tanti aspetti di se stesse da quel che hanno scritto? Ho l'ambizione di dire che non funziona così. Una somma, sgradevole, una insopportabile lucidità entrano nella pagina del vero, grande scrittore. Egli non scopre se stesso nella sua opera. Egli si conferma, e offre agli altri la sua visione sincera. Spesso questa è specchio di un'epoca, spesso è specchio dell'Uomo con la u maiuscola. Ma quella lucidità, in un incantesimo che sa di ipnotico, ci si rivela, quell'opera ci cambia anche solo per un attimo, e la luce abbagliante che produce, illumina un paesaggio interiore potente e nostro. Per l'artista è diverso. Vive costantemente in quella luce potente. Ne verrà annientato. Lui ce l'ha dentro e ne ha fatta uscire qualche lama. Ma soccomberà, come un fiammifero nell'attimo stupendo della fiamma o una farfalla, nell'arco di un solo giorno, a suggere nettare di luce dal sole, da un lampione, da quel cerino acceso che sarà così per lei l'apice....e la fine.

Un altro libro, più noto per il film, ci offre il dio umano. Si tratta di “Rambo”. Per chi sottovaluta a priori, senza consumarci nemmeno un poco di cervello, faccio notare un dato che non è assolutamente una coincidenza. Quel nome, Rambo, non è scelto a caso. Ci sfugge perché la sua origine è legata ad una grafia diversa che salta subito all'occhio spostando l'accento dalla a alla o. si ha così Rambò che è ugualissimo a Rimbaud.
Osserviamo ora questo personaggio. All'inizio del film (il primo della serie), sta camminando su una strada in una zona boscosa. C'è un ponte. Di là c'è un paese. Il poliziotto non lo vuole perché “non vuole grane”. A quest'inizio dobbiamo aggiungere una caratteristica dei fil americani di cassetta: il cattivo è talmente cattivo da essere ridicolo, il buono è talmente buono da sembrare quasi scemo. In un altro film di Stallone, un poliziotto, dopo aver fatto giustizia, ovviamente da solo e in modo rocambolesco, nell'ultima scena, all'offerta della comunità da lui salvata, pone un rifiuto dicendo più o meno che la sua vita è la strada. Ok. Sei buono ma sei cretino. Se ti fanno sindaco e hai una morale candida, potrai riorganizzare una comunità in base ai tuoi valori che, in quanto prescelto, vuol dire che son condivisi. Perché quel personaggio rifiuta? Perché chi lo ha ideato (Stallone) ha dei limiti enormi. La medesima cosa accade in Rambo. In questo caso il buono è buonissimo e vittima che si porta dentro il trauma della guerra in Vietnam. Gli stupidissimi cattivi ne pagano le conseguenze, perché questo dio buono, chiuso in se stesso, errante e schivo, non voleva dare fastidio a nessuno, voleva solo passare, come un ebreo errante che in nessun luogo ha un suo posto. In questo caso il dio-umano è potente, ha scelto una morale e quando la vede maltrattata, punisce. Forse questa idea, messa in mano ad un cervello un po' più sensibile avrebbe potuto diventare almeno decente. È andata così. Pazienza. Accade però che per l'ennesima volta il cinema americano ci offre un eroe super che senza doni tecnologici fa esattamente quel che fanno i vari Uomo Ragno, Superman eccetera. L'idea di un passato traumatico poteva essere feconda, ma così non è stato.è notevole studiare la genesi di Superman nella mente del suo autore. Era un ragazzo e gli uccisero il padre mentre era nel suo negozio. Il ragazzo immaginò prima un super essere negativo, e poi, col tempo questo è diventato positivo e totale come il Superman che vediamo nei film e nei fumetti. Dalla banalità non può nascere che banalità. A volte dietro a un successo come Superman, Topolino, Paperino e Lupo Alberto, che ci “prendono” dandoci serenità, c'è un'idea geniale nata da una grande sofferenza. Per Topolino, Paperino e Lupo Alberto si tratta di aver creato dei mondi senza il complesso di Edipo. Semplice, geniale e liberatorio.

Dimenticavo. Tutto quel che scrivo è uscito di getto. Se c'è qualche errore è dovuto alla situazione. Le dita non riescono ad andare veloci quanto la mente e qualcosa, un accento, un apostrofo, una lettera dell'alfabeto, si perde.

1Questo libro è sconvolgente. Una sua immagine è in me da anni. Immaginate un ebreo che sta raccogliendo legna nel bosco vicino al suo villaggio. Sente degli spari. Durano tanto. Torna ma trova tutte le case vuote. Segue il rumore degli spari. Giunge in un luogo non distante dove trova tutta la gente del suo paesino che è posta in varie file e dei plotoni di esecuzione nazisti che sparano. Vede i corpi cadere nelle fosse. Decide di mettersi in fila con gli altri. Giusto. La tua comunità si sta estinguendo. In lei hai senso. Da solo sei un nulla senza senso. Spesso la notte vedo quella scena. A volte quell'uomo ha il mio volto, in altri casi è una persona che non conosco. Vedo nel dormiveglia, la sua sorpresa e come d'un lampo, quella decisione impressionante prende corpo nel semplice muovere un passo e poi un altro e poi un altro. Mi fa troppo male pensare che possano essere accadute e accadano tuttora cose del genere.

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